Nessuno in orfanotrofio voleva essermi amica e nemmeno io riuscivo a creare un approccio con qualcuno. Il dolore che provavo dentro non mi faceva reagire in nessun modo. Ero sempre rinchiusa in camera mia e guardavo dalla finestra gli altri giocare in cortile. Dopo tutto io ero diversa da loro, anche se sapevo che chiunque lì dentro aveva una storia alle proprie spalle e una vita simile alla mia. Ma loro riuscivano a divertirsi, a giocare, a ridere e soprattutto sembravano felici. Invece io non riuscivo a liberarmi di quel peso che portavo dentro di me. Era il mio piccolo, grande dolore che non condividevo con nessuno. Ero sicura che nemmeno allora sarei riuscita a farmi degli amici. Non era cambiato nulla. O forse si, qualcosa. Ero cresciuta, però anche il dolore era cresciuto insieme a me, ma ci avrei provato, perché avrei voluto davvero tanto farmi finalmente degli amici.
«Emily, non devi ringraziarmi. Sai che io ci sono e ci sarò sempre per te. Non sarai più sola, te lo prometto. Dai adesso ti lascio riposare un pò. Ti avverto quando sarà pronta la cena». Mi sorrise prima di lasciare la stanza. Aspettai che lei uscisse e presi la mia valigia. Iniziai a disfare le mie cose. La svuotai cacciando fuori tutto ciò che c'era al suo interno e il mio sguardo cadde su di una scatola ancora sul fondo della valigia, la scatola della mamma. All'interno c'erano dei suoi disegni e delle foto, lei amava disegnare e fotografare ogni cosa che riteneva da dover immortalare in una foto, persone, paesaggi e momenti da ricordare. Era una passione che aveva trasmesso anche a me, mi piaceva scattare foto e soprattutto immortalare l'azzurro. Frugai tra i vari fogli di carta, un pò rovinati e li trovai, i miei disegni preferiti. Ricordavo quando mia madre li disegnò, non avevo più di sei anni. Qualche ora dopo sentii delle voci discutere al piano di sotto e si poteva capire chiaramente che la discussione era concentrata proprio su di me. Attraversai il corridoio e raggiunsi le scale, da lì si sentiva perfettamente tutto ciò di cui si stava parlando.
«Ti avevo detto mille volte che non volevo che adottassi nessuno e tu come al solito non mi ascolti. Non lo fai mai. Perché cavolo hai chiesto la mia opinione se poi non mi hai nemmeno ascoltato e hai fatto di testa tua?» urlò una voce maschile. Mi sporsi dalle scale e riuscii solo ad intravedere un ragazzo di spalle che fece per andarsene, ma venne fermato dalla voce di Johannah.
«Jackson tu non sai quella ragazza cos'ha passato. È da molto tempo che non vive in una vera casa, da quando ha perso la sua famiglia, e ha davvero bisogno di ricominciare. Io voglio dargli questa opportunità perché per me è come una figlia e anche tu almeno prova ad essergli amico, te ne prego.» disse sua madre poggiando dei piatti a tavola e voltandosi completamente nella sua direzione.
«Neanche per sogno. Non voglio quella in casa mia e né tanto meno andrò d'accordo con lei. Te lo puoi scordare. È un suo problema se è rimasta senza genitori.» sputò fuori alzando la voce.
«Jackson! Non dire queste cose e abbassa la voce che è al piano di sopra, se ti sentisse ne resterebbe malissimo. Mi sono anche preoccupata di iscriverla al tuo stesso college. Spero andiate d'accordo te lo ripeto, che non la tratterai male e voglio che sia così, deve essere così, perché tu non sai quella ragazza cosa ha passato. Provaci per lo meno. Dammi una mano, ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto, ha bisogno di avere degli amici. Ha bisogno che da oggi in poi la sua vita sia diversa.»
Quindi quello era Jackson, suo figlio. Un senso di esclusione s'impadronì di me. Lui aveva ragione. Io non facevo parte di quella famiglia e suo figlio non aveva nessun torto a non volermi lì. In quel momento mi stavo sentendo fuori posto. Io non dovevo essere in quella casa. Dovrei essere a casa mia, in qualche posto in un'altra città, ma anche se l'avessi cercata non sarei riuscita a trovarla. Non sarebbe più come una volta. Casa mia era insieme alla mia famiglia e adesso che non c'erano più, non potevo più chiamarla mia. Non mi ero mai sentita così persa. Mai. Almeno non in quel modo dal giorno dell'incidente. Ritornai in camera lasciandoli ancora a discutere in cucina, ma poco dopo sentii Johannah chiamarmi per avvertirmi che la cena era pronta e fui costretta a scendere di sotto e a dover incontrare quel ragazzo che tanto mi odiava senza neanche conoscermi.
Quando li raggiunsi in cucina mi ritrovai davanti un ragazzo dalle spalle non molto larghe, capelli lunghi, e raccolti in una coda disordinata, con un ciuffo che gli ricadeva sul viso dai lineamenti delicati e che andava ad incorniciare le sue labbra molto carnose. Doveva essere qualche anno più grande di me. Aveva dei tatuaggi su di un braccio e la maglia abbastanza scollata da lasciar intravedere un altro tatuaggio sul petto, una scritta. Si passò una mano tra i capelli frustato e guardò male sua madre con un'aria arrabbiata, prima di voltarsi verso di me. Portò il suo sguardo nel mio intento a dire qualcosa, ma si bloccò all'istante quando i suoi occhi raggiunsero i miei.Il mio cuore sembrò fermarsi per qualche secondo, facendomi quasi male nel petto.
I suoi occhi erano terribilmente azzurri.
Lui mi guardò dritto negli occhi senza dire nulla per un momento.
«Io sono Emily.» gli porsi la mia mano che ignorò completamente e quando la ritrassi verso di me, abbassò lo sguardo su di essa lasciando entrare solo allora l'aria nei suoi polmoni e ricacciarla all'esterno qualche secondo dopo che i nostri sguardi si erano incontrati ancora una volta, prova che anche lui come me aveva trattenuto il respiro. Mi aspettavo che si presentasse. Ma lo vidi fissarmi subito dopo in malo modo, senza incrociare il mio sguardo in quel momento. Si appoggiò alla parete e prese un respiro profondo. In quell'attimo mi guardò ancora dritto negli occhi. Passò un breve momento e poi fece dei passi verso di me. «Spero che tu sia contenta adesso.» disse, dopo alcuni minuti, rompendo il silenzio, con i nostri sguardi combaciati. «Spero che tu sia felice di esserti intromessa nella nostra famiglia, nella nostra vita.» alzò la voce rabbioso, uscendo di casa e sbattendo la porta alle sue spalle. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
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You Found Me [COMPLETA]
RomanceCon un passato difficile alle spalle, Emily Martin affronta la vita giorno per giorno, cercando di non pensare al suo tormentato passato. Una ragazza che ha bisogno di essere nuovamente felice, di trovare quella felicità che le apparteneva prima del...