Capitolo 16

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«Per la prossima volta fate gli esercizi scritti alla lavagna e studiate l'argomento di lezione appena svolto...» la professoressa di matematica non fa in tempo a finire di parlare che la campanella suona e in pochi secondi sulla soglia della porta di crea una calca di studenti enorme.

Quasi tutti gli studenti di solito fanno così per uscire il prima possibile, compresa me. Il tutto prima che Ben mi illuminasse con la sua teoria di aspettare cinque secondi, in modo che la massa di studenti si sia già dileguata. Ha ragione: basta aspettare pochi secondi e la folla sparisce magicamente.

Io e Ben, dopo aver aspettato i consueti cinque secondi, usciamo con tutta calma dalla classe.

Prima ho ringraziato di nuovo Ben per avermi accompagnato a casa, anche se abbiamo preso un taxi.
Aveva anche detto che Holden aveva un buon motivo per averlo pestato, aggiungendo che no, non poteva rivelarmelo.

Inoltre continuo a ripensare al sogno di ieri notte ed è da quando sono arrivata a scuola che sono scossa. Ci penso e ci ripenso e la parte razionale di me continua a ripetermi che è solo un sogno, niente di più.

«Haley? Mi hai sentito?» mi richiama Ben.

«No, scusa, dimmi».

«È da stamattina che sei assente. Si può sapere che cosa è successo?». "Quanto vorrei potertelo dire senza che mi consideri pazza" penso.

Sospiro e bisbiglio un «Niente» quasi impercettibile.
«Che lezione hai adesso?» rompo il silenzio calato tra noi.

«Letteratura inglese» mi risponde sospirando.

«Io ho un corso nuovo» guardo attentamente il foglietto con gli orari da cui non mi sono mai separata in questi tre  giorni.
«Studi sociali» affermo dopo averlo letto.

«Allora ci vediamo dopo. Io vado per di qua» indica un incrocio del corridoio alla sua destra. Ci salutiamo e mentre lui va per la sua strada io cammino dritto nella direzione in cui stavamo andando sperando che sia quella giusta.

Fermo un ragazzo chiedendogli come arrivare alla classe di studi sociali e lui conferma la direzione in cui stavo andando. Lo ringrazio e mi incammino.

Da lontano vedo una lunga chioma castana che svolazza verso un lato del corridoio. Considerando anche il rumore dei tacchi non posso fare a meno di capire che si tratta di Michelle. Capisco che i miei sospetti sono fondati quando scorgo un altra figura dietro Michelle. Holden.
Quest'ultimo tiene con una sola mano un libro e ogni tanto sbuffa sonoramente.
Michelle tira fuori dalla microscopica borsetta di pelle un lucidalabbra rosa fucsia e apre il suo armadietto. Scorgo dietro di lei Holden che non fa altro che sbuffare e guardarsi intorno scocciato.

Procedo dritto senza smettere di guardarli.

Mentre sto passando accanto ai due riesco a sentire quello che si dicono. Cerco di non farmi notare mentre spio la loro conversazione. Ho i miei seri dubbi sul fatto che non mi abbiano visto.

Michelle si passa l'ultimo dei tanti strati di lucidalabbra e poi parla per prima.
«Allora, come sto?».
Holden sembra infastidito dalla domanda. Michelle lo incita con lo sguardo a continuare.

«Ti ho già detto che sei bellissima» lo dice con aria ripetitiva, come se avesse dovuto ripeterlo un milione di volte.

La frase che ho già sentito rivolta a me, in sogno. I miei muscoli vengono scossi da brividi nel momento il cui questa frase gli scivola dalle labbra.

Stavolta sembra notarmi. Forse perché non riesco a smettere di fissarlo o di fissare il sorrisetto soddisfatto di Michelle. Guardo avanti, sentendo però il suo sguardo sulla mia pelle.
Sento sulla mano una massa morbida e semiliscia. Nuovo la mano e solo ora mi accorgo di averla messa nei capelli inconsciamente. Mi sono sistemata qualche ciocca mentre camminavo.

La sposto e comincio a camminare. Più forte che posso. La mia potrebbe quasi essere definita una corsa lenta. Il peso del libro che stringo forte al petto si fa sentire.

Chiudo gli occhi un secondo e faccio un respiro profondo. Proprio durante questo secondo di tempo ad occhi chiusi vado sbatto la testa. È qualcosa di caldo ma rigido. Spalanco gli occhi e mi ritrovo davanti una felpa della squadra di football. Alzo la testa di scatto. Wesley. Faccio un veloce balzo all'indietro.

«Guarda dove vai» sorride.

Faccio per andarmene ma, mentre gli sono accanto per superarlo, mi tiene per la spalla.
«Cosa vuoi?», il mio tono è pacato e tranquillo ma lo sarà ancora per poco se non mi lascia subito.

«Oh, be' ho sempre voluto un cane fin da piccolo. Lo voglio anche adesso, certo, ma non sono sicuro-» la mia risata lo interrompe.

«Riformulo la domanda. Cosa vuoi da me?» ridacchio. Non pensavo davvero che fosse stupido fino a questo punto.

«Lo so cosa volevi dire. Ma almeno ti ho fatto ridere» ammette.
«Comunque volevo sapere se ci fossi alla partita di sabato» gli si legge in faccia che non voleva chiedere questo.

«Non sapevo ci fosse una partita» ammetto. Chi varrebbe dovuto dirmelo? Chloe? Non credo che sappia nemmeno come è fatta una palla da football.

«Adesso lo sai, sei costretta a venire» si gira di spalle e fa per andarsene. Quando è abbastanza lontano mi decido a rispondergli.

«In questo caso tiferò per l'altra squadra» urlo. Mi giro nella direzione della classe di arte.

Guardo i numeri sulle porte che sto sorpassando e finalmente trovo la 17A. Entro e, visto che la lezione sta per cominciare, sono quasi tutti occupati. Ne rimangono solo due in seconda fila e uno nella terza.

Mi siedo ai due banchi liberi ricordando che Chloe mi aveva detto di avere un ora di studi sociali che combacia con la mia.

Poggio la borsa sulla sedia del banco accanto al mio aspettando la mia migliore amica.
Un tonfo sul banco accanto mi fa sobbalzare. Osservo bene prima il libro sbattuto sul banco e poi le braccia che lo hanno scagliato contro il banco. Per un momento ho sperato che fossero di Chloe, ma poi ho capito che le braccia scarne della mia amica non assomigliano nemmeno lontanamente a queste. Alzo lo sguardo e incrocio i suoi occhi marroni. Non può essere qui.

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