14. Presagi

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Tre giorni prima

Avevano deciso di andare a trovare Anne a Kensington, e Juliet era più che entusiasta di rivedere la sorella maggiore. Il momento del parto non doveva ancora essere giunto, ma mancava poco al lieto evento, e i suoi genitori avevano il desiderio di assistere la figlia maggiore fino al giorno della nascita. Sarebbero rimasti qualche settimana. Juliet aveva cercato di accantonare il dispiacere di non rivedere Christopher pensando ad Anne, che non vedeva da tempo, ma nemmeno quello era riuscito a risollevarle un po' il morale. Si era arrovellata sul comportamento del duca per i tre giorni successivi al loro ultimo incontro, pur sapendo che non avrebbe potuto né avrebbe dovuto aspettarsi altro da un uomo di un lignaggio di gran lunga superiore al suo; Christopher Morgan era un duca, un duca che l'aveva baciata disperatamente, qualcuno che comunque non avrebbe mai sposato una come lei. Nell'ingenuità della sua giovane età, Juliet aveva creduto solo per un attimo che lui avrebbe cominciato a corteggiarla dopo quel bacio... pensiero che l'aveva abbandonata quella sera stessa. Si era data della sciocca, era un'illusa, una povera ragazzina che era caduta nella trappola di un duca. Aveva cercato di accantonare quel pensiero, di dimenticare quel bacio, il momento in cui tutto il resto era sparito per lasciar spazio solo a loro e a quei corpi che, per alcuni istanti, si erano sfiorati e assaporati, eppure ci era riuscita a stento. Christopher rimaneva un chiodo fisso dentro la sua testa, quasi un'eco lontana che ogni tanto riemergeva con prepotenza senza lasciarle scampo.

Quando la carrozza partí, quella mattina tardi, lei indossava un abito blu indaco a fiori e un paio di stivali per cavalcare. Era sicura che a Kensington non avrebbe trovato altro con cui passare il tempo, dopo che avesse salutato Anne e suo marito e avesse scambiato qualche parola con sua sorella sul suo stato di dolce attesa. L'equitazione era una passione che aveva ereditato da suo padre, l'unica cosa che avessero mai avuto in comune.
Juliet rammentava che, quando aveva appena dieci anni, John Palmer aveva bussato alla porta della camera che condivideva con Anne e le aveva annunciato che aveva una sorpresa per lei. Eccitata, la piccola Juliet l'aveva seguito fuori fino alla stalla, dove poi aveva scoperto che la sorpresa era una giovane giumenta grigio scuro. Suo padre l'aveva messa in guardia che era un po' ribelle, ma che, per affinità di carattere, sarebbe andata bene per Juliet. L'aveva chiamata Angel, perché assomigliava a un angelo, diceva lei, anche se tutti vedevano solo il suo lato prepotente. Juliet e Angel erano cresciute insieme, letteralmente; lei aveva imparato a sue spese che salire su un cavallo non era una passeggiata, e Angel aveva acquisito la saggezza degli stalloni più anziani, adottando un carattere calmo e affettuoso con la ragazza. Adesso, Angel era una vecchia giumenta che non riusciva a muovere più di qualche passo, rintanata nella stalla insieme all'altro stallone di John Palmer.

Anne doveva possedere altri cavalli, supponeva Juliet, acquisti dal matrimonio con suo marito che, a detta di lady Amanda, era un uomo di modesto lignaggio. Non come Christopher, rifletté quando le parole di sua madre le tornarono alla mente durante il viaggio; di sicuro no. Allora cercò nuovamente di allontanare quel ricordo dalla sua mente, concentrandosi sulla collana che sua madre indossava e che lei non aveva mai notato. Era una lunga sequenza di perle color dell'ametista, un colore insolito per la donna che di rado indossava qualcosa di colorato. Abiti, accessori e scarpe si riducevano sempre a soli due colori: bianco e grigio.

