41. Verginità

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Le settimane passarono veloci. Non mi ero resa conto di quanto mi fossero pesati gli ultimi mesi fino a quando non scoprii com'era non avere quel peso sulla punta dello stomaco. Passò Natale, e i soci norvegesi ritardarono la loro partenza per poter partecipare alla cena dell'ufficio. Convinsi Scott a non farmi regali, cosa che gli costò parecchia fatica. Mike portò Feng in un romantico weekend in Colorado a sciare, e Cressida e Harry continuarono ad uscire senza "darsi una definizione".

E fra me e Scott le cose andavano a gonfie e vele. Voglio dire, lui non mi presentava mai come la "sua ragazza", e io continuavo a farlo snervare con i miei commenti sarcastici su qualunque cosa. Avevamo trovato un equilibrio, anche se ogni tanto quell'equilibrio a lui sembrava non bastare. Mi rendevo conto che si sforzava di non farmi troppe pressioni, ma io a volte mi sentivo ancora in dovere di non lasciarmi troppo andare. Non l'avevo ancora presentato ai miei, ad esempio, e lui non mi aveva presentata a suo zio. Blue era tornata in Inghilterra e nessuno di noi due le aveva detto niente, anche se suppongo sospettasse qualcosa. Perfino in ufficio evitavamo effusioni davanti ai colleghi. E poi c'era un piccolo fattore insignificante.

Non avevamo ancora passato la notte insieme.

Voglio dire, dopo quella prima sera alla villa. Diciamo che la colpa era mia. Avevo sempre evitato che l'occasione si presentasse, ecco. Ogni tanto Scott mi invitava ad andare da lui a cena, o a vedere un film. E sapevo quello cosa significava. Avremmo fatto sesso - insomma, era inevitabile - e ci saremmo addormentati nel suo letto. Poi la mattina dopo lui avrebbe preparato la colazione, io avrei lasciato lo spazzolino da lui e boom, prima ancora di rendermene conto mi sarei trovata a vivere da lui.

Ero una fifona, ne ero consapevole, ma per la prima volta dopo mesi le cose stavano andando finalmente per il verso giusto, e io non volevo forzarle.

Unica nota dolente: i miei mal di testa continuavano a non lasciarmi in pace.

Quella mattina, prima di andare in ufficio, mi imbottii di aspirine. Presi l'ombrello che ormai stazionava accanto alla mia porta da più di un mese, visto che la pioggia non sembrava intenzionata ad andarsene, e corsi alla fermata dell'autobus.

Quando arrivai in ufficio trovai una festa. Letteralmente. Nella hall c'era un tavolo con degli stuzzichini, delle bibite e uno striscione con su scritto "ha det", ovvero "arrivederci" in norvegese.

Oh. Oh.

Subito sentii un sorriso allargarmisi sul volto.

«Cami!»

Henny venne verso di me, con un sorriso triste stampato sul volto. Mi abbracciò, e io la lasciai fare. Oh sì, la vita stava andando a gonfie e vele.

Non essere cattiva. Non ti ha fatto niente di male.

«E' un peccato doverci salutare così presto. Non vedo l'ora che sia l'anno prossimo per poter tornare qui per il bilancio annuale.» disse, tenendo una mano sulla mia spalla.

«Già.» mi sforzai di dire. Sperando di ritrovarla sposata e con qualche bel pargolo in arrivo.

Lei sorrise leggermente. Si guardò attorno, per poi spingermi leggermente a lato.

«Sai, credo di doverti delle scuse.» ammise.

Io la guardai sorpresa. E chi se lo aspettava?

«Cosa?»

«Per Scott.» continuò. «Ammetto che all'inizio ci ho provicchiato un po'. Voglio dire, è un ragazzo fantastico. Ci ho messo un paio di giorni a capire che eri innamorata di lui.»

Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.

«C-cosa?»

«Ma sì! Io glielo dicevo di smetterla di fare il codardo e fare la sua mossa, ma lui non mi ascoltava. Continuava a ripetere che tu non eri interessata eccetera eccetera...» alzò gli occhi al cielo. «Che ci vuoi fare, uomini

Questa non è una storia d'amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora