Adesso siamo pari.

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 Le gambe tremavano, il cuore pulsava, i denti mordicchiavano il labbro inferiore.
Ero nervosa, terribilmente.
La riunione doveva essere iniziata da un pezzo, era quasi mezzogiorno e per tutto il tempo ero rimasta nel divano, a guardare la porta.
Volevo tornassero, volevo tornassero vivi.
Volevo tornasse lui.
Avevo paura. Paura che Tomas lo facesse fuori per colpa mia, paura che non lo perdonasse per quella missione mancata o anche che ammazzasse lui e subito dopo venisse a prendere me per farmi fare la stessa fine.

La porta si aprì.
La testa si alzò di scatto così come il corpo in un secondo abbandonò il divano, erano loro. Nathan varcò la soglia della porta, mi accarezzò la guancia e mi sorpassò. Pensai fossero una specie di condoglianze per la morte di Justin. David mi sorrise raggiungendo la sua camera. Poi finalmente entrò lui.
"Justin!" gridai correndogli incontro.
Non esagero se dico di essergli letteralmente saltata addosso. A quel contatto sobbalzò all'indietro quasi sbattendo contro la porta costretto a prendermi le cosce per farmi aderire meglio al suo corpo.
Le gambe attorno al suo bacino e le braccia attorno al suo collo parevano non volersi staccare. La testa era incastonata nell'incavo fra la clavicola e il collo come fossi stata un pezzo di puzzle che magicamente aveva trovato il suo incastro.
Stavo così dannatamente bene fra le sue braccia.
"Questo è per?" chiese ridacchiando. Iniziò a camminare senza lasciarmi un solo secondo fino a raggiungere il divano.
"E me lo chiedi?! Cristo, credevo ti avrebbe ucciso" risposi stringendolo più forte. Ridacchiò fra i miei capelli prima di lasciarmi un bacio sulla fronte.
Le sue labbra erano morbide e calde, trasmettevano - inaspettatamente - senerità.
Rabbrividii al suo gesto e per svariati secondi smisi di respirare quasi non fossi in grado, quasi non ne fossi capace ma la cosa sconvolgente, è che per pochi attimi non sentii il bisogno di ossigeno come se avessi raggiunto una dimensione parallela.
Justin ridacchiò.
"Puoi tornare a respirare, principessina" mi sussurrò all'orecchio. Arrossii tremendamente imbarazzata e non riuscii a non coprirmi parte del viso con la mano.
"Lo sai che sei carina quando arrossisci" disse guardandomi attentamente.
Sembrava così serio mentre lo diceva, che la cosa mi fece un certo effetto.
"E tu hai finito di mettermi in imbarazzo per il puro piacere di farlo?" chiesi sarcastica. Ridacchiò alzando le mani in segno di resa.
Dalla cucina spuntò Nathan, teneva un bicchiere d'acqua nella mano destra e posso giurare che per poco non sputò fuori l'acqua in bocca quando ci vide.
"Oh, signore" fantastico, ci mancava solo lui. Pensai. "Voi due siete.. e tu sei.. insomma, che state facendo?!" quasi urlò sbattendo il bicchiere contro l'isola di marmo.
Justin alzò gli occhi al cielo.
"Niente, Nathan. Conosci il veto" rispose serio Justin guardandolo negli occhi. Il moro annuì senza cambiare espressione.
"Veto o no, voi due siete appiciati come due molluschi nel pieno di una fase amorosa" ci puntò l'indice contro e dicendolo sembrava quasi inorridito.
"Scusa, mi hai appena dato del mollusco?" chiesi alzando un sopracciglio.
"A entrambi, suppongo" si strinse nelle spalle come se niente fosse mentre una risatina di Justin riempiva la stanza. "Dio, fortuna che c'è il veto altrimenti chissà dove sareste voi due a quest'ora" disse andandosene.
Justin sospirò tonando a guardarmi.
"Credo non gli sia chiaro che il veto vale solo per situazioni di stupro" ridacchiammo all'unisono.
Quella frase mi sembrava tanto un invito a fare qualcosa di proibito.
I nostri volti si avvicinarono tanto da essere a pochi millimetri di distanza, gli occhi di Justin passarono più volte dai miei occhi alle mie labbra. Il mio battito cardiaco stava aumentando ma la cosa stupefacente era che non mi spostavo nonostante non volessi. Le sue labbra erano così perfette ma Dylan, come potevo scordalo?
"Lo sai, le tue labbra sono alquanto invitanti" sussurrò sfiorando le sue con le mie, ancora una volta. Era la seconda in due giorni, non era normale.
Un brivido mi percorse la colonna vertebrale a quel contatto.
"Ehm, ragazzi" la voce di David echeggiò nella stanza facendoci distanziare all'istante. "Non per interrompervi ma, è pronto il pranzo" mi sforzai di annuire terribilmente in imbarazzo.
"Lo sai, le tue labbra sono alquanto invitanti"mi scostai da Justin stringendomi le labbra fino a ridurle in una linea retta.
Mi sentivo male, se Dylan mi avesse visto chissà cos'avrebbe pensato di me. Justin non aveva colpe, lui non sapeva avessi un ragazzo ma io, io sì. E me ne stavo lì senza pormi problemi, senza fermare Justin.
Justin si alzò mettendosi davanti a me.
"Va tutto bene, principessina?" chiese corrugando la fronte. Evidentemente si notava il mio stato d'animo.
"Certo" annuii quasi dovessi convincere me stessa che andasse realmente tutto bene. Justin mi sorpassò come se niente fosse entrando in cucina, mi passai le mani fra i capelli in modo quasi disperato.
Cosa stavo per fare?
Se mio padre, mia madre e Dylan stesso mi avessero visto, non sarebbero stati fieri di fare parte della mia vita, dei miei legami affettivi.
Le labbra di Justin a una distanza così ridotta dalle mie erano stupende, si era avvicinato tanto da permettermi di vedere ogni poro della sua pelle, ogni piccolo taglietto presente sul suo labbro inferiore.
"Ariel, è pronto!" urlò Nathan svegliandomi dai miei pensieri.
Li raggiunsi in cucina,il ragazzo dai capelli castani se ne stava ai fornelli mentre riempiva il quarto piatto probabilmente riservato a me. Avremmo mangiato pollo quel giorno.
Durante il pranzo non ebbi il coraggio di guardare Justin negli occhi, cercavo la sua figura solo quand'ero sicura che non mi stesse guardando. Mi vergognavo da morire.
Forse lo aveva fatto solo per prendersi gioco di me, pensai. In effetti poteva essere.
"Ariel" la sua voce attirò la mia attenzione dopo minuti interi passati nell'indifferenza totale. "Oggi andiamo ad allenarci, partiamo fra mezz'ora" disse alzandosi dal tavolo prima di sparire quasi furtivamente nel buio corridoio.
Sospirai sotto lo sguardo confuso di Nathan e David.
"Non voglio che commentiate, per favore" loro ridacchiarono prima di annuire all'unisono. Onestamente non sapevo in che modo avrebbero potuto commentare, il comportamento di Justin era strano. Su quel divano si era lasciato andare troppo nei miei confronti mentre di getto, era diventato freddo o forse solamente normale. Sembrava avesse appena ritrovato il senno.
Entrai in camera, la muffa era leggermente diminuita e respirare bene era diventato meno difficile. Mi lasciai cadere sul letto con mille pensieri.

"Ehi, stellina. Lo sai che ti amo tanto, vero?" Dylan mi guardò con quei suoi occhi verdi. Erano splendidi, credo fossero stati quelli a farmi innamorare di lui.
Era la prima volta che mi diceva con così tanta franchezza che mi amava, ma io non ne ero sicura, non volevo dirglielo. Me ne sarei pentita e purtroppo, ero una persona molto razionale.
"Anche io tengo molto a te" lo abbracciai di getto, suppongo per evitare il suo sguardo confuso. Perchè non mi venivano i brividi mentre lo abbracciavo? Nessuna emozione, nessuna paura, solo un volersi bene passeggero.
"A volte mi spaventa il mio sentimento. Ti penso sempre, stellina" mi sussurrò fra i capelli.
Perchè io non lo pensavo sempre? Forse sbagliavo in qualcosa. Per lui era tutto perfetto con me ma invece, da parte mia mancava sempre quel qualcosa che non mi faceva dire chiaramente che lo amavo. Forse non era poi così quello giusto.


Mi passai nervosamente le mani fra i capelli, mi stavano ammazzando i pensieri e i rimorsi su Dylan. Avevo il dispiacere di non avergli mai detto che lo amavo perchè non me lo sentivo fino infondo, avevo il dispiacere di aver concluso con una fuga vera e propria la nostra relazione, quella sera alla festa.
Ma, come posso considerare una storia vera una in cui scappo per non parlare al mio ragazzo? C'era qualcosa che non andava nel nostro rapporto e più passavo il tempo lontata da lui, più conoscevo Justin, più me ne rendevo conto.
Era assurdo pensare che ogni qualvolta Justin - un ragazzo qualunque teoricamente - mi toccasse, mi sfiorasse, mi guardasse, un brivido mi percorresse la schiena quasi impedendomi di parlare. Mentre con Dylan, era tutto bello si, ma nessun sentimento da farmi girare la testa.
Iniziai in quel momento, nella mia camera, ad avere paura di essermi invaghita del ragazzo sbagliato. Dell'unico ragazzo che avrei dovuto evitare. Justin Bieber.

L'orologio scoccò le 14.00 esatte, ancora quindici minuti e sarei stata ancora in viaggio verso il centro di addestramento.
Aprii l'armadio, mi infilai degli shorts comodi neri, lunghi appena fino a sopra il ginocchio ed una maglietta gialla. Raccolsi i capelli con un elastico in un'alta coda di cavallo prima di guardarmi allo specchio per qualche secondo. Ero meno pallida del primo giorno ma di certo, non mi potevo definire abbronzata. Il taglio sulla tempia era quasi completamente sparito per fortuna.
"Ehi, se ti guardi ancora un po' in quello specchio lo consumerai" la voce di Justin mi fece sobbalzare.
Se ne stava sullo stipite della porta del bagno con le braccia incrociate al petto, un sorriso furbo in volto e quegli insopportabili occhi a guardarmi.
"Ora invadi anche la mia privacy?" domandai portando le braccia sotto il seno.
"Non fare la preziosa, non ti si addice" mi schernì.
Dylan non mi aveva mai detto così. Dylan mi coccolava, mi faceva sentire come una bambina viziata. Mi dava tutto quello che volevo e non mi diceva mai di no.
Justin invece, non mi coccolava, non si mostrava troppo dolce per paura di apparire debole, non mi poteva dare tutto quello che volevo. Insomma, lui era complicato, ingrigante, strano e dannatamente introverso. Dylan era altruista, semplice, quasi infantile e sempre pronto al dialogo.
Forse, erano quelle caratteristiche di Justin ad avermi intrappolato. Ero abituata ad altro, Justin era la novità.
"Andiamo?" mi riportò alla realtà muovendomi una mano davanti agli occhi. Annuii uscendo dalla stanza subito dietro di lui.
Il centro di controllo appariva come la prima volta, uno stabilimento senza vita o emozione. Era abbastanza tetro come posto ma per quel che avevo visto qualsiasi posto rigardante quella specie di clan, era tetro.
Justin spinse la porta d'ingresso facendomi entrare, un ragazzo mi sorpassò accennando ad un sorriso. Era sudato, evidentemente aveva appena finito di allenarsi. Un pugno sulla spalla di Justin e un cenno con il capo, prima di sparire a bordo di un'auto grigia.
"Allora.." Justin attirò la mia attenzione iniziando a camminare pensieroso. ".. oggi lavoriamo sul fisico" disse battendo rumorosamente le mani fra di loro.
Okay, onestamente quella frase non mi entusiasmava anzi, il contrario. Non avevo idea di cosa significasse per lui lavorare sul fisico, non ero mai stata una ragazza sportiva, nonostante Natasha per due anni mi avesse costretto a seguire dei corsi tre volte la settimana nella piccola palestra di Midland, dove suo padre insegnava.
"Inziamo con la corsa, che dici?" chiese voltandosi verso di me.
"Non credo di avere altra scelta" risposi.
"Esatto" annuì facendomi segno di seguirlo fino a raggiungere l'altra estremità dello stanzone.
"Quattro giri di corsa senza fermarsi" disse puntando l'indice avanti a se. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni "Ti cronometrerò, fai del tuo meglio" concluse guardandomi con la coda dell'occhio.
Mi passai i palmi delle mani sulle cosce, stavo sudando freddo onestamente. Respirai profondamente e al suono di un campanello proveniente dal cronometro del cellulare di Justin partii.
Non amavo correre, anche se qualche volta la domenica pomeriggio Dylan insisteva per portarmi al parco. Giocava a football, diceva di doversi tenere in allenamento e così andava a correre ed io, ero dannatamente costretta ad accompagnarlo in quanto sua fidanzata.
Non fraintendetemi, non sono mai stata una scansa fatiche ma dopo aver gareggiato con la scuola ai tornei regionali di staffetta, la mia passione per la corsa e per lo sport era notevolmente diminuita. Quasi sparita se devo essere sincera.
Terminai il secondo giro e sentii i polmoni iniziare a bruciare, ero stanca e sapere di essere solo a metà mi infliggeva quasi dolore.

Dopo quattro infiniti giri, Justin fischiò.
"D'accordo che il giro non era così corto, ma tre minuti mi sembrano decisamente troppi, principessina. Hai una media di cinquantaquattro secondi per giro" disse guardando il cronometro.
"E' la prima volta, domani andrà meglio" risposi cercando di prendere fiato. Lui annuì mettendosi il cellulare nella tasca posteriore dei pantaloni.
"Ora, mettiti a terra" alzai un sopracciglio.
"Perchè?"
"Tu fallo e basta" toccai terra lasciandomi quasi cadere a peso morto. La schiena toccò il pavimento abbastanza freddo e per un secondo pregai di rimanere lì in eterno.
"Addominali. Due sessioni da dieci" disse. Alzai gli occhi al cielo portando le mani dietro la nuca.
La mano di Justin si posò sopra la mia pancia, salda e ferma con le dita ben distanziate tra di loro tanto da coprirmi quasi tutto il ventre.
Salii una, due, tre, quattro.. otto, nove, dieci volte. Mi lasciai cadere a terra respirando profondamente.
Ripartii e di nuovo, una, due, tre.. nove, dieci volte.
"Bene" disse Justin alzandosi in piedi. Mi toccai le ginocchia arrossate, le costole che sentivo bruciacchiare per via della fatica e lo raggiunsi al centro dello stanzone.
"Di corsa" alzai le braccia al cielo.
"Di nuovo?!" quasi gridai.
"Ogni parola di troppo è un giro in più della stanza perciò se i giri erano due, ora saranno quattro" disse stringendosi nelle spalle con un falso sorriso.
Alzai gli occhi al cielo ed iniziai a correre. Le suole delle scarpe cigolavano a contatto con il pavimento, il lieve vento che entrava dalla finestra mi spettinava un paio di ciocche ribelle uscite dall'elastico.
Contrariamente a quello che si può pensare, il vento in faccia non è piacevole.

Justin mi fece cenno di raggiungerlo ma non avevo ancora fatto quattro giri, due appena conclusi a dire il vero.
"Ne mancano due" dissi passandomi una mano sulla fronte imperlata di sudore.
"Lo so ma, a dire il vero era un metodo per spaventarti. Suppongo che due possano bastare" disse con una scrollata di spalle.
Sorrisi soddisfatta, era finito finalmente.
Justin si avvicinò ad una cesta accanto ala porta dello spogliatoio, prese un piccolo asciugamano e me lo lanciò.
"A casa potrai farti una doccia, abbiamo aggiustato la caldaia, ora c'è l'acqua calda" disse. Annuii passandomi l'asciugamano sul viso, mi sentivo appiccicosa e la cosa non era piacevole, per niente a dirla tutta.
Salimmo in macchina e il cellulare di Justin iniziò a squillare insistentemente, lo afferrò mettendo contemporaneamente in moto il motore.
"Mh, dimmi papà" era suo padre, non lo avevo mai sentito fare accenni alla sua famiglia e non posso nascondere di essere stata molto curiosa.
"Si, all'hotel tutto bene, ho un buono stipendio e così riesco a pagare l'affitto" non capivo di cosa stesse parlando. Lui non pagava l'affitto, pagava tutto Tomas e inoltre, non lavorava per conto di un hotel.
"Tornerò per il giorno del ringraziamento. Jazmine mi ha detto che Eliz non vede l'ora di vedermi quindi, non ho scelta anche se non volessi venire" aggiunse imboccando la strada di casa.
Chi era Eliz?
Forse era la sua ragazza, pensai.
Un senso di rabbia mi avvolse ma lo scacciai subito, era ridicolo prendersela, che diritto avevo per essere infastidita della cosa?
"Ora devo tornare al lavoro, ci sentiamo un'altra volta e saluta i ragazzi da parte mia" chiuse in fretta la chiamata prima di passarsi una mano fra i capelli sbuffando.
Sembrava che quella chiamata lo avesse innervosito.
"Hotel?" chiesi.
"Oh, vedi.. i miei non sanno esattamente quello che faccio. Credono lavori in un hotel e che con i soldi dello stipendio mi paghi l'affitto dell'appartamento che condivido con i ragazzi" si strinse nelle spalle senza batter ciglio, sembrava fosse tutto normale.
"Tu i tuoi li senti ancora, anche se per mezzo di una bugia. Io, potrei chiamare i miei amici.."
"No" tuonò freddo interrompendomi. "E' meglio che tu non abbia più contatti con la gente di Midland, ora sono il passato inoltre, Tomas mi ha dato il permesso solo perchè sono il migliore, non credere che qui sia tutto rose e fiori" aggiunse parcheggiando l'auto sul ciglio della strada.
"Non l'ho mai pensato" dissi ovvia.
Credeva che fossi una principessina come mi definiva lui? Oh, no. Io non ero viziata e tanto meno credevo che quella vita che conduceva lui fosse facile, forse Justin non aveva ancora capito nulla di me.
"Mi hai dato quell'impressione" disse aprendo la porta di casa.
"Questo dimostra quanto poco conosci di me e della mia vita" lo sorpassai sentendo la sua spalla scontrarsi con la mia.
Mi dava fastidio pensasse ciò di me.
Non ero così, non ero viziata ne tantomento scontata, non capiva niente di me, non mi conosceva ma aveva già tirato le sue conclusioni a mio riguardo.

Mi lasciai cadere sul divano, ero stanca da non avere la forza per raggiungere il bagno e farmi una doccia. Eppure, l'allenamento non era durato più di un'ora, ma mi sentivo a pezzi.
"Sai, non ti ho raccontato nulla della riunione" Justin arrivò in salotto mettendosi comodo sulla poltrona.
"Non m'interessa" risposi fredda. Era vero, non volevo sapere niente degli accordi o dei traffici che lo legavano a quell'uomo.
"Ah, no? Meglio, perchè abbiamo parlato di te" disse sorseggiando dell'acqua dal bicchiere che teneva in mano. Mi alzai di scatto con la schiena mettendomi seduta a gambe incrociate.
Cosa c'entravo io?
"Cosa vuole da me?" la mia voce era quasi tremolante e sembrava aver paura di abbandonare le mie labbra.
"Vuole affidarti ad un altro ragazzo, Award. Un pezzo di merda per quel che mi riguarda, l'ultima ragazza che ha avuto in custodia l'ha uccisa, è ridicolo che Tomas non lo cacci dal clan" disse senza scomporsi alzando gli occhi al soffitto.
Le mie pupille si dilatarono.
"Oh, mio Dio!" quasi urlai portandomi le mani alle labbra. "Mi ammazzerà, mi farà fuori!" aggiunsi. Credevo di avere una crisi di nervi, stavo impazzendo.
Sarei morta, ne ero certa.
"Non accadrà" Justin aveva un tono così tranquillo e pacato da farmi saltare i nervi. Per lui non cambiava niente, io ero solo una delle tante reclute, non gli importava se mi avrebbero ucciso.
"Come fai a dirlo? Ammazzerà anche me e se ne infischierà del veto" alzai le spalle. Justin posò il bicchiere sul piccolo tavolino al centro del salotto prima di negare con la testa. Alzò lo sguardo su di me incrociando il mio, i suoi occhi erano stupendi anche in una situazione del genere.
Mi pentii di quel pensiero, io dovevo pensare a Dylan.
"Perchè è bastato promettergli che non avrei più fallito una missione e mi ha lasciato la tua custodia" un vuoto al petto iniziò ad espandersi fino alle corde vocali.
Lui mi aveva salvata, non sarei morta.
Mi portai una mano alle labbra stringendo fra i denti la carne per non gridare. Non sarei morta, grazie a lui.
Gli corsi incontro stringendo le braccia attorno al suo collo, sentii il suo respiro farsi corto preso alla sprovvista da quel mio gesto. La pelle della sua spalla sfiorava quella delle mie labbra ed aveva un profumo così buono, da farmi chiudere gli occhi e inalarlo per qualche secondo.
"Grazie, Justin" dissi guardandolo negli occhi. Le sue labbra si schiusero come stupite. "Che c'è?" chiesi sfiorandogli la fronte con le dita. Mi sentii sciocca, ma quel mio gesto mi fece arrossire, lo avevo fatto solo a Dylan una volta e farlo a Justin risultò strano tanto quanto naturale.
"E' che nessuno mi ha mai ringraziato in un modo anche solo lontanamente simile a questo" disse senza lasciare un secondo quell'espressione quasi sconvolta.
"Dici sul serio?" non riuscivo a credere che nessuno gli avesse mai dimostrato un minimo di affetto e gratitudine. Era assurdo da concepire per me.
"Sai, continuo a credere che tu sia troppo buona per questo mondo" disse sfiorandomi la guancia sudata con le dita.
Sorrisi arrossendo.
Era magico il modo in cui mi toccava.
Portai le mani sulle sue guance e in un secondo premetti le lebbra sulle sue.
Io, lo baciai io.
Ariel Wilson aveva appena baciato Justin Bieber.

Le sue labbra erano morbide in quel piccolo bacio a stampo che non dava spazio ad altro, era solo un assaggio lieve dei nostri profumi e del nostro corpo.
Mi distaccai di colpo.
"Oh, Justin mi dispiace io non so.." venni frenata di colpo ma non da qualche frase, parola o rimprovero ma dalle sue labbra.
Iniziò a muoverle sulle mie lentamente, passò le mani lungo i miei fianchi mettendomi sotto di lui in quella poltrona piccola ma abbastanza grande da contenerci entrambi.
Le sue labbra erano piene e carnose. Il nostro era uno di quei baci piedi di foga e passione, uno di quelli che ti facevano rabbrividire, che ti scaldavano il cuore in non so quale modo.
Sembrava fosse un modo per proteggerci, per sentirci più nostri, è una cosa stupida si, ma era la verità.
Le mie mani scivolavano lungo la sua schiena muscolosa, le sue mi accarezzavano i fianchi per poi spostarsi di tanto in tanto al mio volto per accerezzarmi le guance tirandomi leggermente la pelle. Le mie dita si rigirarono più volte attorno una ciocca dei suoi capelli color grano dietro la nuca.
Stava diventando il bacio migliore della mia vita. Una mandria di sensazioni m'invase la testa, il cuore, lo stomaco. Un uragano.
Justin si staccò lentamente rimanendo a pochi centimetri dalle mie labbra.
I nostri respiri affannosi si incontravano a metà strada scaldandoci a vicenda. Si passò la lingua sulle labbra il che mi fece rabbrividire, erano così perfette che solo Dio lo può sapere.
"Adesso siamo pari" si alzò di colpo da me senza darmi il tempo di replicare e si dileguò scomparendo dietro la porta della sua camera.
Mi passai la lingua sul labbro inferiore. Sapeva di lui.  

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