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«Scarlett...»
La voce di John mi richiama da cinque minuti passati, mentre io continuo a nascondermi nel mio silenzio, fingendo di non essere seduta accanto a lui in macchina e di non dover passare il resto della giornata nella stessa camera dove anche lui dorme.

«Adesso basta» mormora prima che accosti al ciglio della strada, che riconosco solo dopo come ingresso al vialetto della villa.
Dà direttamente sull'autostrada. John blocca le portiere per evitare che schizzi via e scappi lontana da lui, cosa che è consapevole tenterei.

«Che succede?» chiede con tono più duro rispetto a quando pronunciava il mio nome, girandosi verso di me e prendendomi il mento con una mano fino a farmi portare lo sguardo nel suo.

«Niente» rispondo liberandomi della sua e lanciandogli un'occhiata torva.
I suoi occhi grigi cercano i miei prima che io mi volti a guardare fuori dal finestrino le macchine scorrere imperterrite sulla strada in tante macchie colorate.

«Non faresti così se fosse niente» ribatte lui alzando appena la voce e facendomi irritare, più di quanto non facesse la consapevolezza di star ricadendo nel baratro.

Avevo combattuto i ricordi, gli incubi, le lacrime e la paura e come una stupida sono ricaduta in questa fossa, che sembra essere la mia condanna a vita.

E questo mi urta il sistema nervoso quasi più del fatto che John continui a blaterare riguardo al fatto che, siccome ormai viviamo assieme, sono tenuta a dirgli cosa mi succede.

«Io non sono tenuta a fare proprio nulla, John» ribatto a denti stretti, «non devo fare o dire nulla perché tu non sei nessuno nella mia vita a parte il ragazzo che dorme nella mia stessa stanza cazzo!» esclamo stringendo la maniglia della portiera
«ED ORA APRI QUESTA CAZZO DI PORTA O GIURO CHE TI TIRO UN CALCIO IN FACCIA» urlo determinata ad uscire da questa scatola su quattro ruote.

Appena sento le sicure scattare mi catapulto fuori dalla macchina, infuriata con me stessa e con lui.

«Non ti azzardare mai più a chiudermi in macchina, mai!» urlo praticamente correndo sulla ghiaia del vialetto, inserendo le chiavi nella toppa ed aprendo la porta velocemente, richiudendola con un tonfo che la fa tremare.

«La porta deve rimanere attaccata al muro» dice con indifferenza e viso annoiato Emilia, passandomi di fronte diretta in cucina, mentre io mi avvento sul frigofero per prendermi qualcosa da bere.

«Vuoi una birra?» le domando afferandone una per me e poggiandola sul ripiano, mentre lei, con la stessa espressione annoiata di prima mi risponde che fa da sè, prendendone una dallo sportello del frigo, stappandola per prenderne subito un sorso, seguita dai miei stessi movimenti.

«Non troppo calorosa o ti sciogli» ironizzo alzando gli occhi al cielo mentre mi siedo sul ripiano della cucina, balzando sopra appena prima che lo faccia anche lei, riprendendo subito la sua bottiglia.

«Non sono affari tuoi» risponde lei acida, come il primo giorno dopo il mio arrivo.

E si perché, dopo la breve "avventura" nella pasticceria, mi ero convinta di aver fatto breccia nel suo piccolo cuoricino di ghiaccio, ma pochi giorni dopo tutti i miei sforzi si sono rivelati vani, perché ha reiniziato a trattarmi come un'estranea, nonostante i ripetuti tentativi di diventare sua amica, o anche solo di avere un rapporto civile con lei.

«Andiamo!» esclamo lasciando cadere le braccia con fare disperato e posando la birra sul marmo su cui sono seduta.
«Viviamo assieme da più di un mese ormai!» le ricordo sempre più melodrammatica mentre lei, scettica inarca un sopracciglio, prendendo un sorso di birra dalla sua bottiglia lentamente.

«Non sono brava con i rapoorti interpersonali» si giustifica con lo sguardo fisso nel mio, mentre con una mano riafferro il collo della bottiglia, portandolo alla bocca ed ingollando due lunghi sorsi freschi.

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