Capitolo 21

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Alle anime fragili
che amano senza amarsi
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DEREK's Pov

<< Avrei voluto vederti con questo vestito in un'occasione diversa>> esordisce mia madre sistemandomi per l'ennesima volta la cravatta. I suoi occhi tristi, contornati dalle fievole rughe mi osservano inquieti. So quanto per lei sia difficile affrontare tutto questo dramma, quanto sia abbattuta dal vedermi protagonista di un processo imminente che potrebbe compromettere il mio futuro, la mia libertà. La sua anima fragile mi impedisce di manifestare la mia disperazione nella speranza che il mio atteggiamento apparentemente risoluto possa incuterle un po' di audacia.
<<Vado a prendermi un caffè. Lo vuoi anche tu?>> squittisce lei con voce talmente flebile che giunge al mio orecchio a malapena.
<<No sono apposto così.>> affermo controvoglia, ma so che la caffeina in circolo potrebbe aumentare drasticamente la mia agitazione. Lei annuisce debolmente, e tirando su col naso si dirige verso il distributore posizionato in un angolo angusto di questo macabro tribunale. I miei amici attendono al mio fianco l'esito incombente del mio destino mentre si osservano intorno quasi nel tentativo di ispezionare ogni singolo spigolo di questo posto. Non proferiscono parola, si limitano a qualche occhiata rassicurante nell'inutile tentativo di smussare l'aria asfissiante che riecheggia all'interno di queste quattro pareti. Il caldo afoso non fa altro che peggiorare la situazione. Ho proprio bisogno di levare questa giacca di merda, scaraventarla sul sudicio pavimento e uscire fuori a prendere un po' d'aria fresca. Ma mio mio padre, il diplomatico Logan Holder ha letteralmente obbligato me e i miei amici ad attendere in questa gretta sala d'attesa perché il giudice arriverà a momenti. Così mentre noi moriamo di asfissia lui sta meticolosamente conversando col mio avvocato, il celebre Sign. Harris. Questo devo concederglielo, mio padre non ha badato a spese. Voleva che al mio fianco durante questa penosa situazione avessi uno degli avvocati più illustri e tenaci di tutta Londra. Ed eccoli lì, il Sign Harris dall'elegante vestito marcato, dalla barba perfettamente curata e brizzolata e dall'atteggiamento scaltro e autoritario pronto a difendermi in questo oceano di squali. Smetto di fissarlo solo perché in quel momento tutti gli occhi saettano nella direzione di uomo sulla sessantina basso e rotondetto. I suoi occhi si intravedono a malepena a causa della spessa montatura degli occhiali, il suo capo calvo è circondato da goccioline di sudore mentre la toga nera lo rende un arancino con i piedi.

È lui? È quest'uomo dall'aspetto buffo e strambo a lanciare i dati del mio destino?

Anche i miei amici stanno pensando la stessa cosa, si intuisce dai loro quasi impercettibili sorrisetti allietati, sorrisetti che svaniscono all'istante non appena li guardo in cagnesco.

<<Forza Derek. È ora>>
Il Sign. Harris si avvicina a me con fare determinato e mi incita a seguirlo all'interno dell'aula in cui avverrà il processo. Indugio prima di incamminarmi quasi a voler dileguarmi all'istante. Ma non posso farlo, e forse per la prima volta dovrò assumermi le mie responsabilità e guardare negli occhi le conseguenze delle mie azioni.

Il mio avvocato manifesta con disinvoltura il suo atteggiamento logorroico e sicuro di sè mentre elenca una serie di motivi che difenderebbero la mia immagine. Percepisco una serie di parole sconnesse tra loro. Continua a concentrare la sua discussione sul fatto che il mio atteggiamento sia stato messo in atto per autodifesa, il tutto accompagnato da una precisa costellazione di articoli giudiziari, a voler dare consistenza alle sue argomentazioni. Non riesco a mantenere la concentrazione ad un livello tale da comprendere la discussione. La mia mano trema incessantemente, percepisco fortemente il cuore sbattere quasi a voler sgusciare dalla gabbia toracica. I miei occhi saettano repentinamente dal mio avvocato che tenta di combattere come un coraggioso gladiatore all'interno di un'arena al giudice che lo ascolta meticolosamente. Deglutisco a stento mentre mi sento sempre più piccolo, disarmato, debole.
Penso a tutto ciò che potrò perdere, ma la mia mente autolesionista visualizza soltanto l'immagine di Giulia. Non potrò vederla chissà per quanto tempo, non potrò più smarrirmi nelle sue iridi agghiaccianti, nel calore che effonde il suo corpo, in ogni suo piccolo e impacciato gesto che oltrepassa con presunzione il mio scudo scalfito. Ma l'ho persa. Ho perso l'unica persona che mi abbia fatto assaporare un pó di felicità, l'unica persona in grado di portare pó di luce nelle tenebre della mia vita.
L'aula cade in un atroce silenzioso ostruito solamente da un impercettibile brusio.

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