28. Un fiume in piena

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Non so quanto tempo resto seduta sui gradini, con i gomiti poggiati sulle gambe e la testa tra le mani.
Potrei anche essermi addormentata, non lo so.
Un rumore di passi sulla scala mi riscuote dal mio torpore.
Claudio compare davanti a me.
"Sei qui...." mi dice con un filo di voce, con un sospiro. Un sospiro di sollievo.
Mi prende le braccia per farmi alzare.
"Vieni, entriamo in casa. Fa freddo qui fuori."
Lo seguo senza dire nulla.
Mi guida verso il divano, mi avvolge in una coperta e si siede di fianco a me.

Ci guardiamo, senza parlare.
Io che sto aspettando di essere assalita da insulti di ogni genere, rimango allibita. 
Perché lui invece non dice niente.
Continua a guardarmi con uno sguardo indecifrabile.
Questo silenzio, che da un lato è snervante, dall'altro sembra carico di un misto di emozioni.
Rabbia, paura, sconcerto, tristezza.
Mi chiedo se sono solo io a provarle.
Ad un certo punto non ce la faccio più.
Ho bisogno di parlare, anche se non so cosa dire, altrimenti esplodo.
"Claudio.... io.... mi dispiace.... non" ma lui mi blocca, poggiando un dito sulle mie labbra.
"No, Alice. Fai parlare me" mi dice con tenerezza.
Sospira.
Sembra cercare le parole giuste.
Scuote il capo.
"Tu mi stai sconvolgendo la vita. Sei come un fiume in piena che mi travolge e io non posso farci niente. Posso solo stare a guadare dove mi porta e cercare di tenere la testa fuori dall'acqua per non annegare."
Mi parla con la voce tremante, senza guardarmi.
Poi si gira verso di me.
Ha gli occhi lucidi.
"Perché sei scappata via così?"
Ma sembra più una considerazione che una domanda e comunque non mi dà il tempo rispondere.
"Non sono riuscito a fermarti, perché mi ci è voluto un po' per capire quello che mi hai detto e tutto ciò che significa. Poi ho girato a vuoto, sperando di trovarti. Sono anche andato nel tuo vecchio appartamento. Ho pensato di andare dai tuoi, ma li avrei allarmati troppo e così sono venuto qui, sperando che tu decidessi di tornare a casa."
Fa una lunga pausa.
Io non ho il coraggio di dire nulla.
"E sai cosa volevo dirti?"
Mi guarda intensamente.
Scuoto il capo.
"Che dobbiamo smetterla, tutti e due. Dobbiamo smetterla di scappare. Perché la soluzione, a qualsiasi problema, possiamo trovarla solo insieme. Ci possismo insultare, rovesciare addosso tutta la rabbia, la paura che abbiamo dentro. Ma il modo per andare avanti alla fine lo troveremo sempre"
Riprende fiato o forse è troppo emozionato per continuare.
"Perché io e te insieme siamo più forti di qualsiasi cosa possa accadere."
Le lacrime cominciano a bagnarmi le guance.
Com'è possibile che riesca sempre a spiazzarmi così.
Mi mette un braccio intorno alle spalle, facendomi appoggiare la testa sul suo petto. Rimaniamo così, abbracciati.
"E ora, raccontami, che è successo?"
Rispondo a fatica, mi trema la voce ed è difficile non far prendere il sopravvento al pianto, che è fermo in un enorme nodo, in fondo alla gola.
"Ieri mi è arrivato il ciclo....
Ma non era come le altre volte..... Sembrava più un'emorragia...... Così mi sono spaventata e sono andata in ospedale. E.... in realtà non era un vero e proprio ciclo. Era un aborto spontaneo..... Ero incinta di 4 settimane circa."
Prendo fiato.
Lui continua a tenermi stretta e ad accarezzarmi.
"Claudio..... mi dispiace...... Gli antibiotici che ho preso dopo l'aggressione e qualche orario di  assunzione sballato devono avere compromesso l'effetto della pillola..... Mi dispiace...... Sono stata una stupida a non pensarci...."
Mi solleva la testa per guardarmi negli occhi.
Ma nel suo sguardo non c'è traccia della rabbia che pensavo di trovarci.
"E tu hai dovuto affrontare tutto questo da sola? Quello che dispiace a me è di non essere stato lì con te".
Lo guardo a lungo senza riuscire a dire nulla.
"Che c'è? Perché mi guardi così?"
"Perché riesci sempre a stupirmi. Io credevo che tu ti saresti arrabbiato. Che mi avresti detto che sono inaffidabile. Perché tu non vuoi un figlio, non lo hai mai voluto. E invece...."
"Alice io sono convinto che ora non sarebbe il momento giusto per avere un figlio. So di aver detto di non volerne. Ma ti ho anche detto che tu mi stai ribaltando la vita. Quindi non lo so più. Quello che so è che, poco più di un mese fa, ho rischiato di perderti per sempre. E, in confronto a questo, tutto il resto non ha importanza."
Sono senza parole.
Lo guardo con gli occhi sbarrati.
Devo avere un'espressione da visione mistica.
"E tu, come stai?" Mi chiede, stavolta guardandomi dritto negli occhi.
"Come sto? Non lo so... in questi due giorni mi sono passate talmente tante cose per la testa che non te lo so dire." Provo a mettere in ordine i pensieri, qui, ora, davanti a lui che mi fissa, e non è per niente facile fargli capire qualcosa che nemmeno io ho chiaro.
"Lo so anche io che questo non sarebbe il momento giusto per avere un figlio. E infatti non ho mai pensato di volerlo ora. Cioè sono sicura di volere un figlio con te, Claudio, in futuro. Ma non pensavo di volerlo adesso. Quello che è successo però mi ha fatto pensare a tante cose. Mi ha fatto pensare che c'era un figlio nostro. Esisteva veramente, nonostante tutte le nostre paure. È stato dentro di me. E questo in qualche modo, anche se non ho ancora ben capito quale, cambia tutto.
E ora mi dispiace che non ci sia più.  Mi sono resa conto che non possiamo pensare di essere noi a decidere qual è il momento giusto. Noi non possiamo decidere proprio niente. Né in un senso né nell'altro. Potremo decidere di darci questa possibilità, quando e se saremo pronti a farlo. Ma il resto sarà la vita a stabilirlo. E questo un po' mi fa paura."
Claudio mi guarda in silenzio.
Mi sorride. Un sorriso dolce.
"Alice, pensare che tra qualche mese avrei potuto essere padre, mi terrorizza. E questo non posso nasconderlo.  È così e sarà così sempre. Non credo che il tempo potrà cambiare questa cosa. Ma, sapere che esisteva un figlio nostro e che ora non c'è più, anche a me fa male. E mi fa pensare che, con te, forse, riuscirò ad affrontare anche questa mia paura. E che, se stasera mi avessi detto che aspettavamo un bambino, all'inizio mi sarebbe caduto il mondo addosso. Ma che poi, insieme, avremmo affrontato anche questo e che, probabilmente, sarei stato il padre più felice del mondo, con te al mio fianco."
Mi da un bacio sulla fronte e si alza dal divano.
Siamo seduti qui da un po' e fuori è scesa la sera.
"Dove vai?"
"A ordinare due pizze. Dobbiamo mangiare!"
Mi stupisco sempre per la facilità con cui riesce a passare da parlare delle questioni più importanti dell'esistenza a preoccuparsi delle cose più materiali che esistano.
Ma forse fa sempre parte del suo sistema di autodifesa.
Io invece non posso fare a meno di continuare a rimuginare su quello che ha appena detto.

"A cosa stai pensando?" Mi chiede dopo aver ordinato le pizze, senza neanche chiedermi come la volessi. Deve aver capito che in questo momento è l'ultimo dei miei pensieri.
"Sto pensando a quello che mi hai appena detto. Cioè, in pratica, hai una paura folle di diventare padre, quindi non saresti in grado di decidere di avere un figlio, ma se capitasse, forse saresti il padre più felice del mondo?"
"Mi sembra un po' riduttivo, ma più o meno il senso è quello." Mi guarda intensamente e sospira, poi continua.
"Lo so che probabilmente è molto meno di quello che ti sarebbe piaciuto sentire. Ma è molto più di quanto avrei mai pensato di poter dire. Quindi, per ora, te lo farai bastare" mi dice dandomi un piccolo bacio sul naso.
E io invece penso che tutto quello che mi ha detto stasera sia più forte di qualsiasi 'ti amo', che sia la più importante dichiarazione d'amore che si possa fare.
'Io e te insieme siamo più forti di qualsiasi cosa' continua a risuonarmi nella mente e vorrei che non mi abbandonasse mai.
Lo abbraccio e lo bacio più forte che posso e glielo ripeto "Io e te insieme siamo più forti di qualsiasi cosa".
Perché sentirselo dire è meraviglioso.
Piangiamo insieme.
È un pianto liberatorio, che ci lascia sfiniti, ma, in fondo, felici di quello che siamo l'uno per l'altra.

L'allieva.... quattro anni dopoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora