22 | "VOLEVO DIRTI CHE MI MANCHI"

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Jimin era sdraiato sul divano con la testa appoggiata sulle gambe di Taehyung, intento a giocare alla play con Jin. Ogni tanto Taehyung appoggiava il joystick sul bracciolo del divano e giocherellava con i suoi capelli, scambiandosi occhiate preoccupate con il più grande dall'altra parte del salotto. Credevano che non se ne accorgesse, ma Jimin li notava sempre, i loro occhi traboccanti di apprensione cercarsi anche a metri di distanza con cautela. Era passata una settimana dalla sfuriata di Yoongi al Full Moon e Jimin era ricaduto nel baratro dell'autocommiserazione da cui era a malapena riuscito ad uscire nelle ultime settimane. Sembrava essere tornato il Jimin post rottura con Yoongi, quello che a malapena si alzava dal letto per buttarsi sotto la doccia e che non si presentava a lavoro. Questa volta Jin aveva interpretato il ruolo del migliore amico e non più quello del datore di lavoro e gli aveva permesso di prendersi una pausa dal locale. Con pausa in realtà non pensava allo stare tutto il giorno sul divano di casa sua a guardare programmi scadenti in televisione e a mangiare cibo spazzatura. Eppure quello era il modo che Jimin aveva di processare la perdita, la seconda in così poco tempo, e di far fronte al dolore. Jin non era sicuro che avrebbe funzionato e nei giorni precedenti aveva provato a parlarne con l'amico, ma non c'era stato niente da fare.

Jimin, dal canto suo, sarebbe soltanto voluto tornare indietro nel tempo. A prima di rivedere Yoongi, a prima di quella maledetta chiamata che aveva crepato la sua corazza, a prima del tradimento, forse addirittura a prima di essersi lasciato trascinare in quella relazione senza capo né coda, a prima di averlo conosciuto. A prima, quando tutto era più semplice e il cuore non faceva così male e non sembrava smettere di battere così tanto spesso. A prima, quando il contorno sbiadito della figura di Yoongi non si stagliava continuamente e con prepotenza nei suoi sogni e nei suoi incubi, rendendogli pesante la testa sul cuscino e impedendogli di dormire. A prima, quando l'unica cosa di cui doveva preoccuparsi era cercare di arrivare in orario al locale per riuscire a pagare l'affitto e attaccare senza nemmeno pensarci quando i suoi genitori cercavano di chiamarlo.

In quei giorni non aveva smesso per un attimo di ripensare alle parole di Yoongi, alla rabbia e alla sofferenza che gli offuscavano gli occhi, alle mani strette in due pugni che si schiantavano sul legno del tavolino, alle labbra serrate e livide, alle sue mani incastrate in quelle di un altro ragazzo. Riviveva quella scena costantemente e nei minimi dettagli, come un brutto film che viene riprodotto all'infinito. La notte faticava a chiudere gli occhi, per paura che la voce furiosa e delusa di Yoongi lo svegliasse all'improvviso. Gli era successo, il giorno dopo l'incontro. Si era svegliato sudato nel suo letto, arrotolato tra le coperte che quasi lo soffocavano. Le lacrime gli bagnavano le guance e il suo corpo era scosso da sussulti silenziosi dovuti al pianto. Era rimasto in quella posizione fino all'alba, con gli occhi spalancati a fissare il soffitto nel terrore di riaddormentarsi. Quando poi si era alzato, aveva buttato due cambi in un borsone e si era spostato a casa di Jin, con la scusa di non voler rimanere solo.

«Cavolo, Jin hyung! Smettila di far fuori i miei compagni!» Taehyung lanciò un cuscino addosso al castano, che scoppiò a ridere rumorosamente.

Jimin sbuffò annoiato, sottraendosi alle carezze dell'amico come scottato. «Vado a farmi una doccia» sussurrò, alzandosi con fatica dal divano.

«Era ora!» esclamò Taehyung, sollevando le braccia in aria teatralmente. Jimin gli tirò uno sberlotto e si recò poi in bagno, chiudendo la porta a chiave alle sue spalle.

Sospirò affranto, lasciandosi scivolare a terra con la schiena contro il muro caldo. Aprì l'acqua e la lasciò scorrere per qualche minuto, prima di spingersi sotto il getto gelido. Si passò le mani sul viso, lasciando che le gocce di acqua si confondessero alle lacrime. Lo aveva perso. Aveva perso Yoongi. Lo realizzò in quel momento e quella consapevolezza lo lasciò con l'affanno e il fiato corto. Quando si erano lasciati, c'era sempre stato il pensiero che prima o poi sarebbero tornati insieme e tutto si sarebbe aggiustato, che lui era soltanto a pochi metri di distanza e che ormai, in cuor suo, lo aveva perdonato e, un giorno o l'altro, sarebbe riuscito a riaccoglierlo nella sua vita a braccia aperta. Ora, però, era stato Yoongi stesso a chiuderlo fuori, a serrare le porte e a stringersi da solo in un abbraccio silenzioso, impedendogli di buttarsi a capofitto tra le sue braccia, per seppellire il volto nell'incavo del suo collo e sentirsi per sempre al sicuro. Le lacrime cominciarono a scendere con più insistenza, facendogli girare la testa. Si sostenne appoggiando una mano al vetro appannato della doccia e si costrinse a respirare profondamente, con i polmoni ormai quasi svuotati che bruciavano.

Quando uscì dalla doccia, si strinse un asciugamano intorno alla vita e dopo aver spalancato le finestre, per far in modo che il vapore si dissolvesse e l'aria tornasse a circolare, raccolse il suo cellulare da terra. Sapeva che era un errore e che non avrebbe dovuto farlo, perché in quel casino ci si era cacciato da solo. Eppure fece partire la chiamata, pur sapendo come sarebbe andata a finire. Gli sarebbe bastato sentire di nuovo la sua voce, anche per soli pochi secondi, per riprendersi. Ma Yoongi non rispose e la voce della segreteria telefonica gli sembrò particolarmente fastidiosa. Richiamò altre tre volte, prima di arrendersi. Digitò velocemente un "ti prego richiamami", da cui emergeva tutta la sua insofferenza e l'urgenza che aveva di parlargli e vederlo e realizzare che tutto quello era solo uno scherzo, un brutto sogno da cui si sarebbe risvegliato presto.

Quella sera Jin e Taehyung decisero di tenere chiuso il locale e lo trascinarono a forza in una discoteca del centro di Hongdae. Jimin passò la prima ora e mezza seduto su uno sgabello a dir poco scomodo al bancone, con lo sguardo stranito del barista appiccicato su di sé. Bevve qualche drink di troppo e controllò il cellulare ogni minuto, senza trovare però alcun messaggio, né tantomeno alcuna chiamata persa. Prima di lanciarsi in pista per seguire il consiglio dei suoi amici e lasciarsi andare, lasciò un messaggio in segreteria a Yoongi. Il giorno dopo non se ne sarebbe ricordato e sicuramente Yoongi non lo avrebbe nemmeno ascoltato, quindi tutto sarebbe andato avanti normalmente e non c'era niente di cui preoccuparsi. «Ciao, hyung. Ti avevo chiesto di richiamarmi, ma-» sbiascicava un po' e faceva fatica a mettere insieme delle frasi coerenti, perché l'alcool aveva iniziato a fare effetto e gli offuscava la mente. «Sì beh, ti avevo detto richiamami, ma non l'hai fatto.» Si fermò un attimo per pensare a cosa dire. «Sono in un locale e dovrei divertirmi, ma non riesco a smettere di pensarti e di pensare a quella volta in cui ti sei ubriacato marcio e poi hai vomitato nel mio bagno.» Rise a voce alta, attirando gli sguardi curiosi e divertiti della gente. «Oggi ho pianto, hyung» sussurrò poi, ridacchiando, e si rese a malapena conto del fatto che quello fosse un discorso sconclusionato e senza senso. «Ho pianto per colpa tua» strascicò quel tua con tono accusatorio e se Yoongi fosse stato davanti a lui, in quel momento, gli avrebbe puntato un dito contro come fanno i bambini. «E volevo dirti un'altra cosa, però non me la ricordo ora» continuò a ridere da solo e quasi cadde dallo sgabello quando cercò di alzarsi, mentre ingoiava l'ennesimo bicchierino di rum. «Forse sono un po' ubriaco, ma giusto un poch-». Jimin non riuscì a finire di parlare, perché il suono della segreteria che si interrompe lo costrinse a fermarsi. Chiuse la chiamata e aprì la chat con Yoongi. L'ultimo messaggio risaliva a mesi prima e se non fosse stato completamente sbronzo probabilmente si sarebbe fermato a rileggere tutte le loro vecchie conversazioni. Invece lo era, era completamente andato e nemmeno si accorse delle sue dita che premevano distrattamente e goffamente i tasti sullo schermo. Osservò la rotellina girare sotto quel "volevo dirti che mi manchi" pieno di errori e lettere invertite. E quando vide la prima spunta apparire, capì che era troppo tardi. Era quel messaggio la cosa di cui più si sarebbe pentito la mattina successiva. 

AEROPLANINI DI CARTA | YOONMIN [#Wattys2019] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora