9. The Folveshch

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Quando febbraio arrivò, Georgiy Yakunin compì diciotto anni, diventando il ragazzo più giovane che viveva nella kabina

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Quando febbraio arrivò, Georgiy Yakunin compì diciotto anni, diventando il ragazzo più giovane che viveva nella kabina.
I volontari rasero i suoi biondi capelli e lo fecero sedere accanto al fratello Iakov, dove sarebbe rimasto per il resto della sua vita.

Qualcosa riguardante il declino di Georgiy scosse il villaggio più di quanto lo avesse fatto quello di Viktor Malenhov.
Forse perché era troppo giovane e avrebbe passato i suoi prossimi cinque anni come un morto vivente, senza sposarsi o generare figli, senza passare un altro gioioso Natale con noi.
Forse perché abbiamo assistito al suo reale terrore per una cosa che abbiamo sempre creduto fosse immaginaria.
La maledizione del villaggio non poteva ancora per lungo essere ignorata - non ora che la Folveshch aveva richiesto altri bambini.

Da quando l'imprenditore della fabbrica mi aumentò le ore di lavoro, feci meno visite a mio padre.
I volontari della kabina lo accudirono molto bene negli ultimi otto anni, lavando i suoi restanti pochi denti e accorciando le sue unghia.
Il suo peso diminuì e la sua pelle era moscia, ma a parte questo le sue condizioni sembravano abbastanza in salute, secondo Pyotr.

L'adolescente Georgiy, dritto, ben impostato e con la bellezza della gioventù, nonostante i suoi occhi annebbiati, non sembrava come il resto di loro.
Non ancora, almeno.
Gli altri inquilini della kabina somigliavano a delle figure che si scioglievano nel caldo, deformate e scavate.
Pyotr disse che la malattia causava il deperimento dei muscoli e la dimostrazione si ebbe nelle dita di Iakov.
Esse diventarono flosce e inutili come le sue gambe.
La sua spina dorsale si era incurvata così gravemente che lui era quasi piegato a metà, sebbene stesse sempre fisso davanti la finestra dinanzi al suo riflesso, come faceva Viktor.
I due, seduti uno di fianco all'altro, uno umano, l'altro ormai a malapena riconoscibile, guardandosi per sempre.
E questo, il villaggio lo sapeva, quello che spettava all'esistenza di Georgiy.

"Stefan?" Irina mi chiamò durante la mia prima visita di quel marzo.
Un'alta signora nei suoi trent'anni, Irina Soldatova lavorava con mia madre alla kabina.

Le mie ginocchia si fecero rigide dopo essersi accovacciate al lato di mio padre per venti minuti, ma nonostante questo, rimasi a salutarla.
"Si?"

"Scusa per l'interruzione, ho solo bisogno di parlarti."

"Vieni avanti."

"Sono al corrente del fatto che tu ospiti Aleksy Malenhov. Bene... tu lo accudisci, voglio dire, ora che lui è andato via."

"È vero" deglutii.

E quindi disse "Io...io mi sono chiesta se avessi potuto vederlo."

"Non puoi."

"Oh, perché?"

Le lanciai un'occhiata.
"Non ricordi quello che ha fatto? Lo hai colto nel fatto. Perché vorresti fargli visita?"

"...sento che è per il suo bene" scrollò le spalle.

"Chiedi a mia madre."

"Sei quasi divertente, Stefan. Tu sei il capo della tua famiglia, quindi lo chiedo a te. Per favore."

Puntai il pollice verso mio padre.
"Lui è il capo della mia famiglia ed è ancora vivo. Chiedi a lui."

Non ricevetti nessuna risposta da Irina fino alla sera seguente, quando lei entrò in casa.
Con un'espressione colpevole sul volto, mamma scaldò un bollitore e io seguii il movimento di Irina dall'alto del mio giornale.
Aiutò se stessa sedendosi nella parte opposta a me fissando un punto della casa, in attesa.

"Tu assomigli un sacco a come era tuo padre prima... prima di, lo sai."

Non le risposi e tornai al mio articolo di giornale.

Lei tuttavia continuò.
"Lui leggeva sempre il giornale e incrociava le gambe così. Stai bene rasato, così come lui. Mi manca il berretto di pelliccia che usava sempre e..."

Agitai la cima del giornale.
"Non parlare di mio padre come se fosse morto."

"Oh. M-mi dispiace, stavo solo provando..."

"Stefan."
Intervenne mia madre dalla cucina,
"ho detto a Irina che l'avresti portata a vedere Aleksy stasera."

I miei occhi scuri incontrarono i suoi e si strinsero. "Come?"

"Improvvisa" il suo sguardo rispose.

"Bene, Irina, suppongo sia meglio andare."
Dissi, sollevandomi in tutta la mia altezza. "Aspetta qui, porterò lui da te. È più sicuro."

"Come è più sicuro?" sbottò Irina.
Si torturò le mani tra le pieghe della sua gonna. "Non è incatenato alla parete come hanno detto? Non ha una sorta di museruola? Una mascherina? Svetlana mi ha detto che gli hai strappato i denti"

"Non preoccuparti; l'abbiamo già sfamato con un cuore che batteva oggi."

"Stefan!"
Era mia madre. "Smettila di spaventarla."

Mi girai verso la porta e sparii dalla loro vista.

Aleksy non viveva nella nostra cantina, non mangiava cuori.
La verità è che non era stato affatto imbavagliato o incatenato e il suo cibo preferito era la mela caramellata, in caso te lo fossi chiesto.
Gli permettevo di girare per casa di giorno e per il terreno circostante di notte, ma gli abitanti del villaggio credevano diversamente.
Ci voleva più del lavoro di un essere umano per tenere Aleksy al riparo.

Quella particolare sera lo trovai fuori sul pendio, seduto sulla neve, con un largo maglione di lana e dei pantaloni con una corda allacciata in vita.
Fumava una sigaretta tenuta tra l'indice e il pollice e mi chiesi innanzitutto dove avesse acquistato il tabacco.

Mi sedetti accanto a lui.
"Aleksy."

Guardò dietro la sua spalla. "Oh, ciao."

"C'è qualcuno che vuole vederti."

"Vero? Chi?"

"Irina Soldatova."

Il suo sopracciglio si alzò. "Cosa?"

"Questo è quello che ho pensato anch'io."

Prese l'ultimo lungo tiro di sigaretta e la spense sul palmo della mano.
"Cosa vuole quella donna da me? Sono stato un bravo ragazzo."

"Dio solo lo sa, ma entra nella parte quando arrivi, okay? Oh e non farti vedere da mamma con il tabacco o il tuo orecchio resterà marchiato di rosso per un mese."

Lui fece un cenno con il capo e si affrettò a prepararsi.
Mamma era avvolta nelle sue coperte al tavolo della cucina con una bibita frizzante, mentre Irina giocherellava con la sua gonna di nuovo, aspettando il mio ritorno.
Mi sedetti e le feci un sorriso, che lei ricambiò soltanto con molta falsità.

Aleksy mi seguii un momento dopo, i suoi capelli erano arruffati e la pelle imbrattata di sporcizia.
Le sue labbra erano lucide e bagnate di sangue dove, a furia dell'abitudine, lui le mordeva e aveva un barlume minaccioso nei suoi occhi pallidi, che a me non piaceva.
E come se non bastasse, era nudo come il giorno in cui sua madre lo partorì.

Dovevo ammetterlo: il ragazzo sapeva recitare.

Dovevo ammetterlo: il ragazzo sapeva recitare

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The Folveshch (traduzione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora