Benvenuti a Stratford.

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Leggete in basso, ho una richiesta per voi, grazie.

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Il sole stava già calando su New York, all'angolo della stanza era appena stata messa la mia valigia, era rossa, completamente piena di vestiti. Justin mi aveva guardata decisamente stranito dopo averla vista ma non aveva fatto commenti, al contrario di David che era scoppiato a ridere per poi ricordarmi che saremmo stati lontani da casa solo per pochi giorni.

Mancavano pochi minuti alla partenza, l'orologio segnava le cinque di sera passate da qualche minuto e Justin aveva programmato di partire non dopo le cinque e dieci. Mi guardai allo specchio un'ultima volta dopo aver richiuso l'armadietto superiore del mobile del bagno. La giacca in jeans arrivava appena sopra i fianchi e aperto faceva intravedere la t-shirt bianca. I leggings neri arrivavano aderenti fino alle caviglie e i piedi erano coperti dalle scarpe da ginnastica.
"Ariel, sei pronta?" la voce di Justin attirò la mia attenzione. Mi strinsi un'ultima volta la coda di cavallo ed uscii dal bagno raggiungendolo sulla soglia della porta della camera.
"Eccomi" annuii.
Justin sorrise e mi baciò le labbra. Sembrava sereno mentre io invece mi sentivo decisamente nervosa, avrei conosciuto la sua famiglia solo una volta arrivati a Stratford quindi, solo domenica eppure, mi sentivo come se da un momento all'altro potessi morire. Nemmeno Dylan mi aveva presentato esplicitamente alla sua famiglia e stavamo insieme da due anni. Suo padre abitava in Colorado con la sua nuova compagna, ma non si era mai posto il problema di invitarmi da lui per il Capodanno ne tanto meno per il ringraziamento. Mai, Justin si, e dopo solo poche settimane di conoscenza.
Nathan mi strinse così forte che gemetti per paura di non riuscire più a respirare.
"Fate i bravi" disse baciandomi la fronte. Annuii ridacchiando mentre da dietro due forti braccia mi stringevano. David mi baciò la guancia e sorrise.
"Buona fortuna" sussurrò stringendomi più forte. Chiusi gli occhi sorridendo ed annuii. Credo avesse capito quanto fossi agitata.
L'interno della macchina di Justin sapeva di tabacco, di sigaretta e avvertii nell'aria un retrogusto di birra. Ma Justin non sembrava nascondere niente, prese la mia valigia e subito dopo la sua e le caricò nel bagagliaio, aprì lo sportello e salì prima di mettere in moto. Accese la radio ed iniziò a cantare, era una di quelle canzoni che gli piacevano e che sapeva avesse anche nel cellulare, le aveva ascoltate per tutto il mattino quel venerdì, quando eravamo andati in questura per prendere il passaporto. Non era stato piacevole a dirla tutta, Justin era piuttosto nervoso ed iniziai ad esserlo anche io quando due carabinieri iniziarono a scrutarci attentamente. Del resto eravamo considerati come dei criminali, come dei ricercati.
"Mi dispiace, principessina" iniziò Justin. "Ma non possiamo fermarci in degli hotel, dovremmo dormire nel retro dell'auto. Abbasserò i sedili posteriori, ci staremo" concluse.
"E che problema c'è?"
Justin alzò un sopracciglio.
"Beh, so che non sei viziata. Ma credevo non ti avrebbe fatto troppo piacere dormire nel retro di un'auto". Si strinse nelle spalle.
"Mh, l'unico problema potrebbe essere la puzza infernale di fumo che c'è qui dentro" gemetti abbassando il finestrino e sporgendomi in fuori. "Ma ho del profumo in valigia".
"Non spruzzerai nessun profumo nella mia macchina" si affrettò a rispondere Justin.
"Vogliamo scommettere?"
"Non lo faresti".

Alzai gli occhi al cielo guardandolo poi con la coda dell'occhio.
"Credo che sappiamo entrambi che lo farei, Justin" sul suo volto comparve una smorfia. Lo avrei fatto e lui lo sapeva.
"Basta che non svuoti l'intera boccetta di quello stupido coso" disse tornando a guardare avanti e imboccando l'autostrada.
"Il mio profumo è buonissimo. Tomas ha degli ottimi gusti". Era vero, quel profumo all'arancia era buonissimo eppure Justin sembrava odiarlo.
"Non ti sei mai messa il profumo per uscire con me, giusto?" negai con la testa. "Lo sapevo" sorrise. "Avevi un profumo troppo buono per essere stato semplicemente quello di un'acqua di colonia".
"Che profumo ho?"
"I tuoi capelli sanno di fragola, amo il tuo shampoo" ridacchio. "E la tua pelle di cocco, è per quella crema che ti metti vero?"

"Si" ridacchiai. "Comunque, se solo la smettessi di fumare non avremmo questo tipo di problemi" gli feci notare. Justin sorrise aprendo il cruscotto e prendendo il pacchetto di sigarette appena comprato poichè ancora chiuso con la pellicola.
"Non posso smettere".
"Dì che non vuoi smettere".
"Fare questa vita è stressante, l'unico modo che ho per rilassarmi è fumare, non reggerei la tensione senza queste" disse prendendo una sigaretta e portandosela alle labbra.
"Quindi hai intenzione di fumare per sempre?"
"No. Fumare mi piace ma credo che una volta terminata questa cosa potrei smettere, non voglio che il fumo mi uccida. Sono scappato così tante volte dalla morte per merito di qualcuno che non posso permettere che una stupida sigaretta mi ammazzi".
"Quindi, metti il presupposto che questa cosa finirà? Che prima o poi te ne andrai dal clan?"
Justin annuì. Sembrava felice mentre annuiva, si accese la sigaretta ed inspirò profondamente chiudendo per pochi secondi gli occhi mentre il paesaggio attorno a noi restava invariato. New York era così bella illuminata dai raggi del sole che si rifletteva sulle vetrate dei palazzi, dei numerosi negozi e vetrine.
"Devo andarmene. Non posso ritrovarmi come Tomas sulla soglia dei quarant'anni ancora lì dentro, a chiedermi ogni giorno se dovrò ammazzare qualcuno o se magari sarà qualcun altro ad ammazzare me" si strinse nelle spalle. "Me ne tornerò in Canada, da mio padre, Eliz e i miei fratelli. Dirò loro che ho perso il lavoro, non si arrabbieranno, ne troverò un altro".
Annuii.
"E io che farò?" Justin mi guardò con la coda dell'occhio mentre si riportava la sigaretta alle labbra. "Non ho più nessuno ormai, non ho intenzione di tornare Midland".
"Non ci tornerai infatti" il fumo uscì nuovamente dalle sue labbra disperdendosi fuori dal finestrino. "Verrai via con me".
Un groppo di saliva mi si fermò in gola.
"Puoi promettermelo?"
"Non posso prometterti niente. Ritengo le persone che promettono altamente bugiarde. Voglio dire, come puoi avere la certezza di riuscire veramente a concludere qualcosa?"
"Non hai mai promesso niente?"
"Si" sembrava malinconico mentre annuiva e guardava l'asfalto.
"Che cosa?"
"Che non avrei perdonato Tomas, mi ha tolto troppo. Mi ha portato lontano dalla mia famiglia, mi ha costretto ad ammazzare così tante persone, mi ha semplicemente segnato la vita" lasciò che il mozzicone si sigaretta volasse via dalla sua mano e si depositasse in mezzo alla strada mentre la nostra macchina sfrecciava via. "Mi ha dato tanto, è vero. Mi ha portato via dalla strada ma mi ha fatto diventare tutto ciò che non avrei mai voluto essere" concluse.
Non risposi. Mi limitai a sorridere portando il peso del mento sul braccio, non sapevo cosa rispondergli, non potevo nemmeno dargli torto, la vita e Tomas gli avevano tolto così tanto. Risultava impossibile dargli conforto.
Esattamente tre ore dopo raggiungemmo il confine fra l' Ohio e l'Indiana, mi chiesi se non avessi sbagliato strada, ci ritrovammo a viaggiare nel buio della notte in una stradina di sassi, in mezzo al nulla. Incontrammo solo un distributore dove Justin si fermò per fare benzina, un Take-away dove comprammo due panini e un giornalaio. Non eravamo decisamente più a New York.
"Passeremo per il Michigan, per il Wisconsin e domani mattina arriveremo in Minnesota. Riposati".
"Guiderai tutta la notte?" chiesi allibita.
"Arriveremo prima, riposerò un paio d'ore domani mattina" no, non se parlava nemmeno.
"Non guiderai tutta la notte in queste stupide stradine di campagna" Justin ridacchiò accarezzandomi la gamba.
"L'Ohio è così. Dal Michigan in poi prenderemo l'autostrada".
"Appunto" gli puntai l'indice contro la spalla. "Non ti farò guidare in autostrada di notte con tutte quelle macchine, se ti venisse sonno?"
Justin sospirò. Forse ci aveva pensato solo allora.
"Arriveremo molto dopo" commentò guardandomi.
"Non m'interessa. Non voglio rischiare di morire, partiremo domani mattina all'alba se proprio ci tieni". Justin annuì e accostò in un'area di sosta dietro la strada.
Si allungò nella mia direzione ed abbassò uno alla volta i sedili creando così una specie di divano con quelli dietro in modo da poterci distendere.

"Sei una testarda" sussurrò distendendosi dopo aver tolto le chiavi dalla macchina.

Sorrisi.
"Lo so e mi ringrazierai di esserlo". Justin sorrise e si chinò su di me, mi baciò le labbra, erano così morbide. Aveva mangiato une caramella alla menta e quel gusto miscelato al fumo delle sigarette era indescrivibile.
"C'è una coperta nel bagagliaio se hai freddo" sussurrò spostandomi una ciocca di capelli.
"D'accordo, ma non sentirò freddo" risposi stringendo le braccia attorno al suo corpo. "Buonanotte".
Sorrise lasciandomi un ultimo bacio a stampo.
"Sogni d'oro".

Ci svegliammo davvero presto quel sabato mattina, il sole infatti iniziò ad entrare nella macchina già alle quattro, Justin mi aveva svegliata con qualche bacio sulla fronte e non appena aprii gli occhi lo vidi già con il sedile tirato su, pronto a partire. Era a dir poco entusiasta di riprendere a guidare.
"Forza" mi baciò la fronte quando lo raggiunsi in avanti. "Dobbiamo ancora attraversare l'intero Michigan". Gemetti stiracchiando le braccia verso l'alto.
"Manca ancora molto?"

"No, fra un'oretta arriveremo al confine con il Wisconsin e in un paio d'ore attraverseremo anche il Minnesota" rispose. Sembrava che il viaggio non gli stesse affatto pesando, come se fosse abituato a viaggiare per lunghe ore e per territori da me sconosciuti.
"Allora partiamo!"

Il Wisconsin si rivelò abbastanza desertico ma il Minnesota fu ancora peggio, sinceramente credevo che tutti gli stati degli Stati Uniti fossero estremamente più industrializzati del Texas al quale ero abituata e invece riscontrai che non ci fossero poi troppe differenze. Però, almeno lì c'era un'autostrada.
Alla dogana fra il Minnesota e il North Dakota restammo per una buona mezz'ora, c'erano stati problemi con i documenti ma alle nove e mezza ci ritrovammo comunque nuovamente in macchina ed io stavo morendo di fame.
"Justin?"
"Mh?"
"Ho fame" ridacchiò.
"Sapevo me lo avresti detto" accostò l'auto accanto ad un autogrill vicino ad un'aera di sosta, prese il portafoglio dalla tasca posteriore dei pantaloni e mi porse dieci dollari. "Prendi quello che vuoi".
"Tu, vuoi qualcosa?"
"Conosci i miei gusti ormai" sorrise.
Davvero li conoscevo?
Deglutii ed annuii aprendo lo sportello e salendo i fretta i gradini dell'autogrill. L'entrata era illuminata da un insegna, avevano appena aperto e non c'era praticamente nessuno se non due ragazzi che parcheggiarono le loro moto e si affrettarono ad uscire dal negozio dopo aver pagato due pacchetti di patatine.
"Buongiorno, desidera?" Una donna di mezz'età mi si avvicinò dall'altro lato del bancone, teneva i capelli raccolti dentro un cappellino da lavoro rosso. Una felpa grigia ed un grembiule sporco di cioccolato sopra.
"Due caffè da portare via per favore. E due ciambelle al cioccolato" dissi. La donna annuì ed aprì una piccola dispensa di vetro, mi consegnò un sacchettino di carta nell'esatto momento in cui io le porsi i dieci dollari.
"Sono otto dollari e quaranta centesimi, ecco a lei il resto" disse. Le sorrisi e con altrettanta rapidità con la quale ero entrata scesi i gradini rivestiti di piastrelle nere.
Justin aveva sistemato la macchina accanto ad un muretto dell'aera di sosta, aveva aperto il portabagagli e si era seduto dietro con le gambe che penzolavano fuori.
Gli porsi il caffè e mi sedetti accanto.
"Caffè?" domandò prendendo uno dei due bicchieri marroni e bianchi di cartone.
"Si, e una ciambella alla cioccolata" lui alzò un sopracciglio interdetto. "Non avevano muffin" alzai le spalle. Lui sorrise, sapevo che li preferisse alle ciambelle.
Presi la mia e ne addentai un pezzo, stavo davvero morendo di fame e di sonno. Non avevo dormito affatto bene in quella macchina, credo Justin se ne fosse accorto, mi ero rigirata tutta la notte.
"Non ho mai fatto un viaggio così lungo con qualcuno" dissi posando la testa sulla sua spalla. Justin mi lasciò un bacio fra i capelli. "Certo, sono stata in California ma in aereo".
"Nemmeno io, ho preso sempre l'aereo per arrivare fino a Stratford negli ultimi due anni ma fino all'anno scorso era Tomas a pagare il viaggio. Ora non più e un biglietto di sola andata costa una fortuna". Era vero, i prezzi erano decisamente aumentati.


Erano le due di pomeriggio appena scoccate quando attraversammo il confine fra il Montana e il Canada. A dire il vero saremmo dovuti passare per la dogana fra il Canada e il North Dakota ma per problemi di camion fummo costretti a percorrere altre due ore di macchina fino alla contea dello stato accanto. L'unico lato positivo era che Justin non sembrava stanco o stressato anzi, mangiò silenziosamente l'hamburger che si era fermato a prendere in una piccola stazione di sosta, aveva bevuto una lattina di coca ed era ripartito. Sembrava amasse guidare per ore.
"Sono le due appena passate e abbiamo già superato la frontiera" dissi prendendo la cartina stradale rimasta chiusa sopra il vano della macchina fino a quel momento. "Abbiamo tutto il tempo di fare una sosta" dissi.
Justin alzò un sopracciglio guardandomi con la coda dell'occhio.
"Perchè vuoi fare una sosta?" domandò dubbioso.
"Sono ore che guidi e abbiamo fatto appena un due di pause da trenta minuti. Siamo in perfetto orario, non morirà nessuno se ti fermi per un paio d'ore a riposare" dissi alzando lo spalle.
"Non sono stanco" sembrava un bambino cazzo.
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai.
"Dico davvero" allungò una mano nella mia direzione del mio ginocchio stringendolo. "Se fossi stanco te lo direi, non sono un irresponsabile. Se non dovessi farcela mi fermerò ma ora sto benissimo" riportò entrambe le mani sul manubrio prendendo la seconda uscita dell'autostrada. "Ariel?"

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