Chi ha fatto il primo passo?

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La presa di Justin sulla mia mano aumentò ancora, tuttavia dopo la mia risposta tutti i presenti sembravano essersi innervositi. L'aria che si respirava non era più quella calda e melodica del giorno del ringraziamento che fino a quel momento ci aveva circondati, al contrario si era fatta nervosa.
"Mi dispiace molto, cara" disse Jules. "Non ne sapevo nulla".
"No, va tutto bene" sorrisi lasciando uno sguardo d'intesa a Justin. "Sto cercando di superare la morte dei miei genitori".
Non era vero, non l'avevo superata affatto e anche Justin lo sapeva. Mi guardò senza dire niente, allungò un semplice sorriso sforzato sul viso e tornò a mangiare.
Gli occhi di Jazmine erano fissi su di me, sono certa che se solo avesse potuto mi avrebbe fatto tantissime domande sui miei genitori e di com'erano morti, ci avrei scommesso.
"Studi a New York?" domandò interrompendo la situazione Eliz.
"Oh, no. Lavoro all'hotel con Justin, sono alla reception" mentii.
Splendido, pensai, stavo mentendo ancora.
"Ci siamo conosciuti sul lavoro" spiegò Justin abbassando lo sguardo.
"Trovo sorprendete che tu sia riuscita ad incastrare mio fratello." ridacchiò Jaxon. "Però ne sono felice, era ora che ti trovassi una ragazza" aggiunse dando uno sguardo al fratello.
Justin annuì sistemandosi il colletto della camicia con le mani.
"E' da quando ti ho incontrata che voglio chiedertelo" disse Jazmine ridacchiando. "Chi ha fatto il primo passo?" sentii le guance bruciare e portai lo sguardo su Justin.
Chi aveva fatto obbiettivamente il primo passo?
O meglio ancora, c'era mai stato qualcuno che avesse fatto il primo passo fra di noi?
"Lei" rispose certo Justin puntandomi l'indice contro e senza nemmeno consultarmi.
"Io?" alzai un sopracciglio.
"Certo, forse non ricordi?" sorrise furbo. "Sei stata tu a baciarmi o te lo sei già dimenticata tigre?"
Avvampai.
Merda, ero stata davvero io.
"E' stato uno stupido bacio a stampo, non eri forse tu quello che mi ha slinguazzato sulla poltrona del salotto?" un verso di sorpresa generale uscì dalle labbra di tutti mentre gli occhi di Justin m'incenerivano.
"Non c'entra nulla" rispose portandosi il bicchiere di vino rosso alle labbra. "Era solo una ripicca al tuo di bacio, ovviamente".
"Oh, ti prego" alzai gli occhi al cielo. "Per poco volevi pagarmi perchè ti baciassi".
Justin socchiuse gli occhi a due fessure mentre gli altri ridacchiavano ascoltandoci attentamente.
"Quindi, si pensa anche che sia stato Justin a fare la prima mossa per portarti a letto, no?"
"Jazmine!" urlò Eliz dandole una gomitata. "Ti sembra il caso?!"
"Non c'è niente di male, non abbiamo due anni. Voglio solo sapere se sono stati a letto insieme e se si beh, chi ha fatto la prima mossa?" si lamentò la ragazza massaggiandosi il braccio. "Ariel?" domandò poi ritornando a guardarmi.
"Oh, beh noi.." le parole mi morirono in gola, cosa avrei dovuto dire?
"Si, Jaz sono stato io, contenta?" la vena sul suo collo si era ingrossata e nonostante parte della mia attenzione fosse stata catturata dalla risatina di Jaxon, non riuscii a non concentrarmi sul nervosismo che all'improvviso aveva ripreso parte del corpo di Justin.
"Mh, prendiamo il dolce. Che ne dite?" intervenne Jeremy facendo scontrare la mani fra di loro.

Il pranzo era stato davvero ottimo, Justin si era sforzato di sorridere di tanto in tanto ma non aveva più parlato, neanche una parola. Allungai il braccio sotto il tavolo intrecciando le dita della mano con le sue, il suo sguardo incontrò il mio e in un secondo si rasserenò.
"Mi dispiace tantissimo tigre" mimò con le labbra.
"Va tutto bene" gli baciai le labbra prendendolo alla sprovvista ma non gli ci volle molto per riprendersi e sorridermi.
"Questo pranzo mi ha distrutta" gemette Jazmine alzandosi da tavola. Eliz sorrise prendendo il piatto sporco e portandolo in cucina. "Credo che non mangerò più per i prossimi cinque giorni".
"Oh, ti prego" Jaxon alzò gli occhi al cielo affiancandola dopo aver riposto la sedia sotto il tavolo. "Non accadrà mai, sei troppo ingorda" la punzecchiò Jaxon, pizzicandole la guancia.
Jazmine alzò gli occhi al cielo bevendo un sorso di vino dal bicchiere.
Justin si alzò stiracchiandosi, allungò un braccio nella mia direzione circondandomi le spalle.
"Ho bisogno di prendere una boccata d'aria, vi dispiace se usciamo per qualche minuto?" domandò spazientito.
"No, piuttosto credo sarebbe meraviglioso per Ariel che tu la portassi sulla terrazza panoramica, non credi?" rispose Jeremy.
Justin si guardò le punte delle scarpe per qualche secondo prima di annuire, mi guardò pensieroso dopo di che sorrise nuovamente.
"Si, le piacerà. Ci vediamo fra un paio d'ore" affermò prendendo le chiavi della macchina.
Aprì la porta e quasi senza aspettare che lo raggiungessi uscì chiudendosi in fretta la porta alle spalle. Non fece in tempo a chiudere il cancelletto in acciaio che prese il pacchetto di sigarette dal cruscotto dell'auto e se ne portò una fra le labbra. I suoi occhi si chiusero non appena la punta della sigaretta s'infiammò di rosso per poi riaprirsi mentre le sue labbra lasciavano andare una scia di fumo.
Aprì lo sportello della macchina e mi fece segno di salire, accese il motore e con un braccio che cadeva fuori dal finestrino mise in moto per poi partire, sfrecciando.
"Cristo, Ariel" iniziò a sbuffare sonoramente passandosi in velocità le mani fra i capelli. Dire che era nervoso era riduttivo. "Non hai idea di quanto mi dispiaccia insomma, loro non sono così. Sapevo che Jazmine potesse essere un po' indiscreta ma non credevo a tal punto e non mi è passato per la testa nemmeno per un secondo che potessero chiederti dei tuoi genitori".
Rimasi in silenzio per qualche secondo ad osservare il suo profilo integro. Guardava la strada, la mascella contratta e i muscoli di entrambe le braccia tesi.
"Justin, sto bene.."
"No, non stai bene!" gridò. "Non dirmi che stai bene e non raccontarmi come hai fatto a tavola che stai superato la cosa perchè entrambi sappiamo che non è così" concluse.
Strinsi le labbra in una linea retta. Aveva ragione e lo sapeva.
"D'accordo, non ho superato la morte di mio padre ma se è per questo non ho nemmeno superato il fatto di essere stata rapita, di essere stata costretta da un pazzo maniaco a vivere con tre ragazzi in un appartamento a New York, di aver ammazzato qualcuno e di non essere più quella di prima. Sono tante le cose che non ho superato, Justin".
Il suo volto s'incupì mentre svoltava a sinistra.
"Mi dispiace anche che Jazmine.. si insomma, ti abbia messa in imbarazzo. Non si era mai spinta così oltre".
"Non importa davvero, non poteva saperlo" annuii. "Comunque non è stato così tremendo, almeno non è stato il solito pranzo convenzionale che mi sarei aspettata".
"Ti aspettavi un pranzo convenzionale dalla mia famiglia?"
Alzai le spalle.
"La verità è che sarebbe stato molto peggio se a tavola fosse regnato il silenzio e se l'unico rumore avvertibile fosse stato il rumore delle forchette contro i piatti" odiavo i momenti di silenzio, sopratutto quello imbarazzante.
Justin annuì.
"Justin?"
"Mh?"
Mi mordicchiai il labbro nervosa mentre la sua mano lasciava cadere la sigaretta finita sull'asfalto.
"E' tutto il giorno che penso a una cosa. A una cosa tremenda, a una cosa che solo a pensarci me ne vergogno ma ne ho un bisogno tremendo" gemetti stringendo le mani in due pugni.
"Che ti succede?" sembrava preoccupato quando l'unica cosa che mi sarebbe servita era lui.
"Parcheggia" affermai.
"Parcheggiare, tigre" corrugò le sopracciglia. "E dove, siamo in mezzo ad un'autostrada?"
"Tu fallo e basta. Per una volta ascoltami" mi fulminò con gli occhi prima di accostare in una piccola area a di sosta in prossimità di una locanda chiusa per festività. Gli indicai il posto più lontano dalla strada e isolato, era esattamente accanto a quello stabile chiuso e il camion che era parcheggiato accanto copriva perfettamente la macchina. Almeno per tre quarti.
"Allora, che succede?" domandò spegnendo il motore.
"Mi piacciono le tue mani" deglutii e il suo viso si accartocciò, le rughe sulla fronte divennero visibili, non ci stava capendo più niente e non lo biasimavo. "Per tutto il pranzo non hai fatto altro che accarezzarmi le braccia, i polsi o le cosce con quelle cazzo di mani e stavi per farmi impazzire, avrei voluto ucciderti. Quindi sei pregato cortesemente di usarle ora che ne hai la possibilità" dissi tutto d'un fiato trattenendo il respiro.
Justin dischiuse le labbra lentamente con aria pensierosa.
"Vuoi fare sesso in auto dopo aver appena pranzato con i miei genitori?" la sua voce era incredula ma i suoi occhi lo tradivano, erano pieni di passione così come il suo respiro corto.
"Si. E se fosse in te ne approfitterei visto che capita raramente che io voglia fare certe cose in determinate situazioni".
"Oh, lo so bene" annuì leccandosi le labbra.
Mi tirò a se facendomi sedere sopra di lui.
"Come cazzo fai ad essere eccitante praticamente sempre eh Tigre?"
"E' da tutta la durata del pranzo che vorrei farti la stessa domanda".
Justin reclinò il sedile facendomi appoggiare la schiena al volante mentre gli sbottonavo velocemente i pantaloni neri. Mi guardò negli occhi e in quel momento ebbi la certezza di non essere stata una pazza a far fermare l'auto e che anche lui avesse tanta voglia di me da non avere voglia di aspettare troppo. Passò infatti la dita sotto la gonna del mio vestito, abbassò piano i collant neri e arrivò fino al perizoma spostandolo senza fatica.
Mi baciò le labbra e mi fece scivolare sopra di lui.
"Dio, sì, Justin" mi vergognai di me ma non m'importò.
Per la prima volta non m'importò e per la prima volta mi chiesi cos'ero diventata e se mio padre sarebbe mai stato fiero di me.
Mi muovevo con violenza, per quanto possibile all'interno di quella macchina. Justin sembrava godersi il momento quanto me ma allo stesso tempo sembrava attanagliarsi il cervello di pensieri, mi guardava voglioso ma allo stesso tempo stranito, forse si stava chiedendo, chi è questa ragazza? Me lo chiedevo anche io.
"Justin, giuro che non mi trattengo" riuscii a biascicare contro le sue labbra.
"Non farlo, vieni per me, piccola" fu la prima volta che parlò e anche l'ultima. Ruotò il bacino prima a destra e poi a sinistra mentre le mie gambe si stringevano di più attorno a lui, che venne contemporaneamente dentro di me.
Mi chinai in avanti raggiungendo con la fronte la sua mentre i nostri respiri tentano di farsi regolari.
"Porca miseria, Ariel" mi baciò a stento riuscendoci. "E' stato abbastanza inaspettato" concluse con il fiatone chiudendo gli occhi.
Mi tolsi da lui tornando sul mio sedile e rimettendo a posto i collant, mi passai le mani fra i capelli con foga.
"Vuoi dirmi che ti è preso?" domandò serio.
"Se non volevi bastava dirlo, non sono prepotente, non ti avrei preso e sbattuto contro la tua volontà" precisai innervosita dalla sua domanda.
"No!" gridò. "Diamine, non è questo. Solo, vuoi farmi credere che vada tutto bene? Che questo gesto sia completamente normale?"
"Non lo so, è stata tutta la situazione di questo pranzo, tu che non la smettevi di essere ovunque con le tue mano, poi dal mio cervello non esci mai, a volte mi sento come se non sentissi vicino da anni".
"Quindi è colpa mia?"
"Non è proprio colpa tua" risposi. "Te ne faccio una causa e questa è solo una conseguenza".
"D'accordo" si abbottonò velocemente i pantaloni prima di deglutire rumorosamente. "Non ho usato il preservativo, Ariel".
Spostai lo sguardo fuori dal finestrino.
" Me ne sono accorta" dissi alzando le spalle.
"Ma non prendi la pillola".
"Lo so ma per una volta non succede nulla" dissi abbassando lo sguardo. "Comunque devo avere qualche pillola dentro la borsa" dissi.
"Pillola?" chiese stringendo la mascella.
"Me le ero fatte prescrivere ancora quand'ero a Midland, sai com'è, avevo un ragazzo" dissi ovvia.
"Ciò non toglie che avresti potuto buttarle via da quando sei arrivata o avevi altre intenzioni?" domandò furioso. Questo ragazzo si arrabbiava per il nulla.
"Non fraintendere" dissi. "Ma servono sempre, non si sa mai."
"Ma che cazzo dici Ariel" gridò quasi. Sembrava allucinato.
"Devo forse ricordarti che tu sei andato a farti fare un cazzo di pompino da una qualche puttana dopo appena tre ore che ci eravamo lasciati, Justin?"
Rimase zitto.
Avevo sofferto quanto lui, punto. Ne più ne meno.
"Okay, non parliamo più di questa storia. Non ho voglia di litigare con te" annuii.
Accese il motore e partì.

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