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A svegliare Alex quella mattina fu il profumo delle lenzuola di Paul prima ancora della luce che filtrava dalla sua finestra. La sera prima Clara era riuscita a tranquillizzarla con i suoi modi materni, da chioccia, come aveva detto lei, e l'aveva convinta ad affrontare l'argomento con Paul. Alex le aveva quindi chiesto di mantenere il massimo riserbo sulla cosa per il momento.

Dopo qualche ora che era rimasta sola, a prendere coscienza di quella sua nuova condizione, Nick fece capolino attraverso la porta; lo invitò ad entrare e gli confessò che ormai era sicura dei suoi sentimenti, che amava Paul, che lo aveva sempre amato e che glielo avrebbe confessato senza aspettare ancora. «Anche perché credo che adesso dovrò aspettare che arrivi qualcun altro nella mia vita.» Sorrise e si accarezzò istintivamente la pancia.

L'arguzia di Nick non si lasciò sfuggire quel gesto. Osservò il suo viso radioso, innamorato e non ebbe dubbi su chi potesse essere il padre di quel bambino. Non le chiese altro. Non ce ne era bisogno. La strinse forte e la baciò sulla fronte. «Giuro che se ti farà soffrire ancora sarò io a prenderlo a pugni.» Sorrisero. La coprì con una coperta: «Adesso dormi. Domani ci sarà tempo per tutti i chiarimenti.» Le sfiorò le labbra con un bacio leggero e se ne andò, silenziosamente, così come era arrivato.

Nick le aveva appena detto addio.


Sollevò la coperta e fece una smorfia dispiaciuta con la bocca constatando lo stato pietoso in cui aveva ridotto il suo bell'abito durante la notte. I capelli si erano sciolti definitivamente, ma almeno era riuscita a non imbrattare il cuscino con il trucco. Sospirò e scese dal letto. Era arrivato il momento di entrare nell'arena ed affrontare il leone. Guardò i sandali lì accanto e scelse di non indossarli: non poteva certo combattere con i tacchi, doveva avere i piedi ben piantati per terra.

Aprì la porta e quello che vide le strinse il cuore.

Paul era seduto per terra nel corridoio: indossava ancora il suo bell'abito nero lucido; la camicia celeste era sgualcita, con un paio di bottoni aperti sul collo e in parte fuori dai pantaloni; la giacca poggiata sulle spalle; le scarpe erano state abbandonate in un angolo. Una gamba distesa davanti a sé, l'altro ginocchio piegato a reggere un braccio che a sua volta reggeva la testa; i capelli scompigliati in una massa informe.

Appena sentì il rumore della porta che si apriva sollevò lo sguardo. E fu quello a farle male più di tutto. Il suo sguardo era triste, malinconico e speranzoso allo stesso tempo. Non era un leone da combattere. Sembrava più un puma ferito da salvare.

«Ehi.» Paul scattò in piedi.

«Ehi.» Gli sorrise.

«Come ti senti?» La preoccupazione traspariva dalla sua voce.

«Sto bene, grazie.» Distolse lo sguardo imbarazzata: «Mi dispiace.»

«Di cosa?» Voleva stringerla forte.

«Ti ho rubato la camera.»

Sorrise anche lui alla sua dolcezza: «Non mi hai rubato niente.» Se non il cuore, ammise tra sé. «C'è anche la stanza per gli ospiti.»

«E allora perché eri per terra?» Tornò a guardarlo stupita.

«Volevo starti accanto, ma non volevo disturbarti.» Voleva abbracciarla.

Un silenzio carico di parole rimase sospeso tra loro, come una nube colma d'acqua pronta a precipitare sulla terra in una pioggia torrenziale.

«Mi dispiace per il tuo vestito.» La indicò con un gesto affrettato, imbarazzato.

La scelta difficileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora