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Mi guardo attentamente intorno nella stanza mentre chiudo la valigia, sentendo il sollievo farsi strada in me, mentre con una mano premo su di essa per riuscire a chiuderla con l'altra. Solo una volta dopo aver chiuso completamente la cerniera noto di aver dimenticato fuori la foto sul comodino, forse la cosa più importante di tutta la stanza.

Con un sospiro, dopo aver nascosto la foto nella borsa enorme che mi porto sempre dietro, afferro il manico della valigia e, nel momento stesso in cui finisco di controllare di aver preso tutto ciò che ho di essenziale, mi catapulto giù dalle scale e corro verso il taxi che ho chiamato apposta per farmi portare via da questo inferno prima che mio padre torni a casa, per quanto questa valigia enorme mi permetta.

La metto subito nel bagagliaio con l'aiuto dell'autista e faccio cenno al ragazzo con la pelle del viso butterata di partire immediatamente quando vedo la macchina di mio padre imboccare la strada per arrivare fino al "vialetto" di casa.

Non appena vedo che siamo lontani abbastanza perché lui non possa riconoscermi e quindi seguirmi, tiro un sospiro di sollievo, abbandonando il capo sul poggiatesta dietro di me e sorridendo al tettuccio della macchina. Mi sento estremamente soddisfatta nell'immaginarmi quell'uomo quando troverà il biglietto che gli ho lasciato sul tavolo, incurante delle occhiate confuse che mi lancia il tassista quando quasi scoppio a ridere.

"A mai più."

Le parole che ho lasciato scritte su quel foglietto racchiudono tutto ciò che desideravo da nove anni a questa parte: libertà, libertà da lui e da quella casa.

Per questo quando, dopo ore di viaggio in macchina con pochissime soste per il rifornimento, arrivo di fronte all'enorme viale di entrata, per poco non mi metto a saltare dalla gioia, quasi buttandomi addosso all'autista che mi scruta come fossi fuori di testa, mentre scarica la valigia dal portabagagli e gli porgo il denaro per ripagarlo del viaggio.

Prendo un respiro profondo nel tentativo di placare l'eccitazione e l'ansia, vecchia amica, che mi hanno assalito nel momento esatto in cui ho messo piede sul patio che sembra circondare tutta la casa, di dimensioni spropositate.

Suono al campanello, iniziando a dondolarmi sui talloni in attesa di qualcuno che mi apra la porta, e proprio mentre sbuffo per stemperare la tensione la porta si apre, mostrando una ragazza dai lunghi capelli castano-biondi con un'espressione quasi infastidita stampata in viso, a tacito domandare chi io sia.

«Piacere, io sono Scarlett» mi presento sorridendo prima di vedere la ragazza di fronte a me fare appena un cenno col capo mentre mi fa spazio per entrare in casa. Apre di più la porta perché io, con la mia valigia fin troppo grande, riesca a passare attraverso gli stipiti ed entrare nel salotto enorme che mi si para davanti, lasciandomi a bocca aperta.

«Porca trota...» sussurro esterrefatta nel vedere la stanza, che, di certo sembra una sala della reggia di Versailles rispetto al misero salottino dove ho vissuto fino a poche ore fa, il quale riesce a malapena a tenere il divano vecchio di anni, la televisione ormai da cambiare ed il tavolino su cui mio padre posa sempre il suo bicchieri di scotch scadente.

Mando la segreteria per l'ennesima volta al numero di mio padre che chiama insistentemente da quando si è reso conto che non sono in casa, ovvero circa una delle cinque ore di viaggio, che ho passato chiacchierando col ragazzo dal viso butterato.
Mi toccherà cambiare telefono e recuperare i numeri utili, ovvero tre.

Mia cugina, la ragazza dell'ufficio di collocamento per futuri studenti universitari e il proprietario della libreria dove lavorerò per potermi sostentare nonostante vivró qui.

«Di qua, principessa.» dice con tono annoiato la ragazza che si incammina attraverso la stanza, sorpassando i due enormi divani bianchi di pelle e la poltrona, posta davanti ad un tavolino da caffè di cristallo spesso due dita che, per le sue dimensioni, arriva addirittura fino ad uno dei due divani che dominano il salotto.

