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buio. appariva così. nessuna luce, nessuna finestra, nessuna porta e nessuna parete. era un immenso sotterraneo, pietre grigio scuro ci circondavano, dando una sensazione di chiusura, nonostante fossi ben consapevole che così non era, per lui doveva esserlo.

lui, l'elfo indossava solo della stoffa intorno alla vita, per coprirgli l'intimità, per il resto era nudo, inginocchiato a terra, le braccia legate dietro la schiena, intorno ad una enorme colonna di pietra scura, non ne vedevo il vertice ma al momento non mi importava nulla. lo fissavo, mentre lui, sconvolto, si guardava intorno e mi lanciava occhiate spaesate. non capiva, non riusciva a mettere i pensieri uno dietro l'altro, attesi, non sapevo neanche io bene perché, ma attesi, ino a quando non mi fissò ad occhi sgranati, se prima era stato sconvolto ora lo era dieci volte tanto. spalancò la bocca e io seguii il suo sguardo sul mio corpo, quando mormoro un "Diana..." esitante. avevo indosso una veste bianca, piuttosto corta e scollata, attillata, sembrava più che altro un pezzo di stoffa quadrato che mi era stato legato dietro il collo, cucito sul didietro per non permettere alla corta gonna di mostrare il mio lato b a chicchessia. al collo avevo la mia solita collana rossa, il dono di Yami.

l'abito stava diventando rosso, vedevo il sangue uscire dal braccio dove tempo prima il coltello mi aveva colpita, sul petto, al altezza del cuore una macchia si andava allargando lentamente, dalla collana, l'unica cosa che aveva impedito alla magia di farmi del male immediatamente e aveva dato il tempo agli altri di capire cosa mi stava accadendo, grondava sangue, mi sfiorai le guance, che sentivo bagnate, lacrime di sangue che non mi ero accorta di star versando mi rigavano il volto e gocciolavano sui seni, aumentando le macchie che man mano stavano tramutando quell'abito da un bianco candido ad un rosso accesso. tornai a guardarlo, con lo sguardo, ne ero consapevole, carico di dolore, rabbia e odio. era la prima volta che odiavo qualcuno, la prima volta che desideravo far soffrire qualcuno, la prima volta che, dal profondo del mio cuore, ritenevo responsabile qualcun altro per le cose brutte che mi erano capitate nella vita, dalla prima all'ultima. quell'uomo mi aveva manovrata fin dalla nascita, mi aveva usata, aveva finto di starmi vicina, mentre, di nascosto, manipolava la mia vita per farmi diventare ciò che più gradiva. tutto, dal mio primo respiro a quel momento, era stata opera sua. il suo operato mi aveva resa sola, togliendomi ogni possibilità di farmi amicizie vere in gioventù, aveva voluto essere lui il mio porto sicuro. mi aveva tolto la fiducia negli altri, impedendomi di avere relazioni sincere con chiunque tranne egli stesso. era stato il mio unico punto di riferimento, aveva lavorato pazientemente per anni per diventarlo e ci era riuscito e tutto perché mi considerava una proprietà. urlai. semplicemente urlai, buttai fuori tutto il dolore, l'ira, la sofferenza e ogni brandello di emozione che provavo nei suoi confronti. sapevo cosa stavo facendo, sapevo che quell'urlo non era un semplice sfogo ma solo la prima delle armi che avevo a disposizione, e urlai, per quelle che mi parvero ore, senza mi smettere, senza mai prendere aria o rilassare le corde vocali, non che in quel momento ne avessi bisogno. lì potevo tutto. quella era la mia camera delle torture, il mio sogno delle torture.

non staccai gli occhi da lui, mentre, legato sempre più strettamente, con corde e catene che man mano si aggiungevano e lo bloccavano maggiormente, veniva investito da quello che provavo, veniva colpito come se fossero lame e non urla, lame che creavano tagli, graffi e profonde ferite in tutto il suo corpo.

non so perché smisi, ma lo feci. rimasi ferma a vederlo contorcersi, mentre i residui delle mie emozioni continuavano a scuotere la sua mente e il suo corpo. non avevo idea di cosa dovesse provare, o se provasse qualcosa in particolare, qualcosa che non fosse mio. non sapevo se stesse reagendo in qualche modo a tutto il dolore che gli avevo lanciato contro, prendendosi qualche responsabilità per esso, se avesse capito che era stato lui a creare quello dento di me, se ne fosse dispiaciuto o se, più semplicemente, mi stesse odiando per averglielo dato, per averlo colpito in quel modo. lo guardavo contorcersi e, stranamente, la cosa non mi dava alcun genere di sensi di colpa o rimorso. il suo dolore non era niente e il fatto che ciò non mi turbasse mi lasciava indifferente, quando ero più che consapevole che in altri ambiti non la avrei pensata così, e che con ogni probabilità quella situazione sarebbe cambiata ben presto. non avevo mai fatto del male a nessuno, mai consapevolmente, mai in quel modo, così fisico e psicologico.

quando si fu calmato feci alcuni passi verso di lui, solo un paio, avvicinandomi e lasciando alle mie spalle una scia di sangue che non aveva smesso di scendere fino a creare una pozza ai miei piedi, dopo avermi ricoperta. aspettai che mi guardasse, lo scrutai negli occhi, lucidi per le lacrime che non era riuscito a trattenere "Perché?" biascicò con la voce rotta e roca per le grida. lo fulminai con uno sguardo "Tu hai fatto questo" con un gesto delle mani gli indicai il mio corpo ricoperto di sangue, mi toccai il cuore con le mani "Tu hai creato questi sentimenti dentro di me, te li sto solo ridando" avanzai abbastanza da potermi mettere in ginocchio di fronte a lui, gli poggia dolcemente una mano sulla guancia "Mi hai fatto male quando la mia vita era accanto a te e hai continuato quando ero lontano da te. volevo solo vivere, con loro, io li amo, per quanto ne sia in grado a causa tua, ma a te non bastava quello che mi hai fatto, hai continuato, e hai fatto anche di peggio quando hai capito cosa sono davvero" sgranò gli occhi, aprì la bocca per parlare ma non gliene diedi il tempo "Ora è il mio turno" lo informai "ora tocca a me e ho deciso di dire basta. hai esagerato." cambiai la posizione della mia mano sul mio viso, sentivo le dita cambiare forma, allungarsi, così come le unghie, non appena fui in posizione gli conficcai gli artigli alla base della mandibola, nella tenera carne del palato, cercò di gridare dal dolore, ma no poteva, le mie unghie perforavano come burro strati di carne, muscoli ed ossa, arrivando al cervello, immettendo in esso gli avvenimenti degli ultimi giorni, almeno i parte, le parti che sceglievo. la maledizione dell'elfo durante la conferenza stampa, il rapimento, la prigionia l'attentato di anni prima "Tu hai causato tutto questo, tu e la tua gente ed ora basta" gli soffiai sul viso, con voce dura ed infuriata.

avrei voluto continuare, continuare per sempre, ma non potei. mani salde mi scostarono, voci mi chiesero di fermarmi e pian piano venni tirata indietro. non ero più sola, con me c'erano persone che conoscevo e che non avevo mai visto. lui, vestito con una specie di vesta militare, rosso sangue mi teneva tra le braccia, ci circondavano un gruppo di persone, riconobbi sogno, e altre donne che avevo visto, poi una di loro fece un paio di passi avanti, la prima del trio del benvenuto, come lo avevo rinominato, quella vestita di nero, la prima che mi aveva parlato, si era fatta avanti, frapponendosi tra me e il mio obbiettivo. si voltò per lanciarmi un sorriso "adesso basta, il tempo è giunto per entrambi" sapevo cosa significava, stavamo per svegliarci, lo avrei percepito se non fossi stata così concentrata sul fargli male. lei si voltò di nuovo verso di lui, vedevo solo i suoi lunghi capelli neri accuratamente legati nella solita acconciatura "Grazie" gli disse lasciandomi basita "nessuno di noi ci è mai riuscito, solo il primo rosso si era risvegliato completamente, quindi grazie." l'elfo la fissò sconcertato, se possibile quanto me "sangue è la nostra via di comunicazione, i due sangue mettono in comunicazione noi donne con le nostre controparti maschili nei sogni, e sempre hanno avuto solo questo scopo, hanno potuto solo questo, siamo stati troppo pacifici per il resto, sangue è vita, i suoi amanti lo hanno risvegliato in lei, ma è anche morte, cosa che non è mai stato prima. ciò che le hai fatto, il modo in cui la hai fatta soffrire, lo ha svegliato. quindi grazie per averci dato la nostra unica possibilità di esistere ancora." fece una pausa "Grazie per averci permesso di accedere alla crudeltà, ognuno di noi, in ogni generazione, potrà finalmente fartela pagare a te e alla tua gente per ciò che ci avete fatto." non riuscii a fare nulla, dire nulla. tutto cominciò a sbiadire e in pochi attimi ero sveglia, nel mio letto, accanto a me un nugolo di persone che mi fissavano con espressioni scure.

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