Capitolo 5

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Quando i miei genitori decisero di trasferirsi in America da Cuba, per me le cose cambiarono radicalmente. Ricordavo che mia madre mi aveva detto che se andavamo via, era per poter andare a Dinsey Land ed io ero super emozionata.
Una volta cresciuta, mi ero resa ovviamente conto che forse era stata la scelta migliore. A Cuba non ci sarebbe stato un bel futuro per noi, per me, quindi andare via nel Paese Dei Sogni era la cosa migliore che mi era capitata.
Avevo cinque anni quando arrivammo in America, solo io e mia madre, perché mio padre non aveva avuto ancora il permesso per venire con noi. E ricordo di aver sentito la sua mancanza, perché comunque era il mio papà. Ci parlavamo a telefono tutte le sere, anche se questo significava che poi facevo i capricci perché non volevo più salutarlo.
Tuttavia, la mia vita non andò poi così bene. Avevo difficoltà a parlare inglese, che non è una lingua facile come credono molti, ed anche se i cartoni animati mi avevano aiutato parecchio, si poteva comunque sentire che non ero di origine americana- ma questa dettaglio sarebbe svanito col tempo-. Ero vittima di prese in giro a causa di ragazzi figli di papà, che si divertivano moltissimo a far sentire inferiori gli altri. Era assurdo vedere che in un bambino poteva esserci così tanta cattiveria, eppure accadeva.
Quel giorno mi trovavo al parco giochi, e mentre tutti bambini giocavano tra di loro, io facevo muovere l'altalena con i piedi in un vai vieni molto lento e tranquillo. Avevo spesso visto bambini che cercavano di arrivare alle stelle, e poi erano caduti a terra in preda alle lacrime e al dolore...Non ci tenevo a fare la stessa fine.
Mia madre parlava con un altro gruppetto di donne, che altro non erano se non le madri di quei bambini che mi tormentavano. Anche loro erano lì presenti, giocavano con una palla non molto lontano da me. Ridevano e scherzavano tra di loro, e quasi non sembravano gli stessi cattivi che mi prendevano in giro perché avevo un accento strano.
Un giorno presero in giro mia madre, perché lei aveva un accento molto più marcato rispetto al mio, e io ricordo di essere andata su tutte le furie. Potevano prendermi in giro quanto volevano, ma mia madre non andava toccata. Quella donna aveva fatto dei sacrifici enormi per me, e loro non dovevano nemmeno permettersi di prendersi gioco di lei.
Ricordo che la prima ad iniziare la presa in giro, fu Angel, una bambina che non sopportavo nemmeno un po'. Aveva i capelli rossi e ricci, e sembrava una fiamma che tanto avrei voluto spegnere gettandole contro un secchio di acqua gelata. I suoi occhi erano verdi e pieni di divertimento, ogni qualvolta che mi prendeva in giro. E come se non bastasse, Angel era la figlia di una delle migliori amiche di mia mamma, quindi per non darle un dispiacere, restavo in silenzio e subivo le sue angherie.
Quel giorno però, quando Angel disse che io e mia madre dovevamo tornare sul nostro pianeta e dopo avermi spintonato col gomito, io avevo reagito. L'avevo spintonata a mia volta, ma lei aveva dovuto fare l'esagerata e si era buttata a terra, dicendo che si era fatta molto male. Le sue amiche, perfide come lei, dissero subito che l'avevo fatto senza motivo. La mia maestra preferita mi mise in punizione e mi richiamò, ed  io non ebbi nemmeno il coraggio di dirle la verità. Al contrario, restai in silenzio, chiesi scusa ad Angel e passai un'ora rivolta verso il muro, a sentire gli schiamazzi di quelle bambine che erano divertite dal mio castigo. Da quel giorno non osai mai più difendermi o rispondere, capendo che se l'avessi fatto, loro avrebbero sempre rivoltato la situazione contro di me.

<<Ehi, aliena>>, disse uno di quei bambini. Erano così che mi chiamavano, anche se non capivo molto bene il perché. Insomma, uno dei loro amici apparteneva a quella nuova razza di alieni di cui non ricordavo il nome, quindi per quale folle motivo dovevano chiamarmi in quella maniera utilizzando un tono dispregiativo? Non lo capivo nemmeno io.
Non risposi, però misi una mano sulla fronte per proteggere gli occhi dai raggi del sole e li guardai, cercando di capire cosa volevano.

<<Abbiamo perso la palla. Perché non vai a prenderla?>>, mi chiese sempre lui. Era più grande di me, quindi lo vedevo rarissime volte. Si chiamava Brad se non mi sbagliavo.

My captorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora