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Ed ora sono qui, seduta di fronte a mister chioma verde, divorando una pizza come se fosse l'unica cosa che so fare nella vita e ascoltandolo mentre mi parla dei suoi viaggi.

«Dovresti andarci, prima o poi.» dice riferendosi al Giappone, mentre addenta un pezzo di pizza con la mozzarella filante, sotto il mio sguardo stupito.

«Stai seriamente provando a convincere una texana ad andare in Giappone?» domando retoricamente, fingendomi oltraggiata mentre do un altro morso alla pizza, arricciando poi il naso all'idea di andare effettivamente lí.

Lui annuisce alle mie parole, ridacchiando mentre finisce di mangiare e guardandomi fisso, nel contempo che con gesti teatrali ribadisco le mie poche intenzioni di andarci.

«Non ci penso neanche se mi paghi, semmai sei tu che dovresti venire a vedere il Texas prima o poi» propongo scoppiando a ridere di fronte alla sua espressione stralunata.
«È uno stato stupendo, col sole cocente, il clima caldo...» inizio immergendomi nei ricordi di quello che fino a poche ore prima era lo stato in cui vivevo, prima che John mi interrompa scettico.

«E sudore, e tornadi, capisci? Tornadi.» ribatte guardandomi come fossi pazza.

«Cosa c'entra? Anche in Giappone ci sono gli tsunami, eppure questo non ti ha fermato dall'andarci!» ribatto convinta mentre lui si appoggia allo schienale della sedia con le braccia incrociate sul petto, prima che un sorriso malizioso si impossessi del suo viso.

«Beh, le ragazze vestite con le uniformi scolastiche compensano il tutto» afferma sfidandomi con lo sguardo, forse convinto di avermi zittita.

«Anche le bionde che girano in shorts 300 giorni su 365 sanno compensare il tutto, o, ancora meglio, i cowboy senza maglietta che girano per il paese mezzinudi. Un sogno» ribatto mettendomi nella sua stessa posizione con un sopracciglio inarcato e fatico a trattenere un sorriso che sorge spontaneo sulle mie labbra.

Il tutto accade prima che una cameriera dai lunghi capelli neri legati in una coda alta e dal fisico slanciato si piazzi accanto a noi, fissando insistentemente John, che mi guarda divertito dalla situazione.

O forse dall'occhiataccia infastidita che le ho mandato, nella quale ho racchiuso tutti i pensieri violenti che la mia mente ha partorito quando ha interrotto il nostro scambio di battute.

«Volete nient'altro?» chiede con la sua voce da gallina in agonia, rivolgendo il suo sguardo solo su John, che mi lancia un'occhiata nascondendo la bocca dietro la mano per trattenere una risata quando mi porto due dita alla bocca ed imito un conato di vomito.

«No grazie, siamo a posto così» risponde poi cordiale, quando, dopo qualche secondo di silenzio riesce a tirare fuori il classico sorriso da dongiovanni che fa arrossire la ragazza sotto il mio sguardo, mi ritrovo ancora più sconvolta dalla sua stupidità.

«Okay, allora vi porto il conto» afferma quasi balbettando mentre si porta i capelli dietro un orecchio ed io mi schiaffo una mano sulla fronte.

«Ehm...tutto bene?» domanda poi e solo dopo qualche secondo mi rendo conto che si rivolge a me adesso, per cui metto su un falso sorriso prima di risponderle.

«Certo, ma se ci portassi il conto potremmo finalmente andarcene di qui» rispondo con un finto sorriso angelico, prima di vedere la ragazza, che a quanto pare si chiama Diane, quasi scappare dal nostro tavolo, mentre John rischia di strozzarsi per quanto ride dall'altra parte del tavolo.

«Cosa? Troppo gentile?» domando retorica mentre mi alzo, seguita da John che prova a pagare la cena per entrambi.
Peccato che non sia abbastanza veloce e io riesca a precederlo.

«Sicuramente troppo, la prossima volta puoi anche darle un calcio in faccia direttamente» risponde ridendo e scuotendo la testa mentre si avvicina alla macchina con passo cadenzato e le mani affondate nelle tasche.

«Lo penso anche io, ma ero scomoda in quella posizione» ammicco ridacchiando prima di posare una mano sulla maniglia in attesa che apra le portiere per entrare in macchina.

«Non avrei faticato a crederci» ribatte sbloccando la chiusura così che possa sedermi sul sedile del passeggero mentre lui si mette al volante.

«E fai bene» annuisco mentre mi allaccio la cintura di sicurezza.

Scuote la testa divertito mentre guida, lanciandomi qualche occhiata di tanto in tanto, mentre il tragitto scorre in silenzio, un silenzio per la prima volta senza tensioni o imbarazzo.

«Come mai sei arrivata fino qua dal Texas?» chiede quando scendiamo dall'auto e ci avviamo lungo il vialetto per raggiungere la porta.

Qualche attimo di silenzio segue la sua domanda, mentre l'unica cosa che si sente è la ghiaia che scricchiola sotto i nostri passi.

«Sono scappata» rispondo celando la verità dietro il sorriso che mi stampo in viso per camuffarla.

«E perché proprio qui?» chiede ancora avanzando verso la porta nella cui toppa ho già inserito le chiavi.

«È stata la prima opportunità che ho avuto» rispondo scrollando le spalle e spalancando la porta per entrare nel salotto, lasciandola aperta perché anche John possa entrare. In effetti non ero alla ricerca di chissà cosa, volevo solo un posto in cui mio padre non mi avrebbe raggiunta e da cui ripartire da zero.

«L'ho colta subito, ho fatto la valigia e sono corsa qua il prima possibile» aggiungo lasciandomi cadere a peso morto sul divano, sbuffando.
«Tu? Come mai sei qui?»

Il suo sguardo mi scorre addosso mentre, quando mi tiro sui gomiti per reggere il peso del busto e poterlo guardare in faccia, mi passa accanto per sedersi sull'altro divano.

«Ero di ritorno dal viaggio, ho trovato questo concorso e mi son detto: "perché non provare?".
Ed eccomi qui» scrolla le spalle sorridente, tirando il piercing di lato.

«Dovresti rispondere» mi fa notare John dopo qualche attimo di silenzio nel quale ho fissato il soffitto, improvvisamente interessante, prima  di sentire la vibrazione del telefono infastidirmi e rompere il silenzio.

«Penso che andrò a dormire piuttosto.»
Mi alzo in fretta dal divano, rischiando di ricaderci seduta, mentre mando la segreteria telefonica al mittente, sotto gli occhi curiosi di John che però non pone alcuna domanda.

«Buonanotte» lo saluto avviandomi al piano di sopra prima di sentire dei passi risuonare dietro di me e vedere una chioma verde seguirmi quando mi giro a guardare, ritrovando John a pochi gradini da me.

«Dormiamo nella stessa camera» mi ricorda con un'alzata di spalle e sporgendo appena il labbro di sotto mentre annuisco e,  leggermente più a disagio di prima apro la stanza, avvicinandomi alla cassettiera prima di prendere il pantalone del pigiama e la maglia ormai slabbrata per indossarli. Mi dirigo in bagno e mi cambio in fretta, per poi tornare in camera dove sciolgo i capelli, notando John già sotto le coperte, o per meglio dire, il lenzuolo.

«Buonanotte» sussurro ringraziando il cielo che il buio nasconda il rossore lieve sulle mie guance.
«Buonanotte» risponde lui, dall'altra parte della stanza, una volta che mi sono sistemata sul letto.

E poco dopo, con il solo rumore di un respiro estraneo, mi addormento. 

Il telefono spento, chiuso nel comò.

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