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Il campanello sulla porta a vetri tintinnò.

«Buon giorno!» Tom le sorrise da dietro il bancone. «Ben tornata!»

Alex ricambiò il sorriso. Senza rendersene conto lanciò uno sguardo fugace ai tavoli in sala.

«Nick non è ancora arrivato.» Sembrava che le avesse letto nel pensiero.

Improvvisamente non le sembrava più una grande idea quella di essere tornata in quel posto. Arrossì. «Cercavo un tavolo libero.» Quella scusa era campata in aria. Lo sapeva lei. Lo sapeva lui.

Tom la scrutò con complicità. «Si accomodi pure dove vuole. Sarò da lei tra un minuto.»

Scelse un tavolo in fondo sulla sinistra che comunque le permetteva di vedere l'ingresso del locale. Seduta con le spalle al muro però si sentì come un prigioniero che sta per essere fucilato: c'erano molti dei clienti del giorno prima, riconobbe il gruppo di ragazzi e la coppia di anziani alla quale Nick aveva "rubato" i fiori. Probabilmente habitué del posto, e tutti la guardavano, e sorridevano. Le ragazzine parlottarono tra loro e poi risero.

Alex capì che aveva una particolare predisposizione a cacciarsi in situazioni imbarazzanti. Le venne persino il dubbio che molti di loro fossero tornati appositamente per seguire il seguito della soap opera.

Tom andò al suo tavolo con una caraffa di caffè e le riempì una tazza. «Cosa le porto?»

«Una bistecca ben cotta e un'insalata. Grazie.»

«Perfetto.» Segnò qualche scarabocchio su un blocchetto e tornò in cucina urlando comunque l'ordine al suo cuoco.

Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.

Fece un respiro profondo, prese la tazza con due mani e puntò gli occhi sulla porta.

Vista la distanza dalla scuola e il traffico che aveva dovuto maledire, era arrivata almeno mezz'ora dopo rispetto al giorno precedente. Ma evidentemente anche Nick era in ritardo.

Tom le portò il piatto con la carne e l'insalata e le rabboccò la tazza di caffè.

Cercò di mangiare con tutta l'esasperante lentezza che si era concessa, ma dopo altri venti minuti di Nick non si vedeva nemmeno l'ombra.

Stava cominciando ad odiare anche il campanello sulla porta, perché ogni volta che suonava la illudeva che fosse arrivato, e invece doveva riabbassare le spalle delusa.

Poi la delusione si trasformò in agitazione: le gambe accavallate, un piede che dondolava nervosamente, una mano stringeva la forchetta, mentre le dita dell'altra tamburellavano sulla tazza di caffè. Poi riprese in mano il coltello e lo minacciò mentalmente di morte per averle fatto fare la figura della stupida. Dopo fissò di nuovo lo sguardo nel piatto ormai vuoto, chiedendosi se avesse potuto capire male, se avesse sbagliato qualcosa, se avesse visto quello che voleva vedere, sentito quello che aveva bisogno di sentire. Guardò per l'ennesima volta l'orologio al suo polso.

«No, il tuo orologio non è rotto. Sono io ad essere in mostruoso ritardo.»

Quando Alex rialzò lo sguardo fu immediatamente catturata dalla profondità degli occhi dell'uomo che le stava di fronte. In quegli occhi, così neri, così intensi, vide un calore che non aveva notato il giorno prima.

«Potrai mai perdonarmi?» Stringeva tra le mani il solito panino e le sorrideva. Anche il suo sorriso sembrava diverso, più seducente.

Il suono della sua voce la stava affascinando. «Posso sedermi?» Indicò la sedia di fronte a lei.

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