Il tutto rigorosamente bianco, ovviamente.

«Tu chi sei?» domando curiosa alla ragazza che sale imperterrita le scale senza neanche voltarsi, mentre io, dimenandomi con la mia valigia, fatico a salire i gradini.

«Una ragazza» risponde facendo scoppiare la bolla che ha fatto con la gomma da masticare.
«Non me ne ero accorta, sai» rispondo piccata pochi secondi prima di vederla inarcare un sopracciglio ed indicarmi varie porte lungo un corridoio che ne conta almeno sei o sette.

«Qui ci sono le varie camere, sono quasi tutte occupate, tra poco dovrebbero arrivare anche gli ultimi ritardari, ma sono pochi» annuncia con la stessa espressione annoiata di prima, facendomi venire voglia di prenderla a schiaffi in questo stesso istante.

«Ci sono una palestra, al piano di sotto, la piscina, all'esterno, una terrazza sul tetto e una mansarda, scegli la stanza che preferisci e rimarrá la tua per tutta la tua permanenza» aggiunge indicandomi le porte delle stanze rimaste ancora vuote, poi fa per girarsi, ma all'ultimo si volta di nuovo verso di me, con un sorriso quasi perfido stampato sulle labbra.

«Mi raccomando principessa, la mattina non occupare il bagno per troppo tempo.» ammicca prima di sparire oltre l'angolo e che io possa sentire la porta sbattere in modo deciso.

Mi passo una mano sul viso, placando eventuali istinti violenti prima di aprire la prima delle tre porte che mi ha indicato la ragazza che, quanto pare, non ha un nome. Non appena commetto l'errore di aprirla la richiudo in fretta, accecata dalla forza del color ocra che domina le tre pareti visibili.

Con un moto di disgusto mi avvicino alla seconda e la apro, ma vorrei non averlo fatto quando trovo due corpi nudi avvinghiati.
Leggermente sconvolta, mi scuso per l'interruzione e mi muovo verso la terza porta, quasi spaventata di quello che potrei trovarvici dentro, e soprattutto di chi. Con molta riluttanza, abbasso la maniglia e la apro piano, chiudendo gli occhi per evitare di vedere eventuali amplessi indesiderati.

Non sentendo alcun rumore provenire dall'interno della camera, mi faccio coraggio, aprendo un occhio e constatando felicemente che la stanza è vuota.
E che nessuno si sta dando da fare sul pavimento, cosa più importante, molto più importante.

Entro nella stanza sorridendo a trentadue denti e mi guardo intorno per la camera già arredata, dove una finestra gigantesca dà vista sul giardino dove sta la piscina, utilizzabile sotto il sole caldo di luglio.

Mi lascio cadere sul letto king size che si staglia in mezzo alla parete dipinta di blu, al di là del quale un armadio ricoperto di specchi attende di essere riempito dei miei vestiti.

Tiro subito fuori la cornice con la fotografia mia, di mia madre e di mia sorella, e la metto in piedi sul comò accanto alla porta, abbastanza alto da arrivarmi al bacino.
Accanto ad essa, poggio la borsa che si piega su se stessa, mentre mi avvicino alla valigia che prendo di peso per poterla lanciare sul letto ed aprire, rischiando che tutta la biancheria al suo interno salti fuori come in una di quelle pubblicità stupide di sacchi salvaspazio.

Inizio a mettere via tutta le mie cose, rendendo più mia la stanza e notando solo dopo aver finito la presenza di un altro letto all'angolo opposto della camera, esattamente dietro al comò, che mi ricorda dell'imminente arrivo di altre persone nella villa.

Una volta finito di mettere via tutto, afferro la valigia e la lancio in un angolo ancora vuoto del guardaroba, che probabilmente verrà occupato dall'altra persona quando arriverà, ma questo problema me lo porró a tempo debito.

Per cui, stanca per il viaggio appena affrontato, mi sciolgo i lunghi capelli biondi lasciandoli spargliare sul cuscino bianco quando mi lascio cadere sul letto, esausta, e in pochi minuti mi addormento.

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