La mattina seguente in aeroporto Paul stava seduto su una panchina vicino al gate 18, aspettando gli addetti all'imbarco. Indossava un paio di jeans blu e una polo bianca. Le gambe accavallate poggiavano distese sul borsone davanti a lui. Aveva acquistato un giornale all'edicola lì di fronte ed era assorto nelle notizie di cronaca quando scorse con la coda dell'occhio Alexandra e il suo trolley avvicinarsi in cerca del gate.
La vide consultare la carta di imbarco, i monitor, seguire le indicazioni dei cartelli e fermarglisi quasi di fronte prima di accorgersi di lui. Anche lei portava gli universalmente-comodi-per-viaggiare jeans e sopra una camicia con le maniche corte a quadretti bianchi e rossi.
Fece fare una virata alla valigia e andò a sedersi dalla parte opposta della panchina. Ok, era ancora arrabbiata.
«Sai, vero, che sull'aereo abbiamo posti vicini?» le disse senza distogliere lo sguardo dal giornale.
Si voltò a guardarlo: stava sorridendo divertito.
Decise di continuare ad ignorarlo, sapeva che era la scelta migliore. Avrebbe assunto un comportamento professionale, sarebbero andati alla conferenza e soprattutto non avrebbe dovuto permettergli di avvicinarsi ancora così pericolosamente a lei come il giorno prima.
Ovviamente, più facile a dirsi che a farsi.
Due hostess arrivarono ad aprire il gate per cominciare le procedure di imbarco; Alex si mise in coda con gli altri passeggeri; non ebbe bisogno di voltarsi per capire che alle sue spalle Paul la sovrastava.
Lasciarono quasi in fila indiana l'aria condizionata dell'edificio per raggiungere a piedi l'aereo sotto il sole estivo delle dieci che scaldava il piazzale delle partenze.
Paul, borsa su una spalla e giornale ripiegato in mano, alle sue calcagna.
Una volta trovato il suo 7A, un perfetto posto finestrino abbastanza vicino all'entrata anteriore, Alexandra posò la borsa sul sedile per sollevare la valigia nella cappelliera. Paul però, muovendosi più velocemente di lei, alzò il trolley e glielo sistemò nello scomparto sulle loro teste. Alexandra non poté fare altro che rivolgergli un timido sorriso di ringraziamento. Va bene essere distaccati, ma l'educazione è sempre una bella cosa.
Questo a lui bastò: significava che quel muro poteva essere scalfito.
Ovviamente non aveva motivo di mentire sui posti assegnati loro, quindi non si stupì di vederlo sistemare il bagaglio a mano vicino al suo e di occupare comodamente il 7B, facendo scattare la lotta del bracciolo.
Alex si chiese perché quando si viaggia, quando si aspetta o quando si è al cinema, o comunque in tutti i posti con poltrone affiancate, dovesse essere previsto sempre un solo bracciolo, e per di più non necessariamente e oggettivamente abbastanza largo, che portasse inevitabilmente due individui a dover lottare per un centimetro di comodità in più.
Le loro braccia si sfiorarono. Entrambi le ritrassero. Entrambi offrirono il bracciolo all'altro. Entrambi risero.
C'era però ancora qualche traccia di rabbia dentro di lei per perdonargli completamente il suo comportamento arrogante, quindi cercò di nascondersi dietro un giallo che aveva infilato al volo in borsa prima di partire. Ma la concentrazione tardava ad arrivare e non riusciva a seguire la trama del libro. Stava pensando a quell'assurdo viaggio e si chiedeva perché le sembrava di essere in trappola. Più gli stava vicino e più sentiva di dover proteggere la sua carriera dai suoi sentimenti.
Durante il decollo Paul la vide appoggiare la testa allo schienale e socchiudere gli occhi: gli venne il dubbio che avesse paura di volare, ma si accorse subito dell'errore. Alexandra si era addormentata; sembrava sfinita. Sorrise teneramente, recuperò il giornale nella tasca del sedile anteriore e si dedicò alla pagina sportiva.
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La scelta difficile
ChickLitAlex è una ragazza che ha sacrificato la sua vita personale per la carriera. Così quando si trasferisce a Berkeley per realizzare il suo sogno, si ritrova completamente in balia di Paul, il collega che le hanno affiancato, e dei sentimenti che lui l...