21. Il mio amico gay non dichiarato

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Varcai la soglia dell'edificio a testa alta, cercando di destreggiarmi con naturalezza sui vertiginosi tacchi che avevo messo. Superai con sicurezza la scritta sulla parete, un grosso Murphy's & Co in neon luminoso. Mi sentivo carica. Non avrei commesso errori. Non di nuovo.

All'accettazione c'era di nuovo il ragazzo che mi aveva accolta l'ultima volta, con i capelli biondi sempre magistralmente pettinati e gli occhiali in bilico sul naso. Mi sorrise, come se mi stesse aspettando.

«Camille Cooper, giusto?» poggiò le mani sulla scrivania che ci divideva.

Io annuii, decisa. Sentii alcune ciocche della frangia sfuggire alla crocchia ordinata in cui avevo sistemato i capelli. Resistetti alla tentazione di soffiarle via.

«La signora Langdon mi sta aspettando.» dissi, tenendo le mani incrociate sul grembo.

Lui alzò un sopracciglio, per poi digitare qualcosa sul Mac che aveva di fronte.

«Ci deve essere un errore...»

Mi sentii raggelare.

«No. Mi ha... mi ha chiamato ieri. Voleva fissare un incontro.»

«Sì.» annuì il ragazzo. «Ma l'incontro sarà con il signor Murphy in persona. La aspetta nel suo ufficio. Secondo piano, prima porta a sinistra.»

Io boccheggiai.

«N'è... n'è sicuro?»

Lui mi guardò divertito.

«Se vuole posso dirgli che non va...»

«No! Per l'amor di Dio, no. Vado, vado.» farfugliai.

Lui ridacchiò, per poi indicarmi gli ascensori. Esitante, entrai in uno e premetti il pulsante del secondo piano.

Va tutto bene, Cami. Basta che tieni presente chi sei e ti comporti in maniera completamente opposta.

«Grazie, vocina. Tu sì che sei di aiuto.»

Le porte si aprirono davanti ai miei occhi. Strinsi le dita attorno alla mia borsa. A testa alta, attraversai il corridoio che si apriva davanti a me. Al fondo c'erano una scrivania e una porta. Non c'era nessuno, così mi feci avanti ed entrai.

Le pareti erano tappezzate di attestati. Eccellenze, articoli di giornale, foto con persone dall'aria vagamente asiatica.

E piante. Tante piante. Ovunque, di tutti i tipi. Piante grasse sugli scaffali, piante rampicanti sulle pareti, vasi enormi pieni di alberelli.

C'era un uomo, seduto alla scrivania posta al centro dell'ufficio. Si destreggiava goffamente fra il computer e un taccuino disordinato. Il telefono continuava a squillare.

«Adrien, per l'amor di Dio, non deve essere così difficile trovare un traduttore!»

Aveva la fronte corrugata, eppure sorrideva. Sembrava impegnato a fare mille cose contemporaneamente. Aveva la camicia perfettamente abbottonata e infilata nei pantaloni, ma la cravatta era storta. I capelli bianchi erano pettinati tutti di un lato, e portava un grosso paio di occhiali poggiati sul naso adunco.

«No, manca poco e... aspetta, ho un'altra chiamata. Eh? Appuntamento? Quale appuntamento?»

A quel punto, si decise finalmente ad alzare gli occhi. Io sorrisi, e lui ricambiò sorpreso. Puntò il cellulare verso di me. Poi si ricordò di mettere giù la chiamata.

«Tu devi essere l'appuntamento!»

«Mi chiamo Camille Cooper, signor Murphy. È un piacere per me conoscerla.» mi feci avanti.

Questa non è una storia d'amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora