Cap. 28 - Incubi

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Si sveglió nel cuore della notte.

Thranduil era accanto a lei, addormentato. Era coperto solo dal lenzuolo, e questo la stupì: il re non dormiva mai nudo.
"E' da selvaggi." le aveva detto una volta. Di solito portava una lunga veste di raso leggerissimo, che ora era adagiata morbidamente in fondo al letto.

Roswehn immaginó che fosse la sua ultima provocazione: mostrarsi in quel modo a lei, che aveva il divieto di toccarlo, era come pungolare una ferita già aperta. Un giorno capirò da dove viene tutta questa perfidia, pensó. Delle volte non riesco quasi a credere che tu sia un elfo.

Osservó la perfezione del suo petto a cui il passare dei millenni non era riuscito a togliere tono e definizione.

C'era una gran bella differenza con i corpi degli uomini mortali che aveva visto: quando abitava a Pontelagolungo e ogni tanto d'estate passeggiava sui pontili, si fermava ad osservare i pescatori. Forse era solo una coincidenza, ma quando lei si avvicinava al molo si toglievano subito le casacche, con la scusa del caldo, e rivelavano pance grasse, molli, oppure torsi troppo magrolini, con le costole che spuntavano sotto le pelli scottate dal sole.

Paragonato a loro, il re elfico era una specie di statua scolpita dallo scultore personale di Eru. L'unica caratteristica a cui la ragazza non riusciva ad abituarsi era la mancanza dei capezzoli: dava al suo corpo un aspetto un po' strano, quasi grottesco, seppur bellissimo.

E quel viso meraviglioso. Thranduil aveva un profilo disegnato dagli dèi. Inizió a sentire l'impulso di gettarsi su di lui, ma doveva resistere.

Primo, perché non voleva dargliela vinta. Secondo, perché aveva avuto la netta sensazione che la sua decisione di interrompere i rapporti con lei fosse stato un ordine. Andare contro quell'ordine, avrebbe potuto avere delle nuove, spiacevoli conseguenze. La donna non voleva finire di nuovo in una cella oscura, anche perché stavolta il principe non sarebbe più venuto a liberarla, ne era sicura. Fregami una volta vergogna a me, fregami due volte vergogna a te, diceva il motto.

Legolas non era uno stupido. Le voleva bene, ma, ragazzi, lo aveva preso in giro senza tanti complimenti con la recita del graffietto sui polsi. Ora, altruista sì, ma beota no.

Fece il giro della stanza con lo sguardo. La sua attenzione venne catturata da qualche cosa in un angolo, vicino al pesante tendaggio rosso di velluto.

C'era un uomo laggiù.
La invase un terrore grande come mai le era capitato di provare in vita sua. Il suo corpo, già soffocato dall'afa estiva, liberó da tutti i pori un improvviso fiotto di sudore. Roswehn non se ne accorse neppure. La paura le aveva sgombrato il cervello da ogni altro pensiero, dalla sua bocca non uscì alcun grido, nè gemito. Il panico le aveva mandato in tilt la mente, così come la capacità di produrre suoni.

Si sentì pericolosamente vicina ad abbandonarsi a uno svenimento.

Un uomo. Una creatura, laggiù.

Li stava osservando, o meglio, lei ebbe l'impressione che li stesse fissando.

"Thranduil..." provó a sussurrare, accorgendosi che la sua gola le si era improvvisamente seccata. "Thranduil, svegliati, ti prego..."

Ma sapeva che era inutile: l'elfo era sprofondato in quella fase di sonno pesantissimo a cui si lasciavano andare quelli della sua specie qualche ora prima dell'alba. Una condizione che un medico dei tempi moderni avrebbe definito molto simile a uno stato comatoso. Anche se l'avesse scosso con tutta la sua forza, non si sarebbe svegliato.

Una rosa nel boscoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora