Capitolo 33

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Quello che percepivo era una sensazione di stordimento, forse perché non riuscivo a smettere di piangere. Ero in una camera, non potevo muovere le gambe e le braccia che erano state legate alla perfezione con una corda alle sbarre del letto su cui ero sdraiata. Poco alla volta quel luogo diventava più familiare. Ricordai di essere stata portata in quella casa con forza. Erano passate delle ore in cui ero stata lasciata al buio. Quando la porta si riaprì e lo vidi, mi terrorizzai. Si avvicinò con passo svelto verso il letto su cui ero legata e cominciò ancora una volta a svestirsi.

«Sei solo mia.» sussurrò salendo a cavalcioni sopra di me. Io era già senza i miei vestiti addosso per quello che mi aveva fatto ore prima. Prese ad accarezzarmi l'addome e penetrò con forza dentro di me. Strinsi i denti e urlai con voce soffocata. Quello che avvenne dopo fu tutto una confusione. Ricordo solo che l'intera stanza venne occupata dalle grida di Jackson.

«Ho fatto in modo che rimane un bel ricordo in lei, così saprà che appartiene solo a me.» ed eccolo. Il ricordo di cosa mi aveva fatto mi devastò completamente, mi mancò il fiato e sembrava che non fossi in grado di controllare il ritmo del mio respiro.

Mi risvegliai sudata e con il volto bagnato dalle lacrime. Non riuscivo a respirare. Sentivo mancarmi il fiato. L'aria non arrivava ai miei polmoni che cercavano ossigeno con violenza.
Quello era un attacco. Mi allarmai. Il mio petto si abbassava e si rialzava ripetutamente. Afferrai un braccio di Jackson al mio fianco e lo strattonai con forza.

«Emily.» bisbigliò stropicciandosi gli occhi. Accese la lampada di fianco al letto e mi guardò con aria assonnata.

«Non respiro.» tentai di dire in un sussurrò.

«Che succede?» chiese preoccupandosi. Cominciai a sudare e la sua voce era sempre più lontana. Mi alzai con le gambe tremanti trattenendomi al muro. Andai al centro della stanza spingendo una mano contro il mio petto. Mi voltai quando avevo sentito afferrarmi per le spalle.

«Mi stai facendo preoccupare. Dimmi cosa ti sta succedendo!» il tono della sua voce era alto. Mi osservava allarmato.

«Sto avendo un attacco.» dissi cercando di ispirare delle boccate di aria. Mi addossai a lui, le gambe mi cedevano. Mi trattene tra le sue braccia e mi fece accostare alla parete accanto alla porta. Scivolai lungo il muro, accasciandomi a terra. Strinsi i pugni e respirare divenne sempre più difficile. Diedi un pugno contro il pavimento a cui ne seguirono altri fino a quando Jackson non si accasciò al mio fianco e mi prese le mani tra le sue per farmi smettere.

«Calmati, devi calmarti.» disse scostandomi dei capelli sudati dal viso. I singhiozzi mi bruciavano in gola e nel petto. Sentivo il battito del mio cuore accelerato sino nella mia testa che rimbombava.

«Non respiro.» tentai di dire. «Non riesco a respirare.» dissi infine e quando cercai di ispirare una boccata d'aria, la mia gola emise ansiti strozzati.

«Andiamo in infermiera.» disse strofinandosi il viso con una mano non sapendo cosa fare. Si rialzò andando avanti e indietro. «Ma a quest'ora però non c'è nessuno.» constatò inginocchiandosi di nuovo al mio fianco. Mi circondò con le sue braccia ed io nascosi la testa nell'incavo del suo collo stingendo gli occhi. Quelli che uscivano dalle mie labbra erano ansiti vuoti, che mi bruciavano su per la gola. Afferrai la sua maglietta stringendola con forza. Stavano ricominciando, non credevo che dopo tutto quel tempo sarebbero ricominciati, ma quella era già la seconda volta che succedeva. Era già la seconda volta che il panico mi assaliva e mi procurava quegli attacchi. Continuavo a non riuscire a respirare e quando riaprii gli occhi la vista mi si era appannata. Le lacrime scendevano possenti sul mio viso.

Non passava. Il panico non passava.

