3| She maybe the song that summer sings - maybe the chill that autumn brings.

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she.

Qualcuno mi voleva proprio molto male. Avevo congedato nuovamente Roger per le 10.45 pm, data la scarsa affluenza dall'ora precedente; avevo dato lo straccio, pulito, lavato, mi ero sciolta i capelli, sistemato il trucco e la camicia della divisa e, esattamente alle 11.25 pm, avevano varcato la porta. Non uno o due clienti, ma una squadra di ragazzini urlanti e sudati che avevano invaso il locale, freschi come se fossero le 2 del pomeriggio, assetati ed affamati. Avevo contato diciassette ragazzi e, inizialmente, ero stata anche piuttosto brava a gestire il tutto, fino a quando, la porta del locale diede inizio ad una reazione a catena di sfighe. Qualcuno mi voleva proprio male e quel qualcuno era davanti a me, con la mia chitarra a tracolla e un paio di mocassini che mai avrei detto potesse indossare. Edward lo stronzo. Improvvisamente i ragazzi iniziarono ad essere ingestibili, le bevande e i dolci si moltiplicarono come pane e pesci, mentre, presa alla sprovvista facevo cadere qualsiasi cosa tenessi in mano dietro al bancone. Non contenta della pessima figura che stavo facendo davanti al ragazzo che più mi aveva fatta sentire inadeguata in tutta la mia vita, mi ritrovai di colpo con il culo sul pavimento, sporco, trascinando con me un frappuccino appena rifatto.

Perfetto: ero caduta davvero in basso.

«Vedo che le cose non sono cambiate Cara» commentò sarcastico scuotendo la testa. «Ovviamente continui a dimenticare come mi chiamo» dissi sottovoce «Che vuoi?» chiesi con tono più forte. «Ho trovato la tua chitarra tra le mie cose e te l'ho portata, sperando che eri rinsanita e che volevi tornare con me» affermò sbagliando, come sempre, la grammatica. Feci forza sulle gambe e mi rialzai, proprio come avevo fatto dopo la rottura con questo elemento. «Se fossi e volessi» lo corressi, poi assunsi un tono di voce più duro «per risponderti: dammi la mia chitarra e no. Non tornerei insieme a te neanche se fossi l'ultimo uomo rimasto sul pianeta e avessi una pistola puntata alla tempia» conclusi allungando la mano per riprendere ciò che era mio. Sbuffò, poi mi guardò dall'alto al basso. «Cara, quando ti renderai conto che nessuno, a parte me, ti vuole, io sarò lì ad aspettarti, se non sarebbe troppo tardi» tentò, alzai gli occhi al cielo. «Qui in Inghilterra la laurea la danno a tutti o te l'ha pagata papà? In ogni caso, se te ne vuoi andare, io sto lavorando» conclusi dandogli le spalle «la chitarra la puoi lasciare lì» aggiunsi prima di andare dietro lo stanzino spogliatoio, iniziando a slacciare la camicia della quale il colore bianco era rimasto solo il ricordo. Aspettai qualche minuto, per essere sicura che lo stronzo se ne fosse andato, ma, a quanto pare, insisteva nel voler essere mandato a quel paese; la melodia che stava risuonando grazie alla mia chitarra, ne era la prova. Voleva vedermi arrabbiata veramente, be', com'era vero che il mio nome non era Cara, non lo avrei deluso. Uscii come una tempesta, senza dare importanza alla camicia slacciata e della panna nei capelli e sul viso. «Edward la grammatica è per sfigati Cox» iniziai sbraitando, «hai deciso di entrare in guerra? Qual è il tuo obiettivo? Distruggere le armate di Chiara? Perché sì il mio nome è Chiara, non Cara, per quanto ti dispiaccia saperlo, hai deciso di avere una relazione con l'antitesi di Cara Delevigne! E sai cosa c'è tu hai deciso di rovinarla, portandoti a letto metà delle mie amiche! Quindi, anche se mai nessuno mi vorrà, preferirei rimanere da sola tutta la vita piuttosto di tornare insieme ad un ragazzo che, tra le altre cose, non è stato neanche capace di farmi raggiungere l'orgasmo! E quella è la mia dannata chitarra! Anche se non ho imparato a suonarla, quindi ora mettila giù e vattene per sempre dalla mia vita!» Con mia grande sorpresa e, con mio grande rammarico, le mani sulla mia bimba non erano di Edward, ma di Harry cuoricino dopo la ipsilon. Sbiancai. «No. No, no, no, no» dissi facendo prima uno, poi un paio, di passi indietro, cadendo nuovamente sulla panna montata sul pavimento. «Che cosa succede oggi? Karma, che cosa ti ho fatto di male?» commentai trattenendo il pianto dal troppo nervoso. In tutto questo non mi ero accorta che la squadra di ragazzini che era entrata prima se n'era andata e che Harry mi aveva raggiunto dietro al bancone preoccupato. Preoccupato, che dolce. «Stai bene Cia.. Kiara» affermò correggendosi subito, nel pronunciare il mio nome. La cosa più carina che qualcuno avesse mai fatto per me. Mi porse la mano, che accettai senza troppa attesa, e mi alzai. «Scusami, è stata una serata un po' impegnativa e io, sono un disastro» risposi togliendomi i resti del frappuccino dal viso. Notai il suo sguardo scorrere su di me, si morse il labbro ad un certo punto, facendomi ricordare di essere leggermente visibile. Accostai subito i lembi della camicia, abbassando il capo imbarazzata. «Scusami, di nuovo.» «No, scusami tu!» si affrettò a controbattere, sembrava imbarazzato. «Perché dovresti chiedermi scusa tu? Sono io che ti ho travolto aggredendoti e rendendomi ridicola» affermai troppo sinceramente. «E io ti stavo fissando come un maniaco» precisò sorridendo. Rossore - sudore - imbarazzo. «Okay, facciamo finta che non sia successo niente, ora chiudo le porte e mi sistemo un attimo, poi sistemo qua e ti offro qualcosa» dissi cercando di mascherare l'imbarazzo. Harry aveva uno sguardo particolarmente seducente in quel momento, in bilico tra il dolce e il sexy. «Chiudi le porte? Con me dentro?» chiese avvicinandosi pericolosamente a me. Chiara, contegno. «Sindrome di Stoccolma. Direi che ormai abbiamo deciso che tu sarai il mio serial killer» risposi sorpassandolo andando verso le porte, chiudendole. Harry rise. In quell'istante mi dimenticai di tutto e di tutti, stregata da quello splendido suono.

she|him [hs] ~ COMPLETA.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora