Argomento sbagliato.

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Era il cinque luglio, era appena passato il giorno del ringraziamento.
Papà mi venne a prendere a scuola, seduta sui sedili posteriori c'era Shila, giocherellava con quel suo peluche di pezza, sembrava piacerle molto. Salii in macchina e baciai la guancia di mio padre.

"Non credevo mi saresti venuto a prendere a scuola" dissi raccogliendomi i capelli in una coda di cavallo.
"Dobbiamo andare all'ospedale da mamma" rabbrividii. Lessi inevitabilmente della paura e dell'agitazione nella sua voce ma non riuscii a dire nulla e la macchina partì per poi raggiungere l'ospedale meno di dieci minuti dopo.
I corridoio erano gremiti di persone, chi parlava con un parente serenamente e chi invece parlava con paura ad un infermiere. Mi chiedevo io, con chi avrei parlato.
Papà prese fra le braccia Shila ed aprì la seconda porta bianca del lungo corridoio, mamma era lì.
Le lenzuola dai fiori rossi dipinti sopra le coprivano il corpo, avevo i capelli castani sparsi sopra il cuscino, gli occhi socchiusi e le mani congiunte sopra le lenzuola.
Quando ci riconobbe sorrise.
"Mamma" riuscii solo a dire deglutendo. Shila le si avvicinò e mamma la baciò tante volte da farmi perdere il conto. Perchè mia madre era su un letto d'ospedale, non doveva solo farsi una visita?
Deglutii. Dimmi qualcosa, pensai.
"Ariel, vieni. Non restare lì" mi sorrise facendo sedere mia sorella accanto alle sue gambe ed allungando una mano nella mia direzione.
Mi avvicinai piano quasi con paura di poter scoprire qualcosa di terribile, non avevo mai avuto paura di avvicinarmi a mia madre prima.
"Come stai?" riuscii solo a chiederle.
"Bene, tesoro. Tu come ti senti?"
"Bene" annuii. "Perchè sei su questo letto?" strinsi le labbra in una linea retta mentre il suo viso si scoloriva ulteriormente.
"La mamma ha bisogno di riposarsi, Ariel" intervenne papà cingendomi le spalle con un braccio. "Tutto qui".
La porta si aprì e una donna dal camice bianco entrò, porse a mia madre una benda la quale si mise sulla fronte.
"Sono molto debole, ho bisogno di riposare ora" spiegò. "Quando ci rivedremo starò bene" deglutii. Allora non stava bene. "Vi voglio bene, piccole mie".
Mio padre mi anticipò prendendomi per mano mentre con l'altra teneva Shila la quale sorrideva innocentemente. Ci portò fuori dalla stanza e andò a sedersi ai lati del corridoio.
"Papà?"
"Si?"
"Che cos'ha la mamma?" il suo pomo d'Adamo si mosse piano.
"Un tumore" sussurrò debolmente. Strinsi gli occhi in due fessure pregando di non piangere.
"E guarirà?"
"Non lo so. E' molto grave, il tumore ha contagiato l'intero cervello".
"Non avere pietà per me" alzai lo sguardo stringendo i pugni. "Dimmi e basta quello che sta succedendo".
"Tua madre non resterà ancora per molto qui con noi, tesoro". Non mi servì chiedere altro, era sufficente.
Mio padre mi bacò la fronte piano e tornò da Shila la quale si era avvinata ai distributori automatici. Piansi senza accorgermene, ero convinta saremmo state insieme per sempre, ma l'eternità non è lunga come speravo.

I miei occhi si chiusero coordinati ad un sospiro, il soffitto della stanza era alto e guardarlo mi aveva ricordato vagamente la camera dei miei genitori. Lì avevo visto per l'ultima volta mia madre in casa nostra, l'ultima distesa su quel letto d'ospedale mi rifiuto di ricordarla e pagherei purché la mia testa riuscisse a dimenticare quella scena.
"Ehi, tigre" la voce roca e bassa di Justin attirò la mia attenzione. Mi strinse un braccio attorno ai fianchi mentre si passava assonnato una mano fra i capelli scompigliati e umidicci di sudore. "Che ci fai già sveglia?" domandò. "Non riesci e dormire?"
Sorrisi baciandogli le labbra impastate dal sonno.
"No, va tutto bene" era davvero così. "Stavo solo pensando".
"A cosa?"
"Oh, nulla" mi strinsi nelle spalle. I suoi occhi però dicevano chiaramente quanto poco mi credesse, mi guardava incerto, sicuro che stessi mentendo per non divulgare oltre il discorso. "Non è niente di troppo importante".
"Sembri pensierosa" osservò.
"Va tutto bene, non sono sveglia da molto" mentii. Era da più di due ore che guardavo il soffitto pensando ininterrottamente a mia madre ma non glielo avrei detto.
Justin sembrò arrendersi ed annuì. Si alzò di poco con le braccia e sorrise baciandomi la fronte.
"Vieni con me" mi fece cenno di seguirlo mentre si alzava con solo indosso un paio di boxer dal letto. Lo seguii mentre la maglietta s'infiltrava fra le mie gambe ogni qualvolta facessi un passo poiché troppo lunga. "Non so tu, ma ho bisogno di fare una doccia calda" disse aprendo la porta del piccolo bagno in camera.
Sorrisi ed annuii varcando la soglia.
Il mobile alla mia sinistra era di legno e straordinariamente in ordine, si poteva solo scorgere un profumo da uomo fuori posto accanto ad un dopo barba. Alla mia destra invece c'era una piccola doccia a vetri, mi ricordava quella del nostro appartamento a New York.
Justin mi si avvicinò prendendomi i lembi della maglietta e alzandoli lentamente, mi sorrise mentre le fece e non appena rimasi scoperta a lui con indosso solo un paio di slip puliti arrossii.
"Non dovresti sentirti in imbarazzo" mi sussurrò baciandomi la guancia. "Ti ho già vista più volte così".
"Lo so ma, è imbarazzante" abbassai lo sguardo mentre lui ridacchiava.
Le sue labbra si posarono sulle mie mente le sue dita mi alzavano il mento verso di lui, aveva un così buon sapore, simile allo zenzero ma ancora più dolce. Allungò una mano all'indietro ed aprì lo sportello in vetro mentre i miei slip scivolavano via dalle mie gambe.
Chiuse nuovamente lo sportello aprendo di colpo l'acqua calda che iniziò a bagnarci completamente. Le sue labbra mi baciarono centimetro per centimetro le mie passando di rado dal collo, alla clavicola, fino a raggiungere le spalle.
"Justin?"
"Mh?"
"Ho bisogno di te" dissi in un sussurro chiudendo gli occhi.
Le sue labbra si posarono piano sulle mie prima di staccarsi per qualche secondo, mi guardò negli occhi e sorrise annuendo quasi impercettibilmente. Riprese a baciarmi.
L'acqua scivolava lungo i nostri corpi, cadeva sopra le nostre teste insinuandosi fra i nostri capelli prima di percorrere ogni poro di pelle, le spalle, i fianchi, le gambe e le caviglie, in successione.
Justin allungò un braccio dietro di me prendendo il barattolo bianco e prendendo del sapone, mi accarezzò i fianchi, la schiena e le spalle senza smettere un secondo di baciarmi. Passò lo shampoo con le mani fra i miei capelli mentre le mie dita passavano il sapone sul suo petto liscio.
Non staccò un secondo le labbra dalle mie, nemmeno per dire una sola parola. Aumentò la velocità dell'acqua alzandone la temperatura e mi sciacquò ogni residuo di shampoo e sapone dal corpo mentre i miei polpastrelli massaggiavano piano le sue spalle. Si istaccò di poco sorridendomi, allungò una mano fuori dal vetro ed afferrò un asciugamano di cotone posto nell'attaccapanni accanto. Chiuse il rubinetto dell'acqua e mi avvolse dentro il telo morbido.
Sorrisi e lo strinsi fra le mani mentre i miei piedi entravano in contatto con il pavimento freddo del bagno. Li asciugai velocemente e mi addentrai in camera da letto.
Justin mi seguì con un asciugamano legato alla vita ed un altro più piccolo fra la mani con il quale si stava asciugando in modo disordinato i capelli biondi. Mi si avvicinò iniziando a tamponare anche i miei con il tessuto poroso.
"Grazie" sussurrai chiudendo gli occhi.
Avvertii un sorriso prima che le sue labbra mi si posassero sulla fronte.
Sorrisi e tornai a guardarlo.
Justin si distanziò di poco aprendo le ante dell'armadio, prese una felpa, un paio di jeans scuri a cavallo basso e dei boxer dal cassettone superiore.
Io portai lo sguardo sulla mia valigia aperta all'angolo della stanza, presi degli slip puliti, un reggiseno in pizzo azzurro e guardai i vestiti. Presi una t-shirt bianca, dei jeans chiari aderenti e lunghi fino alle caviglie ed un cardigan nero a maniche lunghe.
"Ariel?"
"Mh?"
"Vieni qui" annuii raggiungendo Justin in bagno.
Si era vestito senza che me ne accorgessi, probabilmente mentre mi stavo vestendo anche io. Se ne stava fermo davanti allo specchio, i capelli erano già abbastanza asciutti e decisamente spettinati. Teneva in mano un phon.
"Per me?" chiesi allungando una mano.
"Aspetta" mi fermò stringendomi un polso. "Voglio farlo io".
"Che cosa?" alzai un sopracciglio.
"Asciugarti i capelli insomma, ti dico sempre che sei la mia piccola, la mia tigre o la mia principessina, ora stai in silenzio e lasciami fare" disse.
Sorrisi arrossendo.
Annuii spazzolando i capelli rapidamente prima di farli cadere dietro le spalle.
Justin accese il phon ed iniziò a muoverlo con la mano destra mentre con la sinistra sfiorava con le dita i miei capelli muovendoli con delicatezza.
"Non ho mai fatto niente del genere" ridacchiò imbarazzato.
"Sono contenta che sia la tua prima volta" lo guardai con la coda dell'occhio mentre sorrideva concentrato accarezzandomi le ciocche castane. "Non sei affatto male. Avresti un futuro come parrucchiere".
"Io ho un futuro in qualsiasi cosa" alzò gli occhi al cielo.
Ridacchiai.
Quando terminò mi spazzolò piano i capelli ormai asciutti, lisci e leggermente mossi sulle punte poiché non aveva passato alcuna piastra.
"Direi che ho fatto un ottimo lavoro" disse staccando la spina dal muro.
"Direi che sei promosso" annuii girandomi verso di lui e baciandogli le labbra. Mi sorrise ricambiando e stringendomi fra le braccia. "Sta attento perchè potrei farci l'abitudine".
"Non mi dispacerebbe affatto anche se non ti prometto sempre questo ottimo risultato".
"Mh, modesto".
Ridacchiammo all'unisono.
La cucina profumava di biscotti appena sfornati e non appena varcammo la soglia un'ondata di felicità m'investì. Eliz se ne stava ai fornelli, guardava con attenzione il vetro illuminato del forno mentre con una mano mescolava rapidamente dentro una pentola dai bordi alti. Jaxon stava parlando con il padre, tenevano entrambi in mano dei pacchetti bianchi all'apparenza identici mentre Jazmine se ne stava seduta sopra uno sgabello attorno all'isola di marmo simile a quella del nostro appartamento, con una tazza fumante fra le mani.
"Buongiorno, ragazzi" esordì Jeremy, il quale fu il primo ad accorgersi di noi. "Justin, vieni ad aiutare me tuo fratello con le bistecche" proseguì alzando in aria uno dei pacchetti.
Justin alzò gli occhi al cielo, mi baciò le labbra velocemente, abbracciò sua sorella e prese un biscotto al cioccolato al centro dell'isola, prima di sparire dietro Jaxon.
"Come hai dormito, Ariel?" domandò la donna attirando la mia attenzione.
"Benissimo, grazie" annuii sorridendo ed affiancando Jazmine in uno sgabello accanto.
"Allora, nonno Richard e nonna Jules arriveranno fra un'ora e mezza, il tacchino è in forno da due ore ormai, le patate sono apposto, la verdura anche.." la donna iniziò a guardarsi indaffarata intorno mentre Jazmine ridacchiava. ".. manca solo la torta, perfetto" concluse.
Jazmine posò la tazza sopra il ripiano e posò lo sguardo su di me.
"E' sempre così il giorno del ringraziamento qui, sia mia madre che mio padre ci tengono parecchio" spiegò alzando le spalle. "Anche da te?"
Una fitta mi trafisse lo stomaco e il biscotto che masticavo lentamente quasi non mi andò di traverso.
"Mh, si più o meno" annuii.
Jazmine sorrise.
"Credo che quest'anno sia ancora più speciale per loro" disse guardando con la coda dell'occhio sua madre, decisamente troppo sovrappensiero per darle retta.
"Per Justin?"
"Suppongo di si" annuì. "L'anno scorso non è venuto. Ci siamo visti solo per un paio di giorni a Natale" spiegò.
"Allora capisco perfettamente" sorrisi e lei ricambiò.
Mi chiesi solo allora cosa significasse avere veramente un figlio dall'altra parte dell'America, sembravano una famiglia perfetta ma in realtà sotto c'era molto di più. Non erano affatto perfetti. Justin non aveva affatto una vita perfetta, non ce l'aveva a New York, ma nemmeno a Stratford come inizialmente mi era sembrato.
Eliz nel frattempo aveva iniziato a infornare una nuova teglia di biscotti e a farcire la torta con la crema al cioccolato. Sembrava le piacesse parecchio cucinare.
"Vieni, andiamo a prepararci" disse Jazmine prendendomi un polso.
Annuii seguendola fino al piano superiore, guardai la porta della camera di Justin deglutendo - ricordava troppo bene la notte precedente - e solo dopo alcuni minuti tornai a concentrarmi su quella di Jazmine.
Era molto carina e straordinariamente ordinata. C'era un letto dalle coperte rosse posto sulla destra accanto al muro, un armadio di legno massiccio, un tappeto bianco e varie foto appese che la ritraevano assieme alle sue amiche, solo una era con sua madre e suo padre.
"Non ho foto della mia famiglia al completo" interruppe i miei pensieri superandomi.
"Perchè?"
Speravo di non essere stata indiscreta.
Tuttavia Jazmine non sembrò turbata e rispose senza esitazione.
"Sarebbe troppo brutto vederli tutto il tempo. I miei genitori cercano di fare il possibile per esserci, ma Jaxon non è esattamente il fratello dal quale prendere esempio, anzi il contrario e Justin è come se non ci fosse, come se avesse lasciato la nostra famiglia".
"Non è così" abbassai lo sguardo mordendomi l'interno guancia.
"No?" alzò un sopracciglio. "Lo conosci abbastanza per dirlo?" leggevo della sfida nella sua voce. Dell'insinuazione nel dire che non lo conoscessi abbastanza per parlare.
"Credo di si" annuii. "E' un mese che vivo con lui giorno e notte, non mi reputo alla pari di suo padre ovviamente, ma lo conosco abbastanza per poterti dire che lui non ha mai abbandonato la vostra famiglia".
Jazmine sospirò aprendo i balconi delle finestre.
"La verità è che mi manca".
"Anche voi mancate molto a lui, te lo assicuro".
Avrei voluto dirle che se non fosse stato per Tomas, per quel bastardo, Justin sarebbe vissuto con lei per sempre, nella loro città. Ma non potevo, perchè noi eravamo diversi.
"Sai, lui non ha vissuto molto con noi a dire il vero. Avevo quattordici anni quando l'ho conosciuto ma si trattò di pochi giorni, durante le vacanze estive. Poi è venuto da  noi per un paio di mesi, è tornato dalla madre a Los Angeles e verso settembre è stato arrestato. Io non so se.."
"Si" la interruppi. "Me ne ha parlato, anche se vagamente".
Lei annuì.
".. dopo l'arresto ricordo che papà fece di tutto per tirarlo fuori, uscì dopo un anno e mezzo più o meno e fece tre mesi di domiciliari qui, si trasferì anche ma solo per pochi mesi. Poi decise di andare a New York senza darci spiegazioni. Tu lo sai?"
"Che cosa?"
"Perchè è tornato a New York?" la voce le tremava. "Perchè ci ha abbandonato?"
"Non vi ha abbandonati, credimi. Avrebbe voluto fare di tutto fuorchè abbandonarvi. Ma non voleva gravare sulle spalle di tuo padre, si sentiva in debito verso di lui per averlo fatto uscire dal carcere quando sua madre non ha mosso un dito" presi fiato.
"Sembra che tu conosca mio fratello molto meglio di me".
"Già, ma la sua fiducia me la sono guadagnata, te lo assicuro".
"Ti chiedo solo una cosa" accennò ad un sorriso guardandomi. "Non farlo soffrire. Almeno tu non spezzargli il cuore".
Quelle parole mi ronzarono in testa per svariati secondi.
Chi gli aveva spezzato il cuore prima di allora? Justin non me ne aveva mai parlato.
Non riuscii a chiedere oltre che la porta della stanza si aprì e Justin. Aveva un'aria pacata, tranquilla e serena. La canotta era spora di fuliggine, i capelli un po' scompigliati e il viso accaldato.
"Come stanno le mie donne preferite?" domandò abbracciandomi da dietro.
"Benissimo, fratellone" rispose Jazmine portando le braccia al petto. "Com'è andata?"
"Mh, bene direi" Justin si strinse nelle spalle lasciando quel sorriso che fino a quel momento aveva mantenuto. "Andiamo a prepararci, amore?" mi sussurrò all'orecchio.
Arrossii annuendo.
"Ci vediamo fra poco, arriveranno nonno Richard e nonna Jules" disse Jazmine aprendo la porta per farci passare.
"D'accordo, a dopo" rispondemmo all'unisono sotto il sorriso apparentemente immacolato di Jazmine.
Justin mi teneva stretta, nemmeno quando arrivammo in camera mi lasciò andare, teneva le braccia attorno ai miei fianchi e la fronte contro la mia spalla mentre le labbra stuzzicavano appena il mio collo ogni qualvolta respirasse.
"Di che avete parlato?" domandò piano.
"Intendi io e Jazmine?" annuì. "Oh, niente di che".
Inizialmente non rispose, mi baciò il collo e respirò profondamente.
"Non fare troppo caso a ciò che dice, non pensa prima di parlare e molte volte è davvero inopportuna. Forse è anche per questo che non mi manca poi così tanto quando sono lontano da casa" si strinse nelle spalle distaccandosi ed andando verso l'armadio prima di aprire le ante e prendere una maglietta pulita.
"Justin?" mi avvicinai a passo lento fino a raggiungerlo. Passai le dita sulla sua schiena sospirando. "Lo so che ti manca nonostante tutto, non devi fare il duro della situazione con me" i suoi muscoli si tesero, lo avvertii tramite i polpastrelli delle dita.
"Anche se mi mancasse, Ariel, sai bene qual è e soprattutto cos'è diventata la mia vita".
Si, lo sapevo perchè diamine, era anche la mia.
"E' una brava ragazza".
"Lo so" sorrise sfilandosi la canotta sporca. "Ma io non sono un bravo ragazzo" si strinse nelle spalle sedendosi sopra il letto.
Annuii sorridendo.
Quella frase venne così spontanea ad entrambi, per lui dirla e per me comprenderla. Come se in realtà la verità entrambi la conoscessimo perfettamente dentro di noi.
Andai a sedermi sulle sue gambe, il torso nudo contro il mio era caldo ma allo stesso tempo mi fece venire i brividi di freddo.
Passai le dita sopra ogni singolo tatuaggio, non sapevo scegliere quale fosse il più bello.
"Trovo sorprendente che tutti abbiano un significato" osservai.
"Eppure è così" sorrise avvicinandosi alle mie labbra. "E un giorno mi sono ripromesso di tatuarmi il nome della mia donna e dei miei figli".
"Non sono così d'accordo".
"E perchè no?" socchiuse gli occhi.
"Beh, come puoi essere certo che quella donna rimarrà con te per tutta la vita?" non si poteva e basta.
"Mi lascerai?" domandò inclinando la testa.
"Che c'entra?"
"Rispondi e basta" mi zittì.
"No, non ti lascerò, Justin". Lui sorrise sfiorando le labbra con le mie.
"Allora posso farmi il tatuaggio".

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