8. Il primo segnale

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Giusto per la cronaca, non ero affatto nervosa.

Il fatto che quello, tecnicamente, fosse il primo appuntamento che avevo da anni, non mi agitava per niente. E Nick non provocava alcuna emozione, in me. Niente. Nada. Affatto.

Era solo che, improvvisamente, il mio armadio sembrava essersi svuotato. Possibile che non avessi mai avuto niente di decente da mettere? Ed era soltanto un fattore personale, ovviamente. Non me ne fregava niente di quello che avrebbe pensato di me quel darkettaro uscito male.

Cressida, Feng e Mike continuavano ad osservarmi divertiti, mentre facevo avanti e indietro per la stanza come una trottola impazzita.

«Non c'è niente di male ad essere nervosa.» ammiccò la bionda, sollevando le sopracciglia con fare malizioso.

«Non sono nervosa.» ribattei decisa.

Afferrai una vecchia maglietta nera che avevo preso ad un concerto dei Five Seconds of Summer quando avevo quindici anni. Dio, era la cosa più vagamente punk che avessi nel guardaroba.

E perché deve essere punk? Mica non ti importava?

Non ho né il tempo né la voglia di giustificarmi con te. Quindi esci dalla mia testa una volta per tutte, grazie.

Mi sfilai velocemente il vestito che indossavo, e subito le guance di Mike si tinsero di rosso. Vidi il suo sguardo indugiare per alcuni secondi sul mio reggiseno in pizzo, per poi voltarsi dall'altra parte.

«Ehilà, vogliamo per favore ricordarci che sono pur sempre un maschio? Cristo santo, smettetela di sminuire la mia virilità.» sbuffò.

Feng ridacchiò, allungandosi verso di lui. Si sdraiò sulle sue gambe, osservandolo dal basso con quel suo sorrisetto malizioso.

«Virilità? Quale virilità?» lo prese in giro.

Lui mise il broncio e, con uno spintone, la fece rotolare a terra.

«Fanculo.»

Ridacchiai, facendomi scivolare la maglietta dalla testa. Era lunga, abbastanza da poterla indossare come vestito. Decisi di mettere anche degli shorts neri per non rischiare di mostrare le mie grazie a metà paese, e un paio di collant di lana per non gelare. Infilai gli anfibi, uno zainetto di pelle, e legai i capelli in una coda alta, per poi aggiungere una bandana rossa poco sopra la frangia.

Feci un mezzo giro su me stessa, voltandomi verso i miei amici.

«Allora? Che ne pensate?» chiesi.

Cressida storse il naso.

«Dimostri sedici anni, vestita così.»

Sbuffai, alzando gli occhi al cielo.

«Meglio. Così magari si sentirà un pedofilo e mi pianterà prima ancora che inizi la serata.»

Presi una giacca di jeans e infilai nelle tasche il portafoglio e il telefonino. Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta della camera, e mio padre fece la sua comparsa dietro all'uscio. Mi osservò per alcuni secondi, per poi aggrottare le sopracciglia.

«Cami, ti prego, dimmi che questo ragazzo è almeno maggiorenne.»

I miei amici scoppiarono a ridere, mentre io sbuffai scocciata.

«Andiamo.» mormorai.

Afferrai l'uomo per un braccio e, senza dargli tempo per ribattere, lo trascinai scocciata fino all'auto parcheggiata nel vialetto.

Per tutto il tragitto, sperai davvero che mio padre evitasse qualunque commento sulla faccenda. Ma, ovviamente, per me sperare era diventato un tentativo vano.

Questa non è una storia d'amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora