La famiglia Bieber.

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Ero a dir poco emozionata di essere finalmente giunta a destinazione. Feci segno a Justin di rallentare e scattai una foto al cartello posto alla mia destra, lui scoppiò a ridere mentre la fotocamera s'illuminava.
Aprii la casella dei messaggi e subito dopo la chat con Nathan.

A Nathan:
"Siamo a Stratford! Dopo un giorno e mezzo di viaggio ce l'abbiamo fatta."

Quando Justin lesse il messaggio ridacchiò spettinandosi i capelli biondi decisamente meno ordinati del solito. Solo quando mi voltai a guardarlo per mettere via il cellulare notai quanto quella sera le occhiaie fossero più marcate del solito sul suo viso. Gli sfiorai la guancia con le dita facendolo sorridere.
"Non dirmi che non sei stanco, non ti crederò".
"Sono stanco" ridacchiò baciandomi la mano. "Ma sono anche felice, finalmente siamo arrivati".
In effetti comunque, mi accorsi solo allora che eravamo riusciti a raggiungere Stratford in un giorno di viaggio solo grazie alla folle velocità che Justin aveva tenuto con la macchina. Se solo fossimo andati più piano, a quell'ora ci saremmo trovati ancora in Minnesota. Sicuro.
"Prendi il mio telefono, chiamiamo Jazmine" disse facendo roteare gli occhi sino al portaoggetti. Allungai la mano e lo presi cercando nella rubrica sotto la lettera J il suo nome. Le aveva adornato il numero con un cuore rosso. Che dolce, pensai. "Mettilo pure in viva voce, non voglio avere conversazioni segrete con te" disse.
"D'accordo" annuii. "Ma non parlerò" lui sorrise annuendo. Credo se lo aspettasse.
La chiamata iniziò e sentii le note dell'attesa non appena selezionai il tasto del viva voce che si illuminò di verde sul display. Si fece attendere per qualche altro secondo dopo di che il tintinnio sparì e una voce dolce e melodica rispose.
"Fratellone, aspetto questa chiamata da giorni!" quasi gridò. Sapeva avesse più o meno la mia età ma appariva come una voce da bimba, ingenua e docile.
"Ehi, Jazmine. Siamo per strada, arriveremo tra pochi minuti, avvisa papà ed Eliz per favore" rispose Justin. "E dì a Jaxon di non farsi aspettare" disse alzando gli occhi al cielo. La ragazza ridacchiò.
"Sta tranquillo, gli ho detto di farsi la doccia in anticipo" rispose. "E' qui accanto a me, non vediamo l'ora che arriviate. E lei, è lì con te?" chiese. Che carina, mi pensava. Forse non le stavo antipatica in partenza poiché ero la ragazza del suo fratellone. 
"Sì, non vede l'ora di conoscervi. E' emozionata quasi quanto te" eccome se lo ero.
"Dio, non vedo l'ora! Mamma ha preparato dieci tipi di torte per domani, spero che Ariel sappia cucinare perchè papà ha voluto comprare il tacchino".
"E qual'è la novità? Lo compra tutti gli anni".
"Si ma questa volta da fare in casa. Mamma non lo sa cucinare" ridacchiò. "Io sono una frana in cucina e Jaxon non sa fare un uovo sodo. Spero che la tua ragazza sia più brava di noi".

Avvampai. Non lo ero affatto e non avevo mai cucinato un tacchino.

"A dire il vero non ne ho idea, a casa cucina Nathan" rispose Justin.
"Beh, in qualche modo si cucinerà anche il tacchino. Papà ha comperato la carne da fare alla brace, dice che lo dovrai aiutare" Justin sorrise.
"Lo immaginavo, serve il mio tocco per ottenere le migliori bistecche di Stratford" rispose facendomi l'occhiolino. Mh, modesto, come al solito.
"Certo" ridacchiai coprendomi la bocca per non farmi sentire. "Ad ogni modo sbrigatevi ad arrivare. Quanto fai all'ora? Accelera!" esclamò.
"Jaz, faccio i novanta all'ora, se ci tieni a vedermi vivo non lamentarti".
"Vivere a New York ti ha fatto abbassare i ritmi" sospirò ridacchiando lei.
"Ci vediamo fra poco, fa la brava" e chiuse le chiamata senza aspettare una risposta.
Sorrisi.
"Tua sorella mi piace". "Secondo me ti piacerà ancora di più quando la conoscerai ma può essere insopportabile, è abbastanza ficcanaso a volte e ti tormenterà di domande".
Oh, pessima cosa.
Odiavo le domande.
"Vedi quella casa laggiù?" chiese Justin indicando un punto sul fondo della strada.
"Si".
"E la casa dei miei nonni, credo si aggiungeranno a noi domani per il pranzo del ringraziamento" spiegò sorridendo. Non avevo idea che Justin avesse quel tipo di vita familiare. "E quella invece è casa mia".
Un brivido mi percorse la schiena quando il mio sguardo seguì la linea del braccio di Justin, puntava una piccola villetta opposta a quella indicata in precedenza, aveva i muri gialli e bianchi, i balconi chiusi in legno, un piccolo terrazzo pieno di vasi di fiori ed un giardino la circondava.
"Vivevi in questa meraviglia e te ne sei andato?" chiesi aprendo lo sportello dell'auto non appena si fermò sul ciglio della strada. Io non me ne sarei mai andata. Quel posto era perfetto.
"Non ci ho mai vissuto esplicitamente, mio padre incontrò Eliz mentre ero in carcere, venni a trovarlo solo quanto venni rilasciato ai domiciliari, pochi mesi ma non mi fermai di più. Volevo essere indipendente" mi risultava difficile credere che l'indipendenza fosse vivere nel clan.
Era una pazzia.

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