Mentre i due ragazzi si avviavano verso la settima fila, il preside borbottava con la professoressa, era rosso dalla rabbia, molto probabilmente il padre di Michael è riuscito a fargli cambiare idea riguardo all'espulsione (è l'uomo più ricco della città, non che sia una cosa da stupirsi), e infatti, a quei due era tornato il ghigno.
"Spero che un po' di filosofia possa farvi bene, farvi riflettere e farvi cambiare mentalità! Professoressa Harrison, li affido a lei, buona giornata!" E se ne uscì sbattendo la porta alle sue spalle.
La professoressa ricominciò il suo discorso su Amleto. Mi sentivo osservata, e anche Jessy, visto che era tornata rossa dietro le sue lentiggini.
Stavo morendo dalla tentazione di girarmi, allora feci cadere la matita volontariamente, così avrei potuto vedere con la punta dell'occhio se effettivamente quei due ci stessero fissando, ma fato ha voluto che quella maledetta matita scivolasse per gli scalini fino a fermarsi sotto ai tacchi neri della professoressa. Adesso volevo meramente morire. La Harrison si piegò, prese la matita e la tenne in mano. mi alzai, scesi i gradini, raggiunsi la professoressa e quest'ultima mi porse quel pezzo di legno fulminandomi con gli occhi, lo impugnai e lo tenni stretto nella mano destra mentre tornavo al mio posto. Ora ero sicura che non solo quei due mi stessero fissando, ma tutta la classe.
Suonò l'adorata, aspettata e tanto desiderata campanella. Io e Jessica ci sbrigammo a prendere le nostre cose, infilarle in fretta e furia nelle borse e scappare fuori dall'aula. Io non faccio in tempo a varcare la porta che qualcuno dietro di me prende il mio avambraccio sinistro, avvicina il suo fiato su di me e mi bisbiglia all'orecchio "Questa è la punizione per aver perso contro la curiosità" Lascia la presa e mi passa davanti...Era Peter.
Uscii da scuola, presi la mia bici e tornai a casa.
A casa mia: abito solo io. Mio padre è morto quando avevo sei anni, e mia madre si è risposata un anno dopo a Sidney. Non voglio più rivedere quella donna, mi ha lasciata sola, unicamente perché quando guardava me, rivedeva nei miei occhi mio padre.
Ho abitato con mia zia Kate fino a sedici anni, quando è stata obbligata a trasferirsi a Los Angeles per questioni di lavoro. Mi invita sempre ad andare a trovarla durante le vacanze.
Aprii la porta, buttai la borsa in un angolo vicino al divano di cuoio in salotto ed andai in cucina. Tutti i mobili bianchi di quella stanza mi davano tranquillità. Presi della pasta dall'armadio vicino al frigorifero e la misi a cuocere, la scolai, ci buttai un po' di sugo pronto, presi un piatto dalla credenza sopra il lavandino e lo riempii di pasta.
Appoggiai il piatto sul tavolo di vetro, presi una birra dal frigo, una forchetta dal cassetto sotto i fornelli e mi sedetti. Accanto al tavolo c'era una porta-finestra che dava al giardino, vi era un albero in piena fioritura, d'altronde eravamo ad aprile.
Il vento faceva volare qualche fiore che cadeva come una piuma svolazzando di qua e di la fino ad appoggiarsi a terra, quando... Mi ricordai lui...
-Papà, secondo te un fiore soffre quando cade?- Chiese una bambina con i capelli castani fino alla vita, era difficile però capire il preciso colore dei suoi occhi. Erano di un verde chiaro come le foglie di un salice piangente, macchiati dal castano e contornati da un blu scuro. Accanto a lei vi era un uomo steso sull'erba, aveva le stesse iridi della piccola - Certo che sì tesoro, a te piacerebbe essere portata via da un posto dove sei nata, cadere in un luogo sconosciuto senza farci niente e rimanere lì a morire? Questo accade ad un fiore, nasce su un ramo, viene spezzato dal vento e cade a terra, immobile fino a quando i suoi petali non perdono il loro colore vivace - La bambina lo guardava perplessa - E il fiore non può lottare con il vento? - L'uomo si sedette e fissò negli occhi sua figlia - Può solo rallentare la caduta, cerca di passare il più tempo possibile sull'albero anche se è consapevole che alla fine dovrà per forza cadere. Lo stesso accade a noi, cerchiamo di combattere contro il destino, perché abbiamo paura dello sconosciuto, e lottiamo contro il tempo, prolungando il più possibile la permanenza in un luogo sicuro, e viviamo, ma siamo comunque a conoscenza che tutti toccheremo terra prima o poi, e in seguito moriremo... - La piccola si buttò tra le braccia del padre e lui ricominciò a parlare - È questo lo scopo della nostra vita amore mio: combattere, e TU non devi mai smettere di farlo. Devi continuare a lottare contro tutto e tutti, perché non ti puoi fidare di nessuno, perché nessuno ti potrà aiutare. Non devi mai perdere, non devi mai smarrirti. Arriverà il momento che ti ritroverai da sola, e lì comincerà la vera sfida, devi far vedere al destino che puoi cavartela con le tue forze, e devi dimostrare che non hai paura di cadere, perché se vinci, non sarai costretta ad aspettare nel terrore la morte. Promettimelo Wend, promettimi che non smetterai mai di lottare, anche quando io non sarò più su quel ramo - La bambina rispose con la sua vocetta docile e innocua - Te lo prometto papà.
Continuavo a fissare la finestra, sentii una lacrima marcarmi il viso. Mi asciugai gli occhi lucidi con la manica del maglione e lavai il piatto. Andai in camera mia al primo piano. Era una piccola stanza con un letto, un armadio in legno scuro, una scrivania occupata da troppi libri, muri tappezzati da poster di cantanti e foto con Jessy, infine una finestra sopra la scrivania.
Mi buttai sul letto, impugnai il mio iPhone, collegai gli auricolari e mi abbandonai alla modalità casuale delle canzoni. Dicono che il casuale riesce a capire il tuo stato d'animo, e cerca tra i brani la canzone più adatta in quel momento. Partì il brano di Ed Sheeran 'The a Team', e in quel preciso istante mi staccai dal mondo. Adorò quella sensazione di vuoto nella mia mente, come se tutti i miei pensieri che mi tormentano scivolano via. Fissai il soffitto con uno sguardo perso.
La musica si interruppe e quando vidi lo schermo, apparve la scritta 'Jessy :)', risposi e tornai in quella crudele realtà.
"Pronto?"
"Ehi Wend, mi spieghi la lezione su Amleto?"
"Cosa non hai capito?"
"E me lo chiedi..."
"Giusto, comunque non ho seguito la spiegazione, ma suppongo che trovi tutto sul libro, se non ricordo male a pagina 128"
"Ok grazie, tutto bene?"
"Si, tutto bene" Hai solo dato il libero accesso ai miei pensieri nella mia mente pensai.
"Ok, un bacio, a domani!"
Ero impaziente di tornare nel vuoto, ma la batteria non me lo permise, quando notai la notifica che mi avvisava del '10% di carica'. Che telefoni, non li tieni neanche per mezz'ora e si scaricano subito.
Scesi in salotto e mi sedetti sul divano. Adoravo i suoi cuscini bianchi, erano più morbidi del mio in camera. Rimasi a fissare il soffitto, sentivo il rumore della lancetta dei secondi dell'orologio appeso sopra la televisione.
Segnava le nove di sera...Di già? Erano le sei quando mi ha chiamato Jessica! Mi alzai dal divano ed andai in cucina, sono rimasta in mezzo alla stanza per qualche secondo....'Non ho fame' pensai, stavo per spegnere la luce del lampadario quando notai che la lampadina di esso era così potente che sembrava fosse ancora giorno! Ecco il motivo del costo così alto della bolletta della luce.
Per vivere facevo la cameriera al ristorante della signora Medison ogni fine settimana e la barista al bar del signor Devis ogni pomeriggio tranne il lunedì, in estate invece tutte le mattine. Quando non mi bastavano i soldi aiutavo anche la madre di Jessica nel suo negozio di musica. Lì ci potevo andare quando volevo, bastava che mi mettessi dietro al balcone a pulire tutte le custodie dei CD.
Salii in camera mia, mi cambiai e mi sdraiai sul letto.
La mattina seguente fui svegliata dall' iPhone. I raggi del sole si intrufolavano dalla finestra nella stanza illuminandomi il volto. Scesi dal letto, aprii le ante dell'armadio e pescai fra quella montagna di robe una canotta nera, una felpa col cappuccio e dei jeans a lavaggio scuro attillati, di quelli che non permettono la circolazione del sangue. In seguito nella scarpiera puntai gli occhi sulle mie vans nere...Non erano stupende. Non erano perfette. E di certo non erano nuove... Ma erano le mie vans.
Scesi al piano di sotto ed uscii di casa. Chiusi la porta alle mie spalle, cercai di infilare le chiavi nella tasca destra di quei jeans attillati, ma era un caso perso, così le misi nella borsa, montai sulla mia bici e pedalai fino a scuola.
Probabilmente la mia testa stava ancora pensando al calore confortante della mia coperta perché passai l'ora di storia senza calcolare nemmeno una parola del professor Carter. La mia mente rimase in modalità stand-by fin quando non arrivò l'ora di psicologia del professor Newin. Il professore aveva all'incirca una trentina d'anni, un bell'uomo...Un bellissimo uomo! Le sue lezioni erano le più interessanti di tutta la scuola Heliem! Comunque non fu il professore a svegliare la mia mente, bensì il biondino con gli occhi azzurri.
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Dopo un . C'è sempre un inizio
RomanceOgni essere vivente ha paura. C'è chi ha paura dei fulmini, chi dei ragni, chi del fuoco, chi del buio... Lei ha paura del suo passato. Lei ha paura delle ombre che non appartengono più a nessuno. Ombre che segretamente la perseguitano, la amano...