Capitolo 7

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Quando la mattina mi svegliai Jackson non era più al mio fianco e nemmeno le sue valigie e le mie erano più nella stanza. Probabilmente le aveva caricate in auto, anche per me, appena si era svegliato oppure lo aveva fatto sua madre. Le avevo preparate ieri, prima di cena. Quella mattina infatti sarebbe cominciato il college ed io speravo solo di farmi presto degli amici e che passando del tempo con loro, avrei potuto mettere un pò il mio passato in secondo piano. Dovevo ricominciare e quello era il modo giusto di farlo. Dovevo lasciarmi tutto alle spalle e solo così ci sarei riuscita. Il college mi avrebbe aiutato molto, tenermi occupata con lo studio non mi avrebbe dato modo di rivangare ancora di più sul mio passato e io dovevo andare avanti, dovevo farmene una ragione, cercando di dimenticare.
Solo a ripensarci, tempo fa non avrei mai immaginato che la mia vita sarebbe arrivata a questo. Non avrei mai immaginato che tutto sarebbe cambiato, che io sarei cambiata. Perchè si, molte cose erano cambiate, soprattutto io. Il dolore aveva cambiato me e ciò che ero. Mi aveva distrutta e allo stesso tempo mi aveva resa più forte. Più forte perchè dopo tutto ero capace di sorridere anche se dentro di me avevo una bufera, un uragano di dolore che mi travolgeva sempre e quello di cui avevo bisogno erano delle distrazioni, dei nuovi primi amici e lì, al college, ero sicura che li avrei trovati. Prima o poi sarei riuscita a voltare pagina e a dimenticare tutto. L'unica cosa peggiore, l'unico ostacolo di questi miei piani era che quando pensavo di essere riuscita ad andare avanti, tutto ritornava ancora una volta. Quando pensavo che il dolore si fosse spento dentro di me, cominciava di nuovo a prendere fuoco, ad ardere ancora più forte di prima, come la notte precedente.

«Eccoci, siamo arrivati.» annunciò Johannah imboccando nel parcheggio davanti all'edificio del college. «Emily ascoltami, te lo ripeto ancora una volta, se hai cambiato idea, se non sei ancora pronta, puoi tornare indietro a casa con me, devi solo dirlo. Guarda che non sei costretta a partecipare alle lezioni. Sei sicura oppure hai bisogno di altro tempo?» mi aveva ripetuto quella domanda mille volte durante tutto il tragitto e durante i giorni precedenti, ma quest'ultima volta più seriamente del solito. Aveva una espressione preoccupata dipinta sul volto, anche se non c'era motivo di esserlo. Dovevo farlo prima di tutto per me stessa. Il college era l'unica opportunità che avevo per distrarmi e dovevo sfruttare quella possibilità.

«No, sono sicura. Questo mi aiuterà.» dissi e il suo viso si rilassò di colpo. Notai Jackson fissarmi da dentro lo specchietto dell'auto, come se anche lui fosse interessato alla mia risposta. Poi distolse immediatamente il suo sguardo quando si accorse che lo avevo notato e guardò male sua madre, forse stanco di sentire la solita domanda sin da quando eravamo partiti. Lui non sapeva quello di cui sua madre era a conoscenza su di me, avevo chiesto a Johannah di non parlargli del mio passato. Non volevo fargli pena più di quanto già lo facessi.

L'edificio era enorme. Una struttura antica ma allo stesso tempo molto elegante. Mi avviai verso la porta d'ingresso con Jackson, non appena sua madre ripartì. Non ci eravamo scambiati alcuna parola e persino quella mattina, dopo la scorsa notte, dopo che mi era stato così vicino, riprese ad evitarmi. Speravo che tutto si fosse risolto, ma a quanto pare le mie idee erano sbagliate. Non volevo che andasse in quel modo, soprattutto dopo che lui mi era stato accanto quando il giorno prima ebbi uno dei miei incubi, però se lui si comportava in quel modo, io non potevo farci nulla. Lui mi odiava perchè sua madre mi aveva adottata nonostante fosse contrario ed io, anche se avessi voluto, non potevo cambiare le cose. Quando però mi aveva stretta tra le sue braccia mi era sentita così dannatamente bene. Le sue braccia che mi avvolgevano per un momento mi avevano fatto sentire bene, come se tutto fosse sparito.

«Vuoi che ti porti la valigia?» mi chiese grattandosi la nuca senza alcun interesse. Anzi sembrava costretto a pormi quella domanda. Scossi la testa.

«No, ce la faccio» risposi.

«Come stai dopo ieri sera?» domandò guardandomi a stento come se volesse evitare il mio sguardo.

«Non lo so» dissi incaminandomi.
L'interno del college, come l'esterno, era anch'esso abbastanza elegante, con le pareti dipinte di blu e di un giallo opaco e trafficata da molti ragazzi anche loro, come noi, appena arrivati. Jackson conosceva già quel luogo, era il quarto anno che frequentava quel college e non appena entrammo sapeva dove andare, quindi si allontanò da me e prese delle chiavi da una donna di mezz'età in segreteria, poi si diresse forse verso la sua stanza.
Mi avvicinai anch'io a quella donna e la guardai digitare il mio nome al computer e scorrere giù con il mouse, per poi aprire un cassetto della scrivania e tirarne fuori una chiave. La recuperai ascoltando le indicazioni che mi diede per raggiungere la mia camera e solo dopo, salii fino al terzo piano e svoltai a sinistra in un lungo corridoio. Diedi uno sguardo sul numero riportato sopra tutte le porte sulla mia strada e trovai poco dopo quella che cercavo, la 182. Lasciai entrare la chiave dentro la porta di legno, girandola sulla destra ed essa s'aprì.




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