Capitolo 13

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Si guardarono ed i loro occhi si dicevano tutto. Si era sempre detto che gli occhi urlavano quello che la voce non riusciva neppure a sussurrare e loro lo stavano facendo. Il loro sguardo diceva più di mille parole.

Jackson ritrasse istintivamente la sua mano, come se quello che aveva appena fatto non era una cosa nella norma, come se fosse stato sbagliato accostare la sua mano alla mia.

«Mia madre molto tempo fa morì di cancro, quando io e mia sorella eravamo solo delle bambine. Ogni giorno si spegneva sempre di più, fino a quando quella brutta malattia l'ha strappata da noi.» cominciai a raccontargli della mia vita, non so nemmeno perchè lo stavo facendo. Lui alzò lo sguardo verso di me, ascoltandomi attentamente. «Da quel giorno mio padre era irriconoscibile, all'inizio non parlava con noi, dormiva tutto il giorno, non andando nemneno più a lavoro.» Mi voltai verso la finestra alla nostra destra e guardai fuori, cercando di trattenere le lacrime.

«Emily, non devi parlarmene se non ti va.» disse lui, ma continuai lo stesso. Ormai avevo cominciato e sentivo che parlarne anche con lui mi avrebbe fatto solo del bene.
«Poi lui cominciò a bere, e non solo. Non ci accompagnava nemmeno più a scuola, era più di una settimana che non lo faceva, tanto che cominciarono a chiamare a casa. Lui rispondeva che non ancora avevamo superato la perdita di nostra madre.» sospirai rattristita. «Non c'era più durante il giorno, tornava a casa solo di sera ubriaco e barcollante. Una di quelle sere rientrò a casa, ma non andò a dormire come faceva ormai di solito. Si avvicinò a me rabbioso e mi urlò che era colpa nostra se mia madre non c'era più, e ci incolpò anche perchè in quei giorni gli fu comunicato che aveva perso il lavoro.» a quel punto una lacrima mi solcò la guancia.

«Emily, non voglio che piangi, basta così.» Non feci nemmeno caso alle sue parole.

«Mi tirò uno schiaffo quella sera, poi un altro e un altro ancora. Lo stesso fece con mia sorella e questo non fu niente. Ogni sera tornava a casa incolpandoci e picchiandoci pesantemente, fino a quando una di quelle sere torno a casa e ci caricò in auto, provocando l'incidende con cui mia sorella morì.» Mi bloccai, cominciai a piangere silenziosamente poiché c'erano altre persone intorno a noi. Jackson si alzò e venne vicino alla mia sedia, inginocchiandosi. «Mi dispiace per tutto quello che ai passato, ma non piangere, ti prego. Non ti meriti di soffrire così.» Mi asciugò le lacrime, e mi strinse in un abbraccio.

                             ***

Non appena varcammo la porta, uscendo dal ristorante dopo aver finito di mangiare, l'aria gelida mi aveva investito in pieno petto. Indossavo una felpa leggera ed era stato un errore da parte mia non portarmi nulla per coprirmi. Quel giorno faceva molto più freddo rispetto a quello precedente.
Jackson si accorse dei miei brividi. «Stai tremando, hai freddo?» chiese poggiando con delicatezza una sua mano sul mio braccio.
«Tieni.» lo vidi sfilarsi velocemente la sua felpa porgendomela ed insistette affinchè io la indossassi, avendola vinta lui. La infilai e lo ringraziai subito dopo.

«Mi dispiace.» disse prima di salire in auto.

«Ti dispiace di cosa?» lo guardai confusa.

«Per aver passato tutto quel tempo a trattarti male e ad accusarti di esserti intromessa nella mia vita.» sospirò.

«Non fa nulla. Avevi ragione.» dissi abbassando lo sguardo.

«No, ho sbagliato. Non avevo ragione, mi sono comportato male con te e non lo meritavi, ma voglio rimediare.» mi sollevò il viso con la sua mano. «Mi dispiace anche di non aver fatto prima questo passo verso di te. Ma non avevo mai provato una cosa simile per nessuna. Sono stato con delle ragazze, ma mai che provassi realmente qualcosa per loro. Avevo bisogno di capire.» disse avviando l'auto lungo la strada. Restai in silenzio mentre continuava a guidare. Non sapevo nemmeno cosa dovevo dire. Le cose che mi stava dicendo mi confondevano.

Si inoltrò in una strada serrata, la ghiaia scricchiolava sotto le ruote. Non sapevo dove mi stava portando. Sembrava una specie di parco abbandonato dove si era appena accostato con la macchina, un parco che però non poteva essere definito davvero tale. Eravamo quasi nel bel mezzo del nulla, soli, senza altre persone, senza auto che sfrecciavano sull'asfalto come nel centro della città, nulla. Sono noi due. Era un posto circondato da alberi, un luogo sereno, piacevole.

«Ci venivo spesso con mio padre quando ero piccolo, ovviamente prima che decise di andarsene ed è davvero bello vedere il tramonto da qui.» spiegò guardando in un punto nel vuoto. Iniziò poi a camminare, invitandomi a seguirlo ed io lo feci. Lo seguii lungo ad una stradina che emerse poi in uno spazio deserto ed iniziai a capire allora perchè quel posto gli piaceva, era così tranquillo, silenzioso. Una distesa di erba, coperta dalle mille foglie cadute dagli alberi che la circondavano. Era tutto così bello. Tutto così perfetto.

«Ti piace?» chiese una volta dopo essersi seduto sull'erba sotto ai nostri piedi, vicino ad un albero, accorgendosi forse nel modo in cui guardavo rapita quel luogo.

«Questo posto è davvero bellissimo.» dissi lasciandomi scivolare di fianco a lui che sembrava così perso nel vuoto, quasi afflitto, pensieroso. Forse era per quel posto, forse era per suo padre ed era parecchio assurdo, eppure mi faceva male vederlo così abbattuto.

«Jackson.» in quel momento fui io ad accostare leggermente la mia mano sul suo braccio. «Va tutto bene?» chiesi.

«Sì, va tutto bene.» disse, con un leggero sorriso. Non feci altre domande, ma si capiva dai suoi occhi che non era così. Mi voltai ammirando ancora quel posto e in quel momento mi venne voglia di disegnarlo. Tirai fuori dalla borsa il mio diario e la matita, che portavo sempre con me e notai che Jackson mi guardava. Cominciai a disegnare e quando terminai lui osservava il mio disegni rapito.

«È davvero bello, sei molto brava a disegnare.» disse. «Sai, stavo pensando.» si voltò verso di me. «Pensando che, sono questi la causa.» disse avvicinandosi un pò di più a me ed indicando i miei occhi con un suo dito. Qualcosa cominciò a farsi sentire nel petto. Mi prese qualche secondo dopo il viso tra le mani e si avvicinò ancora. Eravamo ormai fronte a fronte. La sua accostata contro la mia. «Sono questi due che mi hanno fregato, Emily.» Il mio cuore aveva preso a battere davvero troppo forte, talmente forte che quasi temevo che lui potesse sentirlo. «I tuoi occhi Emily, i tuoi maledetti occhi. Solo loro ad avermi fregato.» aggiunse. Accarezzò i miei capelli ed io potei sentire i nostri respiri diventare man mano sempre più pesanti. Il cuore mi martellò così forte che avevo temuto potesse uscirmi dal petto da un momento all'altro e il suo respiro caldo, lo sentivo sul mio viso. Ci stavamo guardando negli occhi. La tensione era padrone di noi in quel momento. Averlo a quella distanza mi faceva impazzire. Era davvero bellissimo. Il suo sguardo era così profondo. Ci guardavamo fissi. Incantati, l'uno dagli occhi dell'altro. Lo sentivo ispirare molte volte come se anche lui si sentisse nello stesso modo in cui mi sentivo io. Sulle mie labbra spuntò un leggero sorriso, uno di quelli che non si riescono a trattenere per l'emozione. Poi declutii faticosamente. A quel punto non ci fu più nessuna esitazione. Finalmente le nostre labbra si sfiorarono e fu un bacio travolgente. Uno di quelli che ti tolgono il respiro. Ti fermano il cuore spaventandoti a morte, perchè sono capaci di farti provare cose che non hai mai provato prima. Uno di quelli che ti tolgono le forze, rendendoti abbastanza impotente. Ci stavamo baciando senza limitarci a guardare quello per cui mi aveva portato realmente in quel posto, senza limitarci a guardare il tramonto di fronte a noi, ma vivendolo. Vivemmo quel tramonto a modo nostro, con un bacio, e non mi serviva guardarlo, perchè di fronte a me avevo qualcosa di molto più bello.

Entrambi non avrebbero mai pensato di amare qualcuno così, al primo colpo, così presto, di innamorarsi così facilmente. Non avrebbero mai pensato di incrociare uno sguardo e rimanerci secchi in quel modo. Non avrebbero mai pensato che occhi così belli potessero esistere e capirono anche che non avrebbero mai potuto baciare altre labbra e provare le stesse sensazioni dopo aver provato quello che stavano provando. Altro che farfalle allo stomaco, altro che nodo alla gola. Quello che loro provavano in quel momento, in quel loro piccolo momento, andava ben oltre a tutto ciò. Quello che però più di tutto li avrebbe inondati, non era quello che sentivano in quel momento, ma quello che sarebbe diventato in futuro tutto quello. Qualcosa che sarebbe cresciuto talmente tanto, da diventare un amore fuori misura. Un amore fuori regola. Fuori tutto. Non sarebbe mai esistito un amore che sarebbe stato capace di superare il loro. Chiunque li avrebbe visti in qualche tempo dopo, poteva solo rassegnarsi, perchè non avrebbe mai trovato qualcuno capace di amarlo tanto quanto avrebbero fatto quei due. Tanto quanto sarebbe diventato il loro amore in futuro.

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