Tomas.

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*Leggete sotto per favore.


"Ragazzi, mi spiace che ve ne stiate già andando." la stretta di Eliz era davvero forte, stava per piangere ma tratteneva le lacrime alla perfezione. "Tornate a trovarci il prima possibile" aggiunse.
Jaxon fu il secondo che mi venne ad abbracciare, anche la sua si rivelò una presa da lasciare senza fiato.
"Buona fortuna con quel squinternato di mio fratello, fai attenzione." mi aveva sussurrato all'orecchio e per un attimo un brivido mi aveva percorso la colonna vertebrale. Ma no, lui non poteva sapere. Non conosceva la vera essenza della nostra vita.
Erano tutti dispiaciuti che partissimo, a dire il vero saremmo partiti solo il mattino seguente, all'alba, ma non si sarebbero svegliati per darci gli ultimi saluti, così era domenica sera e ci ritrovavamo abbracciati gli uni con gli altri.
"Domani mattina farò portare dal fattorino delle brioche prima del viaggio, così almeno partite con la pancia piena e non avete nessun motivo per fermavi poi." disse Jeremy scrivendo un post-it in cucina.
"Papà" la voce di Justin rimbombò fra le pareti mentre interrompeva l'abbraccio con Jaz. "Non ti preoccupare per noi. Inoltre, Ariel soffre di mal d'auto, se mangia prima di partire sarà difficile per lei fare tutte quelle ore di strada, all'andata mi sono dovuto fermare un paio di volte perchè continuava a dirmi che doveva rimettere" disse mentendo. Io rimettere? Per una brioche? Ma quando mai? Forse se ne mangiassi cinque o sei..
Ma perchè mentire così al proprio padre? Perchè mentire anche quando non ce ne sarebbe stato il bisogno?
"Oh, in questo caso non aggiungo altro" sorrise guardandomi un po' di traverso. Io provai a fare un sorriso, ma credo ne sia uscito solo un goffo tentativo.

Il nostro ritorno alla normalità fu a dir poco sconvolgente, almeno per me. Tutte quelle belle sensazioni, quei bei momenti in questi giorni, con una famiglia che non era la mia, ma sempre famiglia era, quegli abbracci e quei sorrisi sembravano essere spariti perchè eravamo tornati a New York, e alla vita fatta di menzogne, di bugie e di fottuti inganni. Questa era la nostra vita, un dannato e altamente intricato problema. Ne saremo mai usciti?

"Ragazzi, al rapporto" la voce di Nathan era fredda come in poche circostanze lo era stata. Ma un momento potremmo stare mai tranquilli?
"E' arrivata una lettera dalla centrale, è di Tomas". Era martedì mattina quando arrivammo da Tomas che sembrava essersi scordato di noi, poichè aveva annullato il precedente appuntamento che avevamo in centrale con lui e non aveva più richiamato. Ma, la notizia della lettera trovata da Nathan nella cassetta della posta mi fece perdere un battito e le mani calde di Justin sui miei fianchi all'improvviso divennero fredde, gelide.

"Che dice?" nulla di buono, ovviamente.
"Buongiorno, spero che il vostro giorno del ringraziamento sia passato nel migliore dei modi perchè ora siete tornati alla vita crudele alla quale vi ho sempre abituati. Non si scherza più, ora si fa sul serio, d'altronde siamo a New York. Vi aspetto in centrale tra tre ore esatte dalla consegna della lettere, non voglio vedere entrare nessuno dopo le due dalla porta del mio ufficio, nessun ritardo. Vi aspettano delle nuove ed importanti disposizioni per le prossime missioni. Vi aspetto, Tomas". La voce di Nathan era bassa e roca quasi avesse paura di leggere, emise un profondo sospiro quando terminò a portò lo sguardo su David.
"Direi che non c'è molto da dire" disse il biondo. Portai lo sguardo sull'orologio e cazzo erano già le tredici e trenta, dovevamo partire subito.
La centrale era piena di ragazzi. Mi sorpresi di quante persone lavorassero per Tomas, Justin mi aveva sempre avvisata che era un uomo potente, ma non potevo immaginare che tante persone lo aiutassero in ciò che faceva ed io ero una di quelle.

Tomas quel giorno aveva intrattenuto, evidentemente, molte riunioni oltre alla nostra. Parcheggiammo e scendere dalla macchina fu davvero liberatorio. Aveva guidato Justin e per tutto il tragitto aveva fissato un punto fermo della strada senza mai parlare, potevo immaginare che fosse agitato visto cos'era successo l'ultima volta che eravamo stati qui.
David mi aveva raccontato invece della loro missione la settimana precedente, ma c'era qualcosa nell'aria che puzzava, e non era Justin, ma come se qualcosa stesse per succedere. Cercai di lasciar perdere e di non pensarci più di tanto.
"Sei pronta?" mi sussurrò Justin all'orecchio. Sembrava davvero preoccupato per quello che sarebbe potuto succedere. Forse anche lui aveva percepito le mie stesse sensazioni. "Non fare niente di avventato, ti prego" aggiunse allontanandosi da me.
Ecco perchè era agitato, pensai. Non si fidava di me.
"Fidati di me una buona volta" ringhiai.
"Mi fido di te" strinse la mascella baciandomi la fronte quasi con cattiveria. "E' di lui che non mi fido". Qualcosa però m'impediva di credergli, qualcosa mi diceva che non credeva nemmeno a me.
Aprimmo la porta ed andammo a sederci in delle piccole sedie di legno poste a semicerchio come la volta precedente. Tomas non c'era ancora, tuttavia ero così ansiosa che mi sembrò di averlo davanti agli occhi. Quell'uomo mi metteva davvero a disagio. Respirai profondamente, cercando di calmarmi e un odore di bruciato e droga m'invase le narici.
"Justin?"
"Si?" deglutii.
"Spacciate?" Justin s'rrigidì prima di guardarmi negli occhi serio. Dimmi la verità, pensai.
"Non io, altri ragazzi in servizio da molti più anni di me, non voglio saperne niente io di quella merda".
"Non li ha mai presi la polizia?" come diamine era possibile? Avranno trafficato chili di droga in tutto il mondo e nessuno se ne accorgeva? Sembrava davvero assurdo.
"Non che io sappia. Non so tutto quello che riguarda quel figlio di puttana di Tomas, Ariel" disse alzando le spalle. "Non mi compete sapere certe cose, come francamente non competerebbe a te e probabilmente è meglio starne fuori." fece un accenno di sorriso, ma io ero un fascio di nervi ed abbassai lo sguardo. Fantastico, non ero solo un'assassina ma anche una spacciatrice. Bellissimo, cosa si può volere di più?

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