«Piccola.» mi afferrò il viso tra le sue mani e mi accarezzò una guancia. «Non so cosa fare per aiutarti, non sono capace di fare niente.» scossi la testa a quelle sue parole. Lui accostò la fronte contro la mia e una mano sul mio petto. «Respira insieme a me.» sussurrò ed io così feci. Seguivo il ritmo del suo respiro, all'inizio non accadde nulla, ma poi poco a poco delle piccole boccate di aria arrivavano ai miei polmoni, il petto si abbassava e rialzava con più lentezza e restammo in quel modo fino a quando non ripresi a respirare quasi normalmente. Aprimmo gli occhi nello stesso istante, lui in quel momento mi baciò e fu in quel modo che passò del tutto. Il respiro divenne regolare, il battito lo stesso e sembrò tutto essere ritornato normale. Poggiai la testa contro il muro e aspettai qualche minuto per essere sicuro che fosse davvero di nuovo tutto normale.

«È passato?» chiese asciugando le lacrime dal mio viso.

«Si. È passato.» dissi lasciandomi entrate tutta l'aria possibile nei polmoni. Mi staccai dalla parete e mi accostai tra le sue braccia appoggiando la testa sul suo petto. Lui mi avvolse subito, senza farselo nemmeno dire.

«Mi hai fatto spaventare.» sussurrò depositandomi un bacio sulla testa e mi accarezzò la schiena. «Non avevi mai avuto un attacco.» constatò.

«Sono iniziati dopo l'incidente, in quel periodo erano davvero frequenti. Ultimamente, negli ultimi anni sembrava che fossero passati, ma mi sbagliavo. Questa è la seconda volta che capita in questo periodo.» spiegai mentre mi lasciavo cullare dalle sue carezze. L'unico posto in cui mi sentivo protetta, al sicuro.

«La seconda volta?» domandò confuso, facendomi rialzare dal suo petto per guardarmi.

«Si.» dissi. «È la seconda volta che succede, ma questo non importa.» sviai l'argomento. Non volevo dirgli che la prima volta che avevo avuto un attacco dopo tutto quel tempo che non ne avevo più avuto uno, era stato il giorno in cui io avevo deciso di lasciarlo.

«Certo che importa.» disse serio, guardandomi negli occhi. «A me importa.» sussurrò. Gli raccontai allora di quel giorno, gli avevo già mentito una volta e non volevo farlo ancora e lui sembrò sentirsi in colpa, quando la colpa era solo mia. Ero stata io ad averlo lasciato, non lui.

«È stato per il panico di averti perso.» confessai.

«Non mi avevi perso.» disse lasciandomi un bacio sulle labbra. Mi afferrò per le spalle e mi fece sedere sulle sue gambe. «Questa volta, invece, perché è successo?» chiese. Non risposi subito, mi ero irrigidita. Il solo ricordo di quello che mi aveva fatto mi colpiva in pieno.

«Ho avuto un incubo.» mormorai quasi senza farmi sentire.

«Sono ricominciati di nuovo gli incubi?» si preoccupò all'istante. Capivo quando si preoccupava, si formavano delle rughette ai lati dei suoi occhi e il suo sguardo diventava più freddo. Mi strinse più stretta ed io mi accoccolai di più a lui.

«No, non sono ricominciati.» scossi la testa. «Un incubo su quello che è accaduto oggi.» abbassai il viso.

«Piccola, non devi preoccuparti. Lui non ti farà più nulla di male. Non lo permetterò, poi non uscirà da prigione per un pò.» sapevo che stava male per non aver potuto evitare ciò che era successo. «Questa volta sarà davvero così, non saranno di nuovo solo parole al vento. Te lo prometto. Devi fidarti di me, non capiterà più.»

«Lo so.» cominciai. «So che non lascerai che mi faccia più del male. Mi fido di te.» sussurrai prima di depositare un bacio sulle sue labbra. In quel momento mi accorsi di indossare dei vestiti puliti. Quando eravamo ritornati in dormitorio io dormivo e lui non mi aveva risvegliato. Mi aveva rivestito e messo a letto. «Andiamo a dormire?» chiesi facendo uno sbadiglio.

«Andiamo a dormire.» disse, sorridendomi leggermente.

«Ti amo.» soffiai sulla pelle del suo viso, poco lontano dalle sue labbra.

«Ti.» mi lasciò un bacio sulla fronte. «Amo.» un altro sul naso. «Anch'io.» ed infine sulle labbra.

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