Ho vinto, tigre.

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Mi sentivo stupida. Stupida perchè mi ero preoccupata tanto per una persona che come se niente fosse mi aveva detto quasi con tono arrabbiato di essere abbastanza matura per cavarsela da sola. Di essere il miglior uomo della banda e di essere responsabile. Ma soprattutto, mi sentivo stupida nell'essermi innamorata di un ragazzo tanto difficile e controverso.

Perchè ormai sì, ormai c'ero dentro e parecchio. Ormai era diventato impossibile negare sia agli altri che a me stessa l'evidenza ovvero che Justin non mi era più indifferente.
Non sapevo se definirmi ancora propriamente innamorata, consideravo quel temine molto grande e importante, che forse richiedeva mesi di conoscenza ma comunque, la cosa che potevo affermare era che quel ragazzo non era più solo uno dei tanti.
Ma era solo un idiota, il ragazzo più stupido che avessi mai incontrato. Ero così arrabbiata e delusa da lui.
I giochi però erano fatti, mi ero scavata una buca da sola - o almeno così credevo - perchè mi ero lasciata andare, mi aveva vista in lacrime per lui, gli avevo detto a chiare lettere che era divenuto fondamentale per la mia vita insomma, gli avevo dato buoni motivi per intuire che non era più solo il mio allenatore e tutore.

Me ne stavo seduta a gambe incrociate sopra un muretto di cemento del piccolo cortile interno dell'ospedale. Era abbastanza grande e in lontananza sopra la piccola collinetta di scorgevano due infermieri con due pazienti dello stesso reparto di Justin. Ero stanca di quella situazione, volevo andarmene. Spostai distrattamente una ciocca dietro l'orecchio e tornai a guardarmi le dita, magre e lunghe che facevo muovere sopra le cosce quasi per tenerle sveglie.
Alzai lo sguardo quando la lunga porta a vetri cigolò apredosi a una decina di metri da me dove il vialetto di pietre iniziava per poi percorrere con dolci curve tutto il giardino.
Justin camminava con il braccio stretto a quello di un'infermiera accanto a lui. Muoveva lentamente un passo dietro l'altro proprio come la donna che stava al suo ritmo che francamente era molto lento. Non era molto giovane, le rughe sul suo collo la tradivano nonostante tenesse abbastanza curata la pelle del viso, i capelli biondi erano lunghi giusto da coprirle appena la nuca, i piccoli occhi neri truccati con un filo di ombretto azzurro risaltavano nel viso paffuto che dava spazio ad un piccolo naso e carnose labbra rosa.
"Posso lasciarlo a te?" tornai alla realtà quando mi arrivarono davanti. Justin si teneva l'altra mano ferma sul fianco colpito dal proiettile che solo allora notai fosse bendato con una garza bianca.
Annuii senza lasciar trasparire alcuna emozione mentre Justin veniva aiutato dalla donna a sedersi al mio fianco.
"Portalo all'ingresso fra mezz'ora, chiedi di Benedicta. Arriverò il prima possibile" ci lasciò con un sorriso mentre si affrettava a rientrare.
L'aria di quiete che sembrava aver portato quell'innocente donna se ne andò subito. Adesso il giardino era occupato solo da noi, da due assassini in lite.
"Come stai?" non potevo credere che me lo avesse chiesto davvero e per un secondo la sensazione che fosse stato solo uno scherzo prese spazio nella mia mente. Ci speravo, suppongo.
"Bene" se voleva fare il falso, io lo sarei stata ancora di più. "Tu?"
"Credevo si notasse" m'imposi di non rispondere in modo affrettato. Gli avrei tanto voluto rinfacciare le sue parole quando diceva di essere forte, di essere il migliore e di non aver bisogno di una mano, specialmente da me. "Ma non voglio parlare di questo. Ti va di fare due passi?"
Mi voltai verso sinistra, mi guardava docile, quasi suppicante.
Abbi pietà di lui, abbi pietà di questo stronzo. Mi dissi.
Mi alzai mentre lui lentamente mi affiancava. Solo allora mi ricordai di quel piccolo dettaglio, allungai il braccio nella sua direzione alzando gli occhi al cielo e attesi che lo prendesse con il suo proprio come l'infermiera lo aveva retto per portarlo da me. Justin però mi squadrò pochi secondi il volto facendo poi intrecciare le dita della sua mano con le mie.
Deglutii.
Perchè doveva fare così? Perchè doveva farmi quell'effetto?
Iniziammo a camminare lungo lo stretto vialetto e per i primi minuti nessuno dei due osò aprire bocca o anche solo fiatare. Di certo comunque, non sarei stata io ad avviare una conversazione, non ero del resto stata io a chiedergli di trovarci in quel giardinetto per parlare.
"Mi dispiace per prima" sospirò. "Lo so che hai tutte le buone intenzioni nei miei confronti ma, vedi.." si bloccò passandosi nervosamente la mano libera fra i capelli.
Sembrava che fare una frase di senso compiuto fosse complicato per lui.

"Ho avuto solo paura, paura di sentirmi dire che non ce l'avevi fatta" mi sentii nuovamente debole mentre trovavo il coraggio di parlare. "Paura che Tomas mi chiamasse alla centrale e mi facesse trasferire da chissà quale pazzo ma più che altro sai che c'è? C'è che avevo paura di non vederti più, cazzo. Di non riuscire più a sentirti ridere, sentirti parlare, gridare e litigare con me, sembra ridicolo ma ho avuto sul serio paura".
"Lo so" mi guardava con occhi colmi di dolore, era la prima volta. "So che non era una farsa, che stavi davvero male per me ma sono così idiota da non capire nemmeno quando qualcuno tiene davvero a me, da non capire nemmeno che tu ci sei davvero" sentii la sua mano stringere più forte la mia. Sembrava quasi che fosse arrabbiato ma che dicendo quelle parole la rabbia fosse aumentata ancora di più.
"Non puoi continuare così" sospirai. "Devi capire che non tutti sono al mondo solo per metterti i bastoni fra le ruote. Prendi David, o Nathan, sono tuoi avversari teoricamente e per quanto siate rivali davanti agli occhi di Tomas sono tuoi amici e non ti tradirebbero mai. Poi guarda me, non mi sono mai preoccupata tanto di una persona, nemmeno per Dylan che era il mio ragazzo" sul suo volto si dipinse un sorriso. "Non ti vogliamo prendere in giro, o ce ne saremmo già andati".
"Sentirlo dire è bello, direi che è meglio di quel che credevo".
"Sei uno stronzo" sul suo viso il sorriso creatosi poco prima se ne andò così come quell'aria apparentemente serena abbandonò il mio.
Non mi interessavano le sue scuse o forse, non ce la facevo ad accettarle. Ero stata così male ed ero ancora così arrabbiata.
"Lo so, me lo dicono tutti" spostò lo sguardo dai miei occhi a un punto indefinito del giardino. Come poteva lamentarsi di ciò? Non era possibile non considerare uno stronzo un ragazzo che quando ti preoccupi per la sua vita ti caccia come aveva fatto lui con me.
Raggiungemmo l'estremità del giardinetto dove era stato allestito un piccolo laghetto con dei pesci rossi. Dicevano che gli anziani dell'ospedale si divertissero a dar loro da mangiare, era una specie di attrattiva. Almeno strappava loro un sorriso.
"Non volevo ferirti, come devo dirtelo?" Justin alzò notevolmente il tono della voce facendomi digrignare i denti.
Stavamo litigando ma ci tenevamo per mano. No, non aveva senso.
Mi portai le braccia al petto interrompendo quel contatto. Forse risultavo io la stronza ma non me ne fregava niente, fanculo la gentilezza.
"Non puoi trattare le persone di merda, non quelle che tengono a te. Non quelle che ti si presentano davanti in lacrime!" sbraitai sentendo gli occhi pizzicare.
Justin sospirò frustrato.
"Non volevo, non sono abituato a ricevere affetto e tu sei arrivata lì in lacrime che quasi credevo fosse uno scherzo!" gesticolò affannosamente.
"Uno scherzo?" inarcai un sopracciglio. "Piangere credendo di perdere una persona non è uno scherzo" l'immagine di mio padre mi tornò alla mente e subito dopo quella di Natasha così che un brivido mi percorse la schiena.
Deglutii.
"Lo so. Sono fatto così e forse sono un caso disperato, okay? Non puoi pretendere che il ragazzo senza cuore, quello che non sa amare - come mi definiscono tutti - all'improvviso si commuova o robe del genere!" per l'ennesima volta mi sentii presa in giro.
Gli importava solo di non dare torto al suo orgoglio, solo mantenere la reputazione intatta.
"Non posso credere di aver creduto solo un secondo che potessi essere una bella persona, di aver visto del buono in te. Sei uno stro.." mi baciò.
Rimasi immobile, paralizzata inizialmente. Iniziò a muovere piano le labbra sulle mie e non riuscii a rinnegarlo.
Avevi voglia di lui, di sentire il suo sapore, il suo profumo, di avere il gusto di menta e fumo sulle labbra per ore. La sua lingua s'intrufolò senza chiedere il permesso nella mia bocca entrando in fretta in contatto con la mia. Un brivido mi percorse la colonna vertebrale.
Justin passò lentamente le mani sui miei fianchi fino ad arrivarmi alle cosce mentre mi lasciavo sfuggire un gemito ogni qualvolta mi mordicchiasse il labbro inferiore.

Sapeva baciare così bene che, Dio. Credetti di morire.

Ci staccammo dopo interminabili secondi per riprendere fiato, la lingua che bruciava e il respiro irregolare. Alzai gli occhi nei suoi, mi giardava soddisfatto, serio e pensieroso allo stesso tempo.
"Credi davvero che non abbia capito che sei diversa dalle altre?" avvampai appena prima che le sue labbra si riposassero docili sopra le mie. Non era uno di quei baci selvaggi ai quali ci eravamo abituati, era più una promessa solenne che ci stavamo stringendo l'uno all'altro, era più la promessa di un qualcosa di indefinito ma che sembrava andarci più che bene.
Quando tornammo a un paio di centimetri di distanza notai per la prima volta i suoi occhi essere più chiari di quel che credevo. Un'iride nocciola trafitta da una linea verdognola e dai rifletti scuri, solo lui avrebbe potuto avere degli occhi simili.
"Devi smetterla" sentii gli occhi pizzicare.
"Di fare che?"
"Di fare così" sospirai. "Di confondermi sempre di più. Mi baci come se non ci fosse un domani e poi il domani che cos'è? E' vederci come sempre la mattina come due conoscenti qualsiasi, come se non fosse successo niente. Non posso continuare così" una lacrima mi scappò rigando il volto.
Justin sospirò passandomi dolcemente il dito sopra la guancia togliendo quella goccia salata dal mio viso.
"Non sono un principe e, tu sei una principessa" socchiusi gli occhi per capire il senso di quelle parole.
Justin si passò nervosamente le dita fra i capelli lasciando scontrare la schiena con la corteccia dell'albero dietro di lui.
"Non sono pronto. Non ho certezze, non so cosa stia succedendo so solo che è nuovo per me" si bagnò le labbra con la lingua tornando a guardarmi. "So solo che quando ti vedo ho solo voglia di baciarti, starti vicino e tutte le stronzate che fanno nei film romantici; non posso farci niente" chiusi gli occhi stringendo le mani in due pugni.
Non poteva continuare così, no, non poteva.
"Non sono il ragazzo perfetto, okay? Non lo sarò mai, non sono mai stato innamorato, non ho mai avuto una ragazza seria e tutto questo mi spaventa. Ma non voglio perderti" mi prese i polsi portandoseli al petto e stringendoli fra le dita. "Davvero, non posso" deglutii.
Cosa provavo per Justin? Non lo sapevo ed era tutto un fottuto casino.
"Non mi perderai" sorrise facendo scontrare nostre fronti.
Forse, nessuno dei due era davvero pronto e forse avremmo dovuto aspettare che non fosse tutto solo una cotta da ragazzini. Non potevo rischiare che lo fosse.

La sera tardò ad arrivare, almeno per me. Justin era stato costretto a tornare dentro prima del previsto, lo avevano portato nella sua stanza, cambiata la benda al fianco dove la ferita era stata chiusa da alcuni punti di sutura e quella Benedicta gli aveva fatto ingerire una pasticca. Si addormentò in fretta sotto i nostri occhi e venni costretta ad abbandonare la stanza per ritorvarmi in sala d'attesa un'altra volta.
Erano quasi le nove ormai, mi ero concessa una merendina ai distributori automatici e un'infermiera mi aveva lasciato metà del suo pranzo che non aveva finito. Un panino al tacchino, non era male. Niente di che.
"Signorina Wilson?" stropicciai gli occhi quando Benedicta si avvicinò a me sfilandosi il camice e piegandolo accuratamente fra le mani. "Il mio turno è finito, per Justin ci sarà il Dottor. Williams questa notte. Può entrare a salutarlo prima che termini l'orario delle visite se desidera" annuii alzando la lampo della felpa scura mentre la donna se ne andava con un piccolo sorriso.
La stanza di Justin era l'ultima del corridoio del secondo piano sulla destra, aprii la porta con cautela quasi a non fare rumore ma speravo non dormisse. Avevo bisogno di sentirmi dire qualcosa o non sarei riuscita a chiudere occhio per tutta la notte che - detto fra noi - non sapevo ancora dove l'avrei passata.
Non sarei tornata all'hotel da sola.
Il letto di Justin era disfatto, se ne stava con la schiena contro la spalliera e lo sguardo fuori dalla finestra che dava sul giardino ormai deserto. Tossij un paio di volte attirando la sua attenzione.
Quando mi riconobbe accennò ad un sorriso. Sembrava che quel bacio avesse tranquillizzato l'animo di entrambi.
"Come sta la ferita?" mi portai seduta sul lato destro del suo letto.
"Bene, credo. Non fa male" si passò le dita sulla fasciatura sotto la maglietta alzando le spalle.
"Tomas era soddisfatto quando ha sentito che la missione è andata bene".
"Ti ha chiamato?" sembrava che la cosa lo turbasse. Forse solo perchè lo avevo nominato o forse, perchè per l'appunto mi aveva chiamata.
"Sembra gli importi qualcosa di te" scrollai le spalle. "I ragazzi non sanno nulla, non voglio che si agitino e falliscano per colpa nostra" cambiai argomento.
Justin rimase asserto qualche secondo con espressione seria mentre mi guardava per poi annuire.
"Buona sera" una voce calda e maschile ci fece voltare il capo. Un uomo dal camice bianco si era fermato sullo stipite della porta. Portava con se una cartellina clinica, degli occhiali infilati nel colletto del camice, i capelli perfettamente pettinati e degli occhi chiari direi svegli per essere in servizio ormai da parecchie ore.
Si avvicinò a passo lento e ci porse la mano.
"Sono il Dottor. Williams" gliela strinsi e subito dopo Justin. "Dobbiamo cambiare le garze, vieni" lo guardò un secondo per poi aprire un mobiletto sopra le nostre teste.
Prese del cotone, una garza, un piccolo tubetto grigio e un barattolo dal liquido roseo all'interno.
Justin lo raggiunse poco più in la del letto e si sfilò la maglietta.
Cristo, non ricordavo fosse così bello a petto nudo.
Sentii un groppo prendermi la gola mentre l'uomo dai capelli brizzolati e laccati lo medicava. Mi sentii quasi male e in colpa di pensare certe cose in quel momento, del resto eravamo in un ospedale ma riuscivo solo a ripetermi quanto fosse eccitante.
"Abbiamo fatto" la voce dell'uomo mi fece tornare alla realtà nello stesso istante in cui Justin tornò a sedersi al mio fianco. "Se c'è qualcosa sarà in ufficio. Non fatevi problemi a chiamare" fece per andarsene.
"Dottore?"
"Si?"
"C'è la possibilità che possa.. come dire, dormire qui?" sentii un senso d'imbarazzo stringermi il corpo.
"Posso cercare una brandina" lo ringraziai mentre a passo lento usciva.
Non volevo tornare all'hotel da sola, ne volevo lasciare Justin in quella stanza, certo avrei dormito sulla brandina probabilmente più scomoda del mondo ma ce l'avrei fatta. Speravo.
"Non riesci a stare senza di me" mi schernì Justin tracciando una linea immaginaria con l'indice sulla mia schiena. Mi morsi il labbro.
Si, e allora?
"Come se tu riuscissi a stare senza di me" alzò gli occhi al cielo.
Touchè.
"Sai, principessina" mi stuzzicò il collo con le labbra lasciandoci piccoli soffi profumati. "Non mi dispiacerebbe vederti senza tutte queste cose addosso" aggiunse mordicchiano la stoffa della felpa.
Deglutii.
Diamine, spogliati adesso, che aspetti?!
"Ma che dici?" lo spintonai via. "Sei ferito, in un ospedale, hai appena rischiato la vita e pensi solo a queste cose?" le pensavo anche io ma dettagli.
Justin ridacchiò tornando a lasciarmi piccoli soffi alternati a baci sul collo, solo per poco però. Fortunatamente.
Il Dottor. Williams entrò in stanza.
"Mi dispiace, signorina. Non abbiamo nulla" feci per rispondere che Justin attirò la nostra attenzione.
