Capitolo 8 "Gli spettatori dell'umanità"

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I miei polmoni si rifiutavano di respirare, le mie gambe a stento riuscivano a muoversi, il cuore preso dalla paura iniziò a pulsare troppo velocemente, come se volesse risalire per la gola e scappare dal mio corpo.
Tutto svanì quando la risata di Marcus mi invase le orecchie "Dovevi vedere la tua faccia! Stavi tremando!" Mi girai indietro, e notai una ragazza ubriaca intenta ad afferrare la maniglia della portiera della sua macchina "Mi hai fatto venire un colpo! Sei veramente un bambino!" Velocizzai i passi. L'asfalto era sbiadito dalla luce blanda dei lampioni posti ai margini della strada. Le case di quel quartiere erano lugubri, assomigliavano a dei giganti dormienti. "Sono veramente sconvolto dal tuo insulto" la sua voce era derisoria, sbuffai e ignorai la sua esclamazione "E adesso chi è l'infantile?" Cantilenò "Mi lasci in pace?!" Ringhiai, la pazienza si stava spegnendo come la fiammella titubante di una candela attaccata dal vento "La mia macchina è parcheggiata lì -Disse facendomi notare una 500 Abarth a qualche metro da noi - Vuoi continuare a camminare come un'anima dispersa o preferisci tornare a casa tua?" Non risposi, mi limitai a raggiungere l'auto.

...

Erano passati una ventina di minuti, e il ragazzo dalle iridi dipinte di grigio chiaro distoglieva ripetitivamente lo sguardo dalla strada per appoggiarlo sul mio viso rivolto verso il finestrino, come se non me ne accorgessi.
"Non ricordo questa strada" "Mi sono permesso di accompagnarti da un'altra parte, sono convinto che questa festa non sia stata di tuo gradimento" La mia risata spezzò la quiete di quel momento "Perché parli in un modo così sofisticato? Sembra che ti scegli le parole prima di aprire bocca" Spuntò un sorriso tra le sue labbra sottili e rosee "Adoro impressionare la gente unendo semplicissime parole creando una combinazione armoniosa, detesto sprecare parole senza un motivo preciso per farlo. Sono dell'idea che le parole sono le cose più importanti della vita. Ognuna di queste pronunciata rimane impressa nei fogli che compongono il libro intitolato "tempo", e io non desidero macchiare queste pagine con stupide parole messe alla rinfusa" Rimasi ad osservarlo a lungo, scossi i pensieri dalla mente e domandai riportando la mia attenzione fuori dal finestrino "Dove mi stai portando allora?" "In un posto dove mi rifugio dall'umanità" "Okay..." Le sue frasi mi stroncavano. Mi affascinò quel Marcus riflessivo e profondo, quel ragazzo giovane stanco di tutto, osservatore della gente e spento davanti ad essa, che si accende di rado come una lampadina mal funzionante.

"Eccoci." Scesi dalla macchina e mi ritrovai davanti ad un teatro abbandonato. L'insegna a led rossi posta al di sopra dell'ingresso sbarrato da grandi assi di legno diceva "tetro". Marcus si alzò le maniche della camicia fino ai gomiti e si avvicinò alle assi. Batteva le nocche delle mani sul legno fin quando il rumore che producevano esse cessò. Mi rivolse un sorriso e riportò l'attenzione sulle sue mani serrate su un'asse, staccò quest'ultima e i chiodi arrugginiti ricaddero sull'asfalto saltellando un paio di volte e rotearono fino ai miei piedi per fermarsi subito dopo. Dietro all'asse si aprì un piccolo passaggio oscuro, il ragazzo scaltro mi porse la mano per aiutarmi ad entrare.

Era tutto avvolto dalla coperta del buio, un odore di muffa mi occupò i polmoni "Di qua." Una sua mano era stretta alla mia, l'altra impugnava una torcia tascabile, e mi guidò nelle tenebre. Superammo quella che un tempo doveva essere la biglietteria, attraversammo un corridoio ed entrammo nella sala del palco, e camminando tra le poltrone di velluto color porpora arrivammo in uno stanzino. Questo era stretto e profondo, i nostri petti si toccarono, il mio respiro si mischiò col suo, i suoi occhi erano serrati sui miei e la sua mano strinse di più la mia. Distolse lo sguardo, facendomi notare il rossore macchiare i suoi zigomi, ed io mi limitai a sorridere alla scena. Con la torcia illuminò una tenda rossa alla fine della stanza, ci avvicinammo e scoprimmo una scala di ferro a chiocciola dietro alla seta che strusciò sul pavimento portando con sé la polvere. Salimmo i gradini fino a giungere dietro le quinte. Mi lasciò la mano per accendere i riflettori, e questi illuminarono il palco e i granelli di polvere che danzavano nell'aria. Il suo sorriso ricomparve sulle sue labbra quando esclamai "Non sono mai salita su un palco" e le mie azioni si susseguirono: chiusi le palpebre, respirai a pieni polmoni, e feci un lieve inchino a tanti spettatori seduti davanti a me intenti ad applaudirmi, per cosa non avrei saputo spiegarlo in quel momento, forse per essere lì, per essere Wend, per... "Essere..." Sussurrai "Urla, non avere paura... Qui gli unici che possono sentirti siamo io, le mura e le persone sedute lì che ti ascoltano" Anche lui le vedeva? Rimasi lì titubante. Avanzai di un passo, mi guardai intorno, chiusi gli occhi di nuovo e con tutta la voce che le mie corde vocali potevano emettere "IO SCELGO DI ESSERE!" E in quel momento vidi Amleto tra il pubblico, che mi sorrideva e applaudiva a sua volta.

Marcus si avvicinò a me, di nuovo il suo respiro che si scontrava col mio, di nuovo i suoi occhi cangianti puntati sui miei. Le sue mani si appoggiarono sulle mie guance bollenti, e il suo tocco mi paralizzò: la mente si scollega, il cuore pulsa troppo velocemente, il fiato corto, le gambe tremanti...
Le sue labbra che premono sulle mie delicatamente... L'applauso del pubblico che ci circonda...

Dopo un . C'è sempre un inizioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora