Los Angeles.

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L'aereo non tardò la partenza quel sabato mattina e come previsto due ore dopo atterrammo nel grande aeroporto di Los Angeles. Per tutto il tempo tra me e Justin c'era stato silenzio e la cosa risultò - almeno a me - strana. Sembrava ci fosse imbarazzo tra di noi. Ma, sospettavo fosse perchè tutti quelli che ci vedevano ci guardavano sorridendo inteneriti, come si guarda una coppietta il luna di miele.

Il venerdì sera tornammo a casa presto, non dopo le cinque e Justin come promesso mi portò in un piccolo negozio al centro. La cosa era stata piuttosto imbarazzante.
Gli avevo proibito di fare domande ma ovviamente non si era risparmiato qualche battuta ironica, anzi. La signora della farmacia non aveva di certo migliorato la situazione uscendosene con un: "Vuoi dei preservativi, figliolo?".
Imbarazzante.
Tuttavia Justin ne uscì bene, accennò ad un sorriso dicendo che non era il caso ma non appena tornammo in macchina scoppiò a ridere e non si fermò per tutta la durata del viaggio fino all'appartamento.

Los Angeles era decisamente più calda di New York, mio padre aveva portato me e Shila una volta ma in una località più a nord e con la nostra fortuna sfacciata, trovammo tre giorni di pioggia su cinque.
Il taxi ci portò davanti ad un grande hotel, era maestoso ed imponente e all'entrata un uomo alto con indosso un'uniforme nera ci aprì la porta facendo un cenno con la testa. Non ero abituata a tante cortesie e credo nemmeno Justin.
Ci avvicinammo al bancone delle prenotazioni trascinando i due trolley che nella serata avevo convinto Justin a portare nonostante lui optasse per due borsoni rotti e vecchi.
"Salve" esordì la giovane donna al di là del bancone. "Avete prenotato?" Justin si guardò intorno un secondo prima di decidersi a rispondere.
"Dovrebbe essere su nome Bieber ma, siamo per conto di Tomas" guardò dritto negli occhi la donna la quale, sembrò spaventarsi al suono di quel nome. Non poteva conoscerlo però.
"Oh, si.. il signor Tomas ha chiamato qualche giorno fa" sembrò riprendersi di colpo, aprì un cassetto dietro il bancone e prese un foglio, porse una penna nera a Justin indicandogli il punto da firmare "Siete vincolati dal pagamento". Annuimmo.
Tomas si era occupato di tutto.
Justin afferrò la chiave posta sopra il bancone dalla donna, era grigia e piccola, se la infilò in tasca e mi fece segno di seguirlo mentre leggeva con attenzione il foglio che teneva ancora fra le mani.
"Siamo all'ultimo piano" disse. Alzai gli occhi al cielo.
"Non posso crederci, anche qui?!" sospirai. Justin ridacchiò prima di annuire. "Almeno prendiamo l'ascensore" frignai indicandolo. Justin mi guardò con la coda dell'occhio per qualche secondo con un sorrisetto divertito stampato in volto poi si decise ad annuire.
L'ascensore era abbastanza spazioso se il mio campione era quello dei palazzi lunghi e stretti di New York, comunque, non era inquietante come molti.
Justin prese la chiave dalla tasca posteriore dei pantaloni infilandola nella serratura che scoccò un paio di volte prima di lasciar aprire la porta.
Era meravigliosa.
La stanza più bella che avessi mai visto.
C'era un grande letto matrimoniale al centro della stanza appena sotto un lampadario di candele e cristalli. Un divanetto contornava il muro sulla parte destra e un piccolo tavolino di legno con un cestino con della frutta colorata lo divideva da un mobile con un televisore al plasma. Una porta di legno massiccio accanto ad un armadio per i vestiti portava ad un piccolo ed accogliente bagno. C'era una vasca idromassaggio posta sulla destra, un lavabo di marmo dal lato opposto e sul fondo tutti i piccoli confort per la toilette.
"Direi che ci è andata piuttosto bene" osservò Justin guardando fisso a braccia conserte il letto che sembrava averlo incantato. Annuii mentre il mio sguardo finiva sulla colonna di fiori, accanto alla porta, che inizialmente non avevo notato.
"Hai fame?" Justin attirò la mia attenzione iniziando a giocherellare con la piccola chiave. Annuii, non avevamo fatto colazione prima di partire e lo stomaco aveva iniziato a brontolare da qualche minuto.
Prendemmo una seconda volta l'ascensore abbandonando quella lussuria.
La caffetteria dell'hotel non era da meno ma, era molto affollata come prevedibile. Erano ormai le nove e la maggior parte delle persone a quell'ora si concedeva la colazione prima di raggiungere la spiaggia. Io e Justin raggiungemmo un tavolo in disparte dalla confusione. Ci piaceva così, credo.
"Se non fossimo qui per una missione potrei anche viverla bene" disse Justin portandosi il peso del capo sul gomito.
"Tomas non scherzava quando parlava del suo miglior hotel, credo di non aver mai visto niente di tutto questo" dissi guardando il soffitto pieno di quei lampadari come quello nella nostra stanza.
Sembrava quasi un castello d'epoca delle favole, non un hotel e per quanto fosse bello ero certa fosse un posto per ricchi snob. Non era il mio mondo ma per quel fine settimana, non l'avrei rinnegato.
"Guarda quelli laggiù ad esempio" Justin portò lo sguardo dietro di me.
All'entrata della caffetteria era appena entrata quella che si supponeva fosse una famigliola. L'uomo era alto e vestito così elagante da sembrare che dovesse andare a sposarsi da un momento all'altro in quell'abito nero, la donna che lo teneva sotto braccio era molto truccata considerando che erano le nove di mattina appena passate. La gonna scura arrivava fino a toccare terra, una comicetta d'organza costata chissà quanti soldi era coperta in parte da un coprispalle color crema e i boccoli biondi avevano un fiore incastonato fra di loro. Il figlio camminava rapido come se non mangiasse da giorni e pressapoco era vestito come il padre. Una ragazza al suo fianco si voltò a parlare pochi secondi con la donna prima di ridacchiare, i capelli chiari le cadevano sulle spalle lisci e il vestito rosso che portava era decisamente troppo lungo e grande per lei che non avrà avuto più di tredici anni. L'uomo mentre passava accanto al nostro tavolo prese da terra la più piccola tenendola in braccio fino a raggiungere un tavolo più in la del nostro. Storsi il naso guardando quella piccolina, sembrava pronta ad incontrare il presidente. Un vestito così ingombrante da non riuscire a camminare e i capelli castani tirati così tanto da far vedere l'attaccatura a distanze chilometriche. "Non voglio essere così" Justin mi fece tornare alla realtà.

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