I ricordi

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Jean aprendo lentamente gli occhi si svegliò!

Era così stanco che non riusciva a mettere a fuoco i particolari.
Allungò una mano alla ricerca del bicchiere che solitamente teneva sul comodino ma, non trovò neanche il comodino.
Non riusciva proprio a capire e a nulla servì annaspare a vuoto con la mano alla ricerca di ciò che lì non poteva certo esserci.
I suoi pensieri erano attutiti come le voci delle persone e i nitriti dei cavalli che arrivavano da qualche parte sotto di lui.
Poi realizzò.
Non era più a casa, era a Versailles!
Un attimo di nostalgia rischiò di sopraffarlo ma si alzò di scatto e si riprese.
La luce del giorno stava lentamente rischiarando la stanza dove la sera prima era stato condotto.
Una cameretta mansardata proprio sopra le scuderie reali con una piccola finestrella in alto, dalla quale si potevano vedere nuvole bianco latte che si rincorrevano in un cielo azzurro chiaro.
Il capo dei maggiordomi, prima di lasciarlo dormire, gli aveva dato le indicazioni per il giorno dopo, ma anche quelle al momento vagavano nella nebbia quasi fosse ubriaco.
I ricordi!
Furono quelli a riaffiorare per primi.

Come un geyser che dal nulla svuota il suo contenuto, vomitando fuori quello che ha trattenuto a fatica fino ad un secondo prima tra le viscere della terra.
Così a Jean apparvero immagini velocissime nella sua mente, come dei flash abbaglianti.
La sua fattoria, i prati dove giocava, la sua famiglia, i suoi fratelli.
Fuego, il suo cavallo dal mantello nero. Il sentimento di profonda amicizia che li legava, il suo nitrito, il suo manto sudato, la sua criniera bruna.
L'aveva visto nascere, crescere.
Avevano galoppato per ogni dove, ogni giorno sia con il sole che con la pioggia o la neve.
Era Fuego a svegliarlo tutte le mattine a suon di zoccoli contro la porta dove lui dormiva.
Era Fuego che lo seguiva ovunque, più fedele di un amico, più sincero, più disinteressato.
Jean giocando gli aveva insegnato tutto quello che sapeva.
Incredibile fu il giorno in cui il capo della guardia reale, passando sulla collina di fronte alla piana dove loro erano soliti andare, li vide.
Notò il potenziale di quel ragazzo che riusciva a far fare tutto quello che voleva ad un cavallo dal mantello nero, quasi fosse un cagnolino.
Li raggiunse tagliando per i campi e propose al ragazzo di andare a lavorare per il Re nelle regie scuderie.
Jean lo fissò un attimo tentando di capire se in quel sorriso appena accennato dietro la folta barba del
fiero soldato non ci fosse altro.
Cercando di intuire se, di quell'uomo lui, si potesse fidare.
Poteva mettere la sua vita nelle mani di uno sconosciuto?
Poi pensò che, in fondo, era quello che voleva.
L'istinto gli diceva che non c'era nulla da temere e allora rispose :
"Si! Quando si comincia? Posso portare anche Fuego?"
Il capo della guardia annui mettendo nelle mani del giovane una lettera e gli disse che sopra avrebbe trovato tutte le indicazioni per raggiungere Versailles. Che del cavallo se ne sarebbe occupato lui e avrebbe anche avvisato del suo arrivo chi di dovere.
Poi fece un ampio saluto alzando il braccio e, come era arrivato, scomparve al galoppo.
Jean non sapeva se ridere piangere o urlare.
Si sentiva leggero come non mai quasi potesse volare e in groppa al suo destriero corse subito ad avvisare i suoi della novità.
Ma adesso era lì in quella cameretta, dalla quale si udivano schiocchi di frusta e nitriti provenire dal basso.
Scacciò i ricordi stropicciandosi gli occhi e prese il mucchio dei suoi vestiti lasciati alla rinfusa sul pavimento di assi di legno.
Un tonfo!
Si era completamente dimenticato dell'oggetto che, la sera prima, gli era stato messo in mano e che adesso era caduto probabilmente da una delle sue tasche.
Lo raccolse giocandoci un po', prendendolo per il cordino e facendolo roteare in aria come un aquilone impazzito.
Una volta che fu vestito di tutto punto decise di metterlo al collo!

In una frazione di secondo TUTTO si fece più luminoso.
Poteva vedere le persone sotto di lui che si muovevano indaffarate, vedere cosa portavano nelle loro tasche, ma soprattutto sentiva i loro pensieri, leggeva nelle loro menti.
Il pavimento non esisteva più e lui era lì, sospeso nel nulla, a guardare quella scena come un'anima che staccatasi dal proprio corpo aleggia sulla vita degli altri.
Trattenne il fiato così a lungo che tra l'emozione e la mancanza di ossigeno svenne.
Un potere angelico nelle mani di un umano!
Sarebbe stato gestibile?

Lo zampino del diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora