Capitolo 12

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Quando quelle parole lasciarono le labbra di Lauren, i ragazzi smisero di fare qualsiasi cosa stessero facendo e sparirono lungo il corridoio, lasciandoci sole.
Appena vidi Troy chiudere la porta della cucina, saltai giù dal bancone e fulminai Lauren con lo sguardo.

<<Che diavolo vuol dire?!>>, sbottai.

<<Vuol dire che vieni a Phobos con me>>, disse in tono pacato.

<<Non posso venire a Phobos con te, Lauren!>>, dissi, scuotendo la testa. Strinse le sopracciglia e mi guardò intensamente.

<<E perché no?>>, chiese.

<<Qui c'è la mia famiglia, la mia vita. Non posso andarmene su un altro pianeta>>, dissi, sentendomi confusa piuttosto che arrabbiata.
Ero già stata troppo lontana dalla mia famiglia, e non potevo sopportare il peso di altra distanza. E io che credevo di rivederli adesso; parlare con loro e spiegare tutta la situazione e poi, avrei semplicemente dovuto decidere se ritornare a casa dalla mia famiglia oppure vivere con Lauren ed andare a trovarli ogni volta che volevo.
Inoltre, un conto era trovarmi nella stessa città ma con un paio di chilometri di macchina a separarci, un altro conto era andare su un altro pianeta in cui non conoscevo nessuno. Phobos era su Marte, quindi stava a significare che avrei dovuto indossare quelle tute da astronauta per viverci?

<<Devi farlo, Camila. Ti ho detto che ti avrei protetta ed è esattamente quello che farò portandoti via con me>>, disse, afferrandomi delicatamente per un braccio per portarmi a guardarla negli occhi. Sembrava disperata, come se cercasse in tutti i modi di convincermi a seguirla senza fare storie.

<<Scherzi, Lauren? Da quando siete arrivati voi, la Terra è diventata un posto più sicuro. Non ricordo quand'è stata l'ultima volta che ho sentito parlare di violenza domestica oppure di stupro>>, dissi. Era vero. Sembrava realmente che avessero migliorato la Terra da quando si erano trasferiti da noi; come se il loro arrivo avesse cancellato ogni traccia di male.

<<Non è questo che mi preoccupa, Camila. Devo prendermi cura di te, e questo significa portarti al sicuro. Portarti al sicuro, significa tornare su Phobos>>, disse, accarezzandomi una guancia. C'era qualcosa che brillava dietro ai suoi occhi verdi, come se dovesse dirmi qualcosa ma avesse paura di raccontarmelo. Mi stava nascondendo qualcosa, questo l'avevo capito. Qualsiasi cosa era, avrebbe potuto farmi del male, ed avevo capito anche questo. Stava cercando di proteggermi, ovviamente, ma cosa c'era di così spaventoso da farla tacere e farle avere così tanta paura?

<<Ti prego, dimmi che verrai>>, mi implorò, guardandomi con i suoi occhi dolci. Dio, quegli occhi erano proprio la mia debolezza.

<<Voglio vedere la mia famiglia>>, dissi.

<<Li vedrai>>, mi promise, annuendo.

<<Cosa mi nascondi?>>, chiesi.

<<Tutto quello che faccio, Camz, è solo ed esclusivamente per il tuo bene. Non dimenticarlo mai>>, mi disse. Prima che potessi farle altre domande, lei mi baciò con passione, stringendomi forte tra le sue braccia come se volesse assicurarsi che fossi reale, che mi trovassi davvero tra le sue braccia.
Con quel semplice bacio e con il suo corpo premuto contro il mio, persi completamente il filo del discorso e ben presto, eravamo solamente io e Lauren in quella cucina. Il mondo non sembrava esserci più, così come tutti coloro che ci abitavano. Eravamo solo io e lei.
Mi ritrovai di nuovo seduta sul bancone della cucina, con Lauren che si posizionava tra le mie gambe e mi teneva stretta contro il suo corpo. Quando si allontanò per farmi riprendere fiato, iniziai ad accarezzare i suoi capelli, come avevo scoperto le piaceva.
Aveva gli occhi chiusi e la testa poggiata contro la mia spalla, mentre mi permetteva di accarezzarla con la punta delle dita.
Mi morsi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere, mentre il corpo di Lauren diventata completamente rigido contro il mio.

My captorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora