XVI

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Il dodici di ogni mese dovrebbe essere un giorno felice, il giorno della rinascita per me. Il dodici Lei mi aveva detto di si. Quel mese però, il dodici, è stato il giorno più buio della mia vita, ho visto mio nonno l'ultima volta. Era in pace e non mi ricordo onestamente nulla della cerimonia d'addio, oltre ai miei pianti. Lei c'era. Lei mi ha visto piangere, lei è venuta e mi ha preso come una mamma prende suo figlio per consolarlo. I suoi occhi erano dolci, più chiari. Non ci siamo detti molte parole, alcune volte le parole non servono. Non sempre le parole possono aiutare a sorreggerti, ma alcuni gesti possono essere di gran lunga più utili. Mi abbraccio. Un abbraccio che non avevo mai avuto, nemmeno da lei fino a quel momento.

Mi diede la forza di superare quella giornata.

Il mio più grande rimpianto è quello di non averle presentato mio nonno. Volevo che la conoscesse, volevo renderlo orgoglioso. Alcune volte mi manca davvero tanto, mi manca la sua voce. Gli parlo e gli racconto la mia giornata e lui alcune volte mi viene a trovare in sogno e mi sorride.

Mi piace pensare che mio nonno è diventato un angelo, un angelo che se lo chiami arriva e ti sorride. Non mi ha salutato quel giorno, ha preso il volo e se né andato. Vorrei tornare indietro nel tempo per rivederlo un'ultima volta, ma quando sarà il momento mi porterà con lui.

La vita è un treno e noi abbiamo un biglietto solo andata. Ci sono i passeggi, quelli che ci accompagnano per tutta la durata del viaggio. Poi salgono tante persone con cui puoi parlare, confidarti, aprirti, ma alcuni di essi rimangono per una buona durata del viaggio e altri scendono subito. Quando scendi tu però è la fine. Mio nonno era sceso dal treno e non è più risalito, ma il suo posto lo conserva mia nonna con molta cura, quindi quando vuole può venirci a trovare.

I giorni dopo sono stati traumatici per tutti, ma soprattutto per mia nonna. Mia nonna pensava di essere sola, ma io non la lasciavo mai, mai da sola. Io dovevo proteggerla, doveva avere mio nonno vicino e io facevo il possibile per portarlo da lei.

I miei nonni erano uniti, non erano monotoni, ridevano e si confidavano. Io volevo avere una storia così. Una storia vera, non una di quelle che oggi quasi tutti hanno. Una storia come quella dei miei nonni. Io sono molto grato a loro, loro mi hanno insegnato a essere quel che sono, mi hanno insegnato i valori da avere e mi hanno insegnato a rispettare le perone. La elogiavo con loro, e loro erano felici per me.

Lei era diventata la mia forza effettiva, la mia vera e unica forza che mi serviva. I suoi occhi grandi e marroni mi mandavano avanti, i suoi abbracci mi progettavano dal dolore e i suoi baci mi mandavano in paradiso.

Alcune volte mi veniva e mi viene da piangere pensando a mio nonno, mi viene il magone. Lei però mi riesce sempre a strappare un sorriso, mi riesce a sollevare. Mi piace quello che eravamo diventati. Mi piace che sognavo il suo sorriso e mi piace che mi faceva parlare, che mi strappava le parole di bocca per farmi sfogare. Odiavo e odio parlare di me, ma so che serve tanto. So che lo sfogo serve, ma io ero la valvola di sfogo per tutti. Io ascoltavo tutti e mi tenevo dentro i miei magoni, ma con lei non ci riuscivo. Lei si sfogava con me e poi faceva sfogare me. Lo fa ancora oggi. Lei mi viziava, lei mi considerava e mi reputava importante. Non ho mai avuto queste attenzioni da nessuno, neanche dai miei amici più cari. Lei però aveva la capacità di farmi crescere, di rendermi migliore... di rendermi leggero. 

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