A quanto pare abbiamo entrambi problemi di insonnia

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La paura di morire è quella che ormai si può definire "un rischio del mestiere". È una delle prime cose che ti vengono insegnate, a non prendere alla leggera nessun compito, non lasciarsi abbindolare dalla semplicità del momento e di restare sempre in guardia. Il rispettare o meno queste regole può fare la differenza dal fallire o dal vincere, dalla morte alla vita. Un buon risultato, dopo l'esperienza, lo ottieni sempre grazie a quanto ti impegni a rispettare certe basi che ti vengono imposte fin da subito.

Stasera non è andata così. Stasera ho deciso di non rispettare le basi e le conseguenze stanno venendo a prendermi. Sicuramente non è la prima volta che vengo inseguita degli scagnozzi delle mie vittime, ma è la prima volta che sono così vicina dal fallire. È stato solo un attimo; un momento di distrazione che mi ha fregato. Doveva essere una cosa da dieci minuti: entri, prendi i documenti ed esci. Non mi sono accorta che nell'uscire avevo lasciato l'ufficio dell'uomo a cui ho rubato quei fogli aperto e le guardie da lì hanno fatto due più due.

Allontanarli sarebbe stato di gran lunga più facile se avessi avuto un mezzo di trasporto, correndo invece sembra quasi di giocare al gatto e al topo: si sa già dall'inizio come finirà. Avrò gia fatto una quarantina di kilometri, tutti prendendo strade secondarie, passando dai vicoli più bui di Jump, stando lontana dalla strada principale, ma ad ogni bivio me li ritrovo addosso. Sono nascosta dietro ad un cassonetto da dieci minuti, per riprendere fiato, e per studiare un piano; non posso tornare a casa, non con questi tipi alle calcagna e non posso neanche chiedere rinforzi perché nessuno a parte Trevor sa di questa missione, l'unica possibilità è quella di seminarli, ma per farlo ho bisogno di un'auto o meglio di una moto.

Al momento sono incastrata in un rischio del mestiere. Da lontano posso già sentire lo stridulo suono delle gomme sull'asfalto, risvegliando in me la forza di correre, anche se so che non durerà. Inizio a sentire la stanchezza, ma vado avanti.

Esco da sotto il porticato e inizio ad inoltrarmi negli stretti vicoletti della città, aggirandomi cautamente e cercando di far il meno rumore possibile, scalando agilmente le ringhiere e i muretti che mi occupavano il passaggio. Le strade sono deserte e l'unica figura che è ancora in giro è la mia, seguita dagli scagnozzi della mia ultima preda. Corro fino allo svenimento e quando arrivo al limite decido di passare al contrattacco. Mi blocco in mezzo alla strada e carico le pistole; aspetto. Il rumore del motore si fa sempre più vicino finche non mi ritrovo il grosso Suv nero davanti. Un gruppo di cinque uomini scendono dall'auto, seguiti da altri che stavano su macchine diversa. Erano tutti armati fino ai denti e la unica possibilità era quella di fare più danni possibili alle macchine per poi continuare a scappare.
Prima di iniziare chiudo gli occhi e distendo i nervi; rilasso i muscoli, sento i polmoni gonfiarsi per poi contrarsi. I battiti rallentano e mi calmo. La mente lucida si concentra solo su unica cosa che è la sopravvivenza, il resto del mondo non esiste; ci siamo solo io e il nemico. Si azzerano i pensieri, le emozioni, e riesco a percepire ogni movimento del mio corpo. Ora ne ho il pieno controllo.

Riapro gli occhi in tempo per vedere un uomo arrivarmi abbastanza vicino; prepara un destro da lanciarmi ma io sono più veloce e mi abbasso, per poi colpirlo dritto alla bocca dello stomaco, si piega in due per poi cadere a terra. Altri due uomini mi raggiungono e con due calci concatenati li faccio cadere a terra per la forte botta alla testa. Non è sempre necessario dare dei colpi foti, basta beccare il punto giusto, come le orecchie. Un colpo ben assestato verso il timpano è in grado di tramortire un uomo del loro peso senza il minimo sforzo. Un altro mi viene incontro, ma proprio mentre mi sta per tirare un pugno gli afferro la mano per con rompergli l'avambraccio storcendolo. Sento con chiarezza ogni osso spezzarsi, ogni muscolo piegarsi, ogni nervo stringersi dei miei avversari, mentre con assoluta calma continuo a combattere

Vado avanti così per minuti, che mi sembrano ore e sento la stanchezza impossessarsi del mio corpo, nonostante la forte scarica d'adrenalina di prima;ora però noto alcune guardie tirare fuori le pistole, rendendo la faccenda molto più difficile. Inizialmente riesco ad evitare le prime pallottole, ma i colpi si fanno sempre più veloci e più precisi, facendomi rischiare più volte di essere beccata. Riesco a disarmare solo un paio di uomini, quando uno mi becca di striscio la spalla, provocandomi un dolore lancinante in tutto il braccio. Porto la mano sulla ferita insanguinata per poi fissare con odio colui che mi ha colpito, facendolo rabbrividire.

DIETRO LE QUINTE DELLA MIA VITAWhere stories live. Discover now