Ti amo da fare schifo.

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Ehii, dovete perdonarmi e lo so che sarà difficile; provateci!

Scusate se scrivo le mie cagate qui sopra, ma volevo scusarmi e chiedervi delle cosine. Inanzi tutto volevo chiedermi se non è il caso che ci conosciamo un po' meglio, no? Come vi chiamate? Quanti anni avete? 

Detto questo vi lascio al capitolo, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, 

un bacio.

S.

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Mi mancava, alla follia. Stavo impazzendo e non sarei resistito un minuto di più senza di lei. Quella notte, da solo, sarebbe stata un inferno, non avrei chiuso occhio, ne ero certo.
Avevo passato quasi due ore a guardare la porta, a pregare che si aprisse e che Ariel tornasse, magari anche in lacrime ma che mi abbracciasse, mi dicesse che le ero mancato, che non se ne sarebbe più andata e che mi amava, che mi amava almeno la metà di quanto l'amavo io. 

Ma non era accaduto.

La porta era rimasta sempre chiusa.
Mi sentii anche in colpa verso i ragazzi, ero inutile in quell'appartamento, Nathan era stato costretto a preparare la tavola e la cena da solo, David a portare dal meccanico la mia auto e a buttare la spazzatura anche se sarebbe toccato a me. Una parte di me voleva alzarsi dal divano e mettere da parte la cosa per un po', almeno per un lasso di tempo abbastanza grande da essere di aiuto ai ragazzi ma non ci riuscivo. Ero distrutto.
"Che vuoi guardare?" Nathan mi aveva affiancato sul divano interrompendo la mia perfetta visuale sulla porta. Prese il telecomando e accese il televisore.
"Decidi tu" non avevo voglia di guardare la televisione. Sentivo ancora il filetto di carne fermo nello stomaco, come se non fossi più nemmeno in grado di digerire.
David finì di lavare i piatti e chiuse il rubinetto dell'acqua, si sistemò sulla poltrona con il cellulare fra le mani e rimase in silenzio.
Mi maledissi mentalmente.
Se avessi lasciato campo libero a David, Ariel si sarebbe messa con lui e sarebbe stata lì al mio fianco, su quel divano quella sera. Perchè piuttosto che non vederla, avrei preferito sopportare di guardarla fra le braccia di un altro, almeno l'avrei vista, contemplata e adorata in silenzio. Almeno avrei vissuto con la consapevolezza di saperla felice.
"Non fanno mai niente" disse innervosito Nathan lasciando cadere il telecomando sul divano e spegnendo lo schermo. "Non ho intenzione di passare la serata così, non ora che siamo in vacanza" aggiunse.
"Che vuoi fare?" domandò David guardandolo.
"Non so, facciamo un giro".
Alzai il capo verso di lui senza parlare. Un giro, interessante. Magari mi avrebbe aiutato almeno un po'.
"Dove?"
"Dio, siamo a New York!" gemette il moro alzando le braccia al cielo. "E' pieno di bar e night club". Era vero. Vivevamo a New York, c'erano svaghi per ragazzi della nostra età ovunque.
"Andiamo in quel bar in centro, ci state?" David si alzò in piedi prendendo le chiavi dell'auto. "Quello accanto all'autolavaggio, eh?"
"Diamine" Nathan si passò le mani fra i capelli. "Dovremmo camminare" aggiunse. Si, avremmo dovuto raggiungere il centro a piedi se fossimo voluti uscire, la mia auto sarebbe infatti rimasta dal meccanico fino al mattino precedente, aveva bisogno di fare dei controlli prima di essere sottoposta alle fatiche del viaggio per Stratford. Mentre Nathan e David erano stati quasi obbligati da Tomas a lasciare le loro automobili in centrale, almeno fino al sabato sera quando sarebbero partiti rispettivamente uno per la Florida e l'altro per l'Ontario.
"Un po' di attività fisica ci farà bene" ridacchiò David prendendo le chiavi di casa. Nathan lo fulminò con lo sguardo ma sapevamo tutti e tre che non avrebbe rinunciato ad uscire solo per l'impossibilità di utilizzare la macchina.
"Tu vieni, vero?" sapevo che se anche non avessi voluto - come infatti era - sarei stato obbigato da entrambi ad andare con loro, non mi avrebbero lasciato a marcire da solo in quell'appartamento per tutta la sera.
Annuii abbassandomi i pantaloni, infilai le scarpe sulla soglia della porta e mi passai una mano fra i capelli biondi alzandoli. David accennò ad un sorriso aprendo la porta ed iniziando al mio fianco a percorrere la lunga gradinata.
Fuori faceva freddo, tirava un brutto vento anche se era luglio, tuttavia la felpa che portavo sopra la canotta mi permetteva di non sentirlo troppo. Nathan prese il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei pantaloni e ce ne porse una ciascuno. Me la portai alle labbra e sospirai, solo il fumo mi avrebbe salvato.

Camminammo in silenzio. Fino a poco tempo prima avremmo riso con battutine e cavolate varie per tutto il tragitto ma quella sera nessuno dei tre sembrava avere voglia di parlare. David si era portato gli auricolari alle orecchie e si faceva sentire di tanto in tanto per canticchiare qualche frase della canzone che stava ascoltando. Nathan invece non aveva mai aperto bocca alla mia sinistra. Teneva lo sguardo fisso sulla strada e sembrava nervoso. Si era fumato tre sigarette di fila.
Il bar che David aveva scelto non era molto lontano fortunatamente, nonostante si trovasse in centro. A passo spedito ci arrivammo comunque in fretta.
L'atmosfera lì era decisamente più calda, era abbastanza affollato ma mai come le discoteche lì accanto, fui soddisfatto di non aver scelto un night club come aveva proposto Nathan. Non avevo voglia di ballare, vedere ragazze strusciarmisi addosso e sentire per ore la testa esplodere.
Entrammo nel bar e ci avvicinammo al bancone andando a sederci sugli sgabelli che lo attorniavano.
"Non credevo ci fosse così tanta gente in questo posto" fece notare Nathan tamburellando con le dita sul bancone.
Mi guardai intorno, già. Era davvero pieno di gente. Troppa, forse.
C'era una piccola pista posta alla nostra destra, decisamente ridotta rispetto ad una classica pista da discoteca o night club ma era comunque piena di ragazzi, fortunatamente però la musica non era troppo alta.
"Ehi, ragazzi" un uomo apparve da dietro il bancone. "Cosa vi posso portare?"
"Tre birre" rispose subito Nathan senza interpellarci.
L'uomo annuì sparendo con altrettanta rapidità.
"Ehi, diamine. Io non volevo una birra" disse David puntando al moro il dito contro. "Siamo in vacanza, abbiamo diritto a qualcosa di più alcolico di una birra, non credi?" proseguì.
"Senti, non ho intenzione di venirti a cercare tra le gambe di una di quelle" rispose secco il moro indicando delle ragazze che sensualmente muovevano i fianchi in pista.
"Peccato, dovrai cercare me allora" mi alzai di scatto ignorando le grida di rimprovero di Nathan.
Mi avvicinai alla pista e presi per i fianchi una ragazza, non la scelsi per un motivo preciso, non l'avevo nemmeno guardata a dire il vero ma ero certo che solo una come lei mi avrebbe potuto aiutare a dimenticare.
"Ciao" si girò nella mia direzione portandomi le mani sulle spalle e facendo ondeggiare la sua chioma bionda. "Sono Brooke" disse avvicinandosi di più al mio viso.
"Justin" la ragazza sorrise e fece sfiorare le nostre labbra.
Ecco quello di cui avevo bisogno.
"Non credevo si potessero trovare ragazzi così carini al dì fuori di un night club" ridacchiò passandosi la lingua sulle labbra rosse, troppo rosse. "Stavo giusto per andarmene" aggiunse.
"Beh, sono arrivato in tempo allora" ridacchiò e la feci ruotare per guardarla meglio. Indossava un abito corto, lungo fino al ginocchio, nero e decisamente molto aderente. Dei tacchi vertiginosi dello stesso colore e le unghie sia delle mani che dei piedi risaltavano poiché laccate di rosso, proprio come la bocca. Poteva rispettare i miei canoni estetici, anche se troppo appariscente per i miei gusti.
Le presi i fianchi e le avvicinai le labbra all'orecchio facendola rabbrividire.
"Ehi" passò l'indice sulla mia spalla e sorrise maliziosa. "Questo non è il posto adatto, seguimi".
Amavo quando le ragazze capivano al volo ciò che volevo. Stavo tornando alla mia vecchia vita, alle mie vecchie abitudini, a tutto quello che ero prima che Ariel arrivasse.
Mi prese la mano portandomi fuori dal bar, percorse in fretta il marciapiede ed aprì la portiera di un'auto parcheggiata in un angolo, più in disparte rispetto alla altre e decisamente nel posto più scuro possibile. Mi fece entrare e sorrise.
Sesso in auto, sarebbe potuto essere interessante. Pensai. Le presi i fianchi portandola sotto di me, non avevo voglia di troppe cerimonie, mi sarei sentito impegnato altrimenti, e non lo ero. Di sicuro non con lei.
"Sei di qui?" alzai gli occhi al cielo senza farmi notare mentre lei si piegava in avanti per abbassare il sedile e avere più libertà di movimento.
Oh, no. Aveva voglia di parlare e io avrei dovuto assecondarla.
"Mh, si".
"Davvero? Non ti ho mai visto prima. E dimmi, che lavoro fai?" mi stavo innervosendo ma non avevo davvero voglia di scaricarla, tornare dentro e cercare di prendermene un'altra.
"Sempre che lavori, magari studi?"
"No, lavoro".
"Oh, anche io. Sono un'hostess e tu?"
Dio, stai zitta!
Avrei voluto gridarle di tacere e di smetterla di farmi domande ma mi trattenni.
"Lavoro in un hotel" Certo come no, pensai.
Aprì la bocca ed intuii che avrebbe aggiunto qualcos'altro, magari mi avrebbe fatto altre domande così la bloccai con un bacio. Sorrise ridacchiando contro le mie labbra e mi infilò la lingua in bocca.
Si vedeva che non mi conosceva affatto. Non sapeva infatti che io amavo prendere il controllo.
Le baciai il collo, le spalle nude ed arrivai al bordo del vestito, mi afferrò le spalle ed indugiò con la mia felpa sfilandomela. Stavo perdendo colpi, ero decisamente già troppo in là con la mente per la normalità.
Brooke gemette il mio nome quando la baciai con più foga e sorrise. Mi portò sotto di lei e mi sbottonò i pantaloni con fare esperto. Solo allora mi chiesi con quanti avesse fatto così prima, magari in quella stessa macchina.
Venni preso alla sprovvista quando mi abbassò di scatto i boxer e portò le labbra sul mio membro. Nessuna era stata tanto rapida, avevano tutte le pessima e sensuale abitudine di fare le preziose.
Le passai le mani fra i capelli e chiusi gli occhi avvolto dal piacere.
Sentii ben presto che avrei raggiunto il culmine del piacere in fretta.
"Quanto anni hai?" chiese staccandosi un solo secondo prima di riprendere.
"Ventidue" gemetti.
Lei sorrise.
"Io venticinque" gemetti. "Non ho mai fatto tutto ciò con uno più piccolo di me" sussurrò contro il mio membro.
"C'è una prima volta per tutto" riuscii a dire con voce stozzata. Lei annuì e riprese a muovere le labbra con fare esperto raggiungendo la velocità che aveva sempre tenuto prima di iniziare a parlare nuovamente.
Strinsi le mani attorno ai suoi fianchi e serrai le labbra.
"Dì il mio nome, piccolo".
"Ariel" gemetti venendo.
Lei si spostò di colpo. Stozzai un gemito di dolore quando mi colpì per tirarsi su con il tacco della scarpa.
"Chi?!" gridò facendo incontrare fra di loro le sopracciglia.

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