Capitolo 28

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Una donna e un uomo, per l'esattezza, una vittima e un vampiro.
La luna illumina lievemente questo buio e sporco cunicolo.
Percepisco la sua sete di sangue, il dolce odore della paura e sento il suono irregolare dei battiti del cuore della sua preda.
Il corpo della donna si trova ormai attaccato al gelido muro, i suoi occhi spaventati e pieni di lacrime si posano su di me, il suo sguardo implora aiuto, perché per stavolta non sono io il suo carnefice.
Il vampiro non mi degna di uno sguardo, sorride maliziosamente davanti al suo pasto, e in pochi secondi si avventa sul candido e bianco collo della donna.
In una frazione di secondo, sparo un colpo di pistola alla testa del carnefice. Cade a terra e la donna fa altrettanto. Non riesce a reggersi sulle ginocchia da quanto trema.
Mi avvicino cautamente, mi porgo all'altezza del viso della mia preda.
Le porgo un candido fazzoletto di seta bianco, per asciugarsi le goccioline di sudore che le si erano formate sulla fronte, nonostante l'aria gelida dell'autunno.

《Come si chiama?》
Chiede tremante e con sguardo vacuo.

Mi avvicino al suo viso e osservo i suoi delicati lineamenti, le labbra tinte di un rosso fuoco e gli occhi neri come la pece.

《Il mio nome non serve che tu lo sappia.》
Il mio tono basso e gentile pare tranquillizzare la donna.

《Io mi chiamo Julie.》
Guarda verso il basso e tira un sospiro di sollievo, ma non sa chi ha davanti.

《Julie... È un bel nome. Mi scuso in anticipo per quello che accadrà.》
La donna mi guarda confusa e sento il suo cuore che riprende a battere all'impazzata.

Le sorrido gentilmente prima di premere nuovamente il grilletto della mia pistola che punta dritto al suo cuore.
Il suo corpo cade a terra e poggio la mia mano sul suo petto che si macchia di sangue.
La tolgo dal corpo della donna e mi porto le dita alla bocca assaporando il sapore del suo sangue, che si rivela essere dolce come il miele.
Sorrido.
Che fortuna, due pasti in una sera.

Che fortuna, due pasti in una sera

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Silenzio. Ecco, come definirei il mondo dei Normali, la Terra, non si udiscono risate, passi, parole, pianti, il fruscio del vento... niente. Solo di tanto in tanto, sento in lontananza il suono delle onde che si infrangono sulla spiaggia, nulla di più.
Le persone che incontro mi guardano con disprezzo, altre fanno finta che non esista, altre ancora cambiano strada e poi, ci sono i curiosi, coloro che mi guardano con interesse, come se fossi un'attrazione turistica. Però, io non sono un monumento, un mostro o l'aria. Sono come loro, anzi, di più. Io non li tratto come loro trattano me, porto rispetto anche a coloro che non lo meritano, è solo questo, mi rende una persona migliore.
I Normali, mi hanno portato via tutto, i miei genitori, i miei fratelli o sorelle, mi hanno tolto anche quel poco che rimaneva delle mie origini. Ho solo il mio nome. Cassandra Amato, una donna di ventitré anni di origine italiana. Non ho mai visto la mia terra d'origine, anche perché ormai non esiste più, è andata distrutta in quella guerra che ha dato origine a tutto.
Non so dove sono nata, di certo non in Italia.
E ora, cammino per le strade di Bournemouth, cittadina dell'Inghilterra, dove viveva Luce prima che diventasse una di noi.
Sospiro.
Ho chiesto a molti Isolati, ma nessuno ha visto o sentito qualcosa di cui preoccuparsi.
Ho cercato anche tra le persone più vicine a Samanta, ma nessuno sembra sapere niente. Non ci sono state nuove "amicizie" o persone con cui si è relazionata per un certo periodo di tempo negli ultimi tre mesi. Che sia qualcuno che conosceva da più tempo? Ma chi? Nessuno tra la persone più vicine ha un movente.
Per soggiogare qualcuno bisogna avere un certo legame con la persona in questione, senza contare che è un'abilità riservata a pochi, in genere solo alle streghe e ai vampiri.
Mi fermo di colpo.
Non è possibile.
Non può essere un Normale, deve per forza far parte degli Isolati oppure a qualche altra delle fazioni non riconosciute. Quindi potrebbe essere ancora in circolazione, anzi, sicuramente lo è.
Una delle vetture delle guardie sfreccia a velocità allucinante, per poi fermarsi inchiodano sull'asfalto a pochi centimetri dal mio corpo.
Rimango immobile e a bocca aperta dallo stupore.
Alek siede al posto del guidatore, con un cenno della mano mi saluta e mi fa segno di salire nella vettura.
Sbatto gli occhi e scuoto la testa confusa.
Il finestrino posteriore della macchina nera si abbassa, rivelando la figura di una delle guardie che riconsoco per l'insolito abbigliamento, formato da una tunica nera lunga fino ai piedi e con il cappuccio, lo stemma della regina all'altezza del cuore.

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