Capitolo 11

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La serata era trascorsa con una lentezza che definire atroce sarebbe un insulto. La voce stridula del Sign. Harris ha dominato intensamente l'atmosfera snervante che riecheggiava all'interno di quell'appartamento. Dalle sue labbra carnose e secche traboccavano una sfilza di termini giuridici a me totalmente estranei e incomprensibili, d'altro canto la sua consorte sfoderava un sorriso smagliante ogni qualvolta qualcuno le rivolgesse la parola, quasi come fosse programmata ad essere gentile e cordiale con tutti. Indossava un vestito color porpora che arrivava appena sotto le ginocchia mettendo in risalto le sue gambe snelle e abbronzate mentre le sue dita erano invase da anelli con grosse pietre che non esitava a mettere in mostra, sfoggiando apertamente la loro benestante situazione economica. Il padre di Derek annuiva meccanicamente a tutto ciò che proferiva l'avvocato senza interromperlo e senza intervenire, così come la madre. Era come se stessero registrando minuziosamente tutte le parole che fuoriuscivano dalla bocca di quel ricco signore al fine di valutare scrupolosamente la situazione del figlio.

Non sono riuscita a comprendere molto per i termini abbastanza complicati, ma soprattutto per l'atteggiamento di Derek.
Durante tutta la cena non ha fatto altro che tenere gli occhi fissi sul piatto di porcella, la sua marcata mascella era contratta dall'agitazione e percepivo i suoi respiri affannosi e abbattuti. Si sentiva sotto processo e intuivo che sarebbe voluto scappare il più lontano possibile, che avrebbe voluto gridare a squarciagola o distruggere il primo oggetto che gli venisse sott'occhio. Ma non l'ha fatto. È rimasto fermo, immobile attendendo con un'ansia lancinante che quella situazione giungesse al termine.

È bravo a mascherare le sue emozioni, a nasconderle dietro una maschera impenetrabile cosicché nessuno lo possa vedere o giudicare, ma io sono in grado di comprendere il suo sguardo e nelle sue iridi intravedevo una rabbia disarmante.

Così come adesso, mentre appoggio le tempie al freddo finestrino della sua macchina lo osservo tenere gli occhi puntati sulla strada deserta davanti a noi. Tiene con veemenza le mani ancorate al volante quasi a scaricare un po' la tensione che ha accumulato nel corso della serata, gli occhi sono ridotti in due fessure sottili e le larghe spalle sono perfettamente irrigidite come se dovesse prepararsi ad una battaglia immediata. Non mi degna di uno sguardo, di un sorriso e nemmeno di un banale cenno del capo, tutto ciò che riesco ad ottenere da lui è un silenzio assordante temperato solamente dal ticchettio dei tergicristalli che si muovono ritmicamente per ottenere una discreta visuale a causa della pioggia incessante.

<<Ehi...>> sussurro delicatamente cercando di catturare la sua attenzione. Poggio un po' titubante la mia mano sulle sue dita ghiacciate mentre ingrana la marcia ma lui le leva di scatto, completamente preso alla sprovvista da questo mio gesto affettuoso. Sgrano gli occhi sconcertata da questa sua reazione.

Comprendo la sua agitazione e so che in parte la causa sono anche io ma non può trattarmi con questa indifferenza abissale.
Mi scruta con la coda dell'occhio e forse, osservando il turbamento prendere vita sul mio volto mi afferra la mano, tentando di riparare al suo errore.
<<Scusa>> bofonchia a stento, <<sono nervoso>> ammette portandosi una mano tra i capelli con il suo consueto atteggiamento frustrato.
<<Andrà tutto bene...vedrai>> tento di rassicuralo invano considerando la sua espressione spenta e piatta. I suoi occhi sono nuovamente puntati sulla strada e, nuovamente il silenzio ritorna ad essere dominante. Anche se per tutto il tempo della cena sono stata assente, una cosa mi è rimasta impressa e quella cosa ha un nome e un cognome preciso: Clark Candel.

La situazione del ragazzo di cui mi sono follemente innamorata è nelle mani del mio ex fidanzato. E sarebbe tutto molto ironico se fosse una delirante commedia americana, ma il problema è che stiamo parlando della mia vita e mi sento totalmente incapace di gestirla.

Dovrei forse lasciar perdere Derek?
Perdere quella felicità e spensieratezza che sperimento solo quando sono con lui? Lasciarmi sfuggire quegli occhi verdi che mi hanno lacerato dalla prima sera che li ho visti?
Privarmi di quel sorrisetto malizioso accompagnato dalle adorabili fossette? Allontanarmi da tutti i ricordi che condivido con lui?

Non lo so.

Ma qualcosa, nel suo sguardo smarrito e spento mi porta ad intuire che sta pensando la stessa cosa.

<<Siamo arrivati>> prorompe con tono acuto spegnendo il motore della sua macchina. Ero così immersa nei miei pensieri che non mi ero resa conto fossimo arrivati dinanzi il mio appartamento. Alliscio con fare nervoso il vestito prestatomi da Jessica aspettando impaziente che aggiunga altro, ma ovviamente il suo sguardo cupo non è rivolto nella mia direzione e le sue labbra sono completamente sigillate.

Quelle labbra che avrei così tanta voglia di baciare, di assaporarne ogni millimetro con la lingua, ma che sento di non poter fare.

<<Tu non scendi?>> chiedo dubbiosa con un pizzico di coraggio, fissando intensamente il suo profilo perfetto. Ricordo ancora la sua proposta impertinente di questa mattina, quella proposta che mi aveva fatto sbocciare un sorriso sincero e mi aveva causato la pelle d'oca al solo pensiero di noi due nudi.
Derek esita prima di rispondere, ma quando lo fa non tarda a ferirmi con ferocia, demolendo tutte le mie speranze.

<<Non mi pare il caso>> afferma con tono glaciale, senza degnarmi di uno sguardo, senza pietà.
Pensavo che avessimo superato la fase in cui lui è uno stronzo apatico ma a quanto pare mi sbagliavo. Io mi sbaglio sempre.

<<Bene...>> squittisco e senza rendermene conto scendo dalla sua macchina sbattendo con forza inaudita la portiera.

Avrei voluto rassicurarlo, proteggerlo dal dolore che prova in questo momento e dalla battaglia che sta affrontando, ma stiamo parlando di Derek Holder. E lui non vuole aiutato, non vuole intorno persone che gli vogliono davvero bene. E mentre raggiungo a passo svelto la porta del mio appartamento sopraffatta dalla violenta pioggia mi volto per osservarlo. La sua macchina sfreccia nel buio trafiggendo le infinite pozzanghere che invadano la careggiata e l'abituale senso di solitudine si impadronisce di me.

Forse non c'è speranza. Forse non c è mai stata.

Spazio autrice:
So che il capitolo è molto corto, ma ho ripreso da poco a scrivere e siccome sono stata assente per molto tempo volevo pubblicarlo il prima possibile. Spero vi piaccia e spero che non mi abbiate abbandonato. ❤️

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