"Non importa, può stare qui nel mio letto. C'è spazio" si strinse nelle spalle.
Vi assicuro che anche in quel caso lessi della malizia nel suo sguardo.
Il dottore annuì compilando in fretta delle carte.
"Allora ci vediamo domani mattina, buonanotte" chiuse la porta dietro le spalle e sparì.
Mi lasciai scivolare contro il morbido cuscino, era stata una giornata snervante e nonostante fossero solo le dieci di sera appena scoccate ero a pezzi. Justin mi fissava dall'alto con fare ipnotico facendomi innervosire. Odiavo essere fissata soprattutto da lui.
"La smetti?" gridai dandogli una pacca sul braccio.
"Di fare che?" era bravissimo a fare l'innocente, niente da dire a riguardo. Forse la recitazione era la sua vera strada.
"Di spogliarmi con gli occhi" ridacchio abbassandosi alla mia altezza. Mi baciò la fronte, la punta del naso per poi passare alle labbra con un piccolo bacio.
Okay, mi sentii svenire.
"Non mi sai proprio resistere, eh?" ridacchiammo mentre i nostri respiri s'incrociavano.
"Sei troppo eccitante per resisterti" mi lasciò un bacio sul collo. "Dio, ti spoglierei se potessi" mi morsi il labbro.
Oh, anche io.
"Ma non puoi" alzò un sopracciglio passandomi un dito sulle labbra mentre faceva pressione sul cuscino con il gomito.
"Hai già le tue cose, bambolina?" alzai gli occhi al cielo.
"Ti lascerò con questo dubbio più o meno.. in eterno" ridacchiai.
Si avvicinò al mio volto fino a prendermi il labbro fra i denti facendomi gemere ma per quando facesse male riuscii a provare solo piacere.
Quanto avrei voltuo spogliarlo anche io.
"Io dico che non resisti"
"E' una sfida, Bieber?" alzai un sopracciglio.
Sul suo volto si dipinse un furbo sorrisetto.
"Scommettiamo, se riesco a farti eccitare domani sera all'hotel verrai a letto con me" sorrise fiero.
"Ma se vinco io" alzai l'indice puntandoglielo al petto. "Non potrai più baciarmi per due settimane" sapevo che sarebbe stata una tortura per lui non baciarmi per così tanto tempo.
Sembrò pensarci su fino a quando non si decise ad annuire. Via con la sfida.
Allungò le braccia mettendosi sopra di me, mi baciò delicatamente le labbra prima di passare al collo. Non volevo perdere per quanto solo uno di quei piccoli baci mi facesse impazzire.
Mi mordicchiò il lobo dell'orecchio mentre scendeva con i polpastrelli fino al mio fondoschiena per poi stringerlo fra le mani. Gemetti.
Ridacchiò soddisfatto tornando a baciarmi il collo, la clavicola. Mi aprì la lampo della felpa e mi lasciò piccoli baci sui seni coperti dal tessuto del reggiseno e della canotta che portavo. Scese lentamente lasciandomi baci strozzati lungo il tessuto chiaro fino ad arrivare all'elastico dei leggings. Li osservò per poco sorridendo maliziosamente ma nella scommessa era intuitivo che non potesse abbassarli.
Allungò una mano sul mio viso accarezzandomi la guancia, pensai tornasse a baciarmi e invece iniziò a muovere lentamente le dita sulla mia intimità facendomi digrignare i denti.
Ridacchiò lasciandoci sopra dei baci.
Capii che avrei clamorosamente perso.
Gemetti tanto da inclinare la testa all'indietro, mi dimenai pregando che accellerasse i movimenti così lenti e appositamente cauti da farmi venire male. Strinsi le dita sulle sue braccia gemendo.
Mi sentivo morire. Avevo già perso, ero già bagnata per cui pensai bene di godermela fino alla fine.
"Justin.." attirai la sua attenzione passandogli le mani fra i capelli. ".. ti prego, muoviti" sapeva anche lui che mi ero arresa così sorrise baciandomi le labbra.
Lasciai che mi abbassasse i pantaloni, ridacchiò osservandomi soddisfatto. Aveva vinto e la sconfitta faceva male ma in quel momento non m'importava.
"Non credevo fossi già così bagnata, piccola" spostò gli slip con i denti. "Non avresti dovuto scommettere" aggiunse prima di baciarmi la carne appena sopra la mia intimità. "A meno che il tuo obbiettivo non fosse un'altra notte di passione con il sottoscritto".
Stavo impazzendo.
"Se non ti sbrighi di prendo a morsi, Bieber" lo minacciai conficcandogli le unghie nella carne.
"Affascinante. Aggressiva, mi piace. Una piccola tigre." sorrise e avvicinò il capo a quello che ormai era paragonabile a un lago.
Non credevo sarei caduta così presto invece, ero certa Justin fosse consapevole avrebbe vinto.
Dischiusi le labbra presa alla sprovvista quando iniziò a passare voracemente la lingua sulla mia intimità. Strinsi il lenzuolo fra le mani chiudendo gli occhi. Muoveva la lingua con esperienza mentre io mi dimenavo in preda ad un orgasmo ormai imminente.
"Ho vinto, tigre" ansimai.
"Hai vinto in partenza credo" sorrise e riprese con il suo lavoro soddisfatto.
Quando la passione mi travolse completamente strinsi le mani fra i suoi capelli inarcando il bacino verso di lui. Arrivai al culmine gemendo il suo nome e dovetti trattenermi dall'urlarlo.
Avevo appena avuto un orgasmo con Justin in una camera di ospedale.

Mi alzai gli slip e i leggings e chiusi gli occhi cercando di tornare ad avere un respiro regolare. Justin mi affiancò baciandomi la spalla dolcemente ma senza malizia.
"Non hai le tue cose" ridacchiammo. "Ammetti che sono il primo ragazzo che sia riuscito a farti avere un orgasmo del genere" arrossii.
Quanta modestia. Però era vero.
"Chi ti dice che prima di te nessun altro ragazzo mi abbia fatto provare di meglio?"incrociai le braccia al petto.
Justin sorrise avvicinandosi alle mie labbra.
"Ne dubito visto che hai gridato così forte da spaccarmi i timpani" avvampai girandomi dall'altra parte.
Justin scoppiò a ridere.
"Sei un idiota" mugolai coprendomi il viso con una mano. Justin si allungò sopra di me accarezzandomi il fianco.
"Scherzavo, tigre. Sei la migliore comunque" mi baciò la spalla una seconda volta facendomi sorridere.
Okay, forse non mi sarei dovuta sentire onorata ma, mi sentii onorata. Ecco.
Ridacchiai tornando a guardarlo negli occhi e lo baciai.
Non un bacio pieno di foga ma uno di quelli calmi, pieni di passione ma anche di fermezza emotiva.
Mi passò le mani fra i capelli spostandomi una ciocca dietro l'orecchio e sorrise durante il bacio staccandosi solo poco dopo.
"Non credo la scommessa avesse senso perchè francamente, non credo saresti riuscita tu per prima a non baciarmi per due settimane" azzardò.
Mi moridicchiai il labbro ridacchiando nervosamente.
Forse aveva ragione.
"Sta zitto" lo rigirai sotto di me prendendo nuovamente a baciarlo. Non volevo fare sesso con lui, non in quel momento e non in un letto di ospedale ma se solo fossimo stati in qualsiasi altro posto beh, forse saremmo stati nudi da un pezzo.
"Cristo, se solo potessi ti spoglierei in questo momento" arricciai le labbra guardandolo negli occhi. "Perchè ormai è evidente che saresti d'accordo, dolcezza" mi strizzò l'occhio facendomi alzare gli occhi al cielo.
Sentii qualcosa di duro premere contro la mia intimità. Abbassai lo sguardo, era eccitato.
Deglutii.
"Mi ecciti quando alzi gli occhi al cielo" arrossii. Non credevo di provocargli certe reazioni solo alzando gli occhi al cielo.
"Ti dovrai arrangiare" sorrise divertito lasciandomi un bacio sulle labbra prima di alzarsi dal letto ed aprire la porta del piccolo bagno.
"Domani sera però potresti ricambiarmi quel piccolo favore di prima" mi fece l'occhiolino mordendosi sensualmente il labbro.
Abbassai lo sguardo imbarazzata.
"Ci penserò, Bieber".  


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Ciao tigri,

vi è piaciuto il capitolo? Vi prego non fate le lettrici silenziose, ditemi cosa ne pensate.

Al prossimo capitolo,

All the love,

S.

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