—Da dove viene, madre?— chiese Juliet indicandola con lo sguardo.
Lady Amanda si portò involontariamente una mano al collo, accarezzando la superficie di una perla. Gli occhi le si inumidirono appena quando rivolse un sorriso alla figlia. —Era di mia nonna— rispose. —Me ne fece dono quando lasciai la casa di mio padre per sposare il tuo. Era l'unico oggetto prezioso che possedesse e scelse di regalarmelo, così che io potessi ricordarmi di lei e di quello che aveva fatto per me. — Sbatté le palpebre forse per scacciare il pianto. —Ma sai, Juliet, mia nonna avrebbe dovuto sapere che mi sarei sempre ricordata di lei a prescindere da questo dono.

Juliet lo sapeva. La nonna di sua madre, Genevieve, era rimasta vedova subito dopo aver dato alla luce il padre di lady Amanda e aveva cresciuto la nipote come fosse una figlia. Aveva sempre desiderato una femmina, ma la natura non era stata clemente, almeno per una generazione; quando era nata Amanda, Genevieve aveva investito tutti i suoi averi, gli insegnamenti e le cure nella crescita di quell'amata nipote, e la madre di Juliet era così diventata la donna amorevole e materna che era tutt'ora. Amanda doveva molto a Genevieve, così come Juliet lo doveva a lei.

Sorrise. —È davvero bella— disse. —Dovreste indossarla più spesso.
Lady Amanda si lasciò sfuggire un sospiro. —La indosso solo in occasioni speciali. Come il matrimonio di Anne, il tuo e il suo battesimo, e...
—E il nostro matrimonio— aggiunse John Palmer con un piccolo sorriso. Juliet non riusciva a credere di vederlo sorridere accanto a sua madre; accadeva raramente, e fu sufficiente quel gesto per ridare un po' di luce anche ai suoi occhi. —Sí— mormorò lady Amanda toccando un ginocchio del marito. —Anche in quell'occasione.
—Me lo ricordo— continuò John, —era l'oggetto che spiccava di più in assoluto in mezzo a tutto quell'ammasso di pizzo e merletto bianco.

Entrambi risero e Juliet si unì a loro. Era un piacere vederli così sereni, una volta tanto. Lei in fondo poteva capirli: stavano per rivedere la figlia maggiore dopo tanti mesi e, nonostante quanto entrambi si sforzassero di non darlo a vedere, sapeva quanto soffrissero per la sua mancanza. Anne era sempre stata una boccata d'ossigeno nelle loro vite, e anche in quella di Juliet. Era dolce, buona, altruista, e sapeva cosa dire in ogni occasione, dispensava consigli saggi sulle cose più improbabili e non si arrabbiava mai. Un angelo, avrebbe potuto definirla qualcuno, ed era bella anche come un angelo. Juliet cercò di non paragonarsi per l'ennesima volta alla sorella, ma, quando fece per aprire bocca per cambiare argomento, la carrozza si impennò di colpo. L'impatto scaraventò Juliet contro le ginocchia di suo padre che, gli occhi sbarrati e la fronte aggrottata, voltò il capo verso l'alto e con il bastone bussò sul tettino.
Juliet si tirò su, cercando di riprendere fiato, lanciando uno sguardo a lady Amanda che invece sembrava non essersi scomposta neanche un po'. Respirava solo più rapidamente, ma le mise una mano sulla spalla per rassicurarla. —Va tutto bene, tesoro, avremo preso una buca o qualcosa del genere.

—Lincoln, cos'è successo?— gridò John Palmer scostando la tendina dal finestrino. Il cocchiere non rispose subito. Juliet si fece più vicina alla madre, una strana sensazione che piano piano cominciò a impossessarsi del suo corpo. All'improvviso sentiva freddo, ma sapeva che era impossibile che i brividi fossero dovuti a quello; no, c'era qualcosa di insolito la fuori, qualcosa che non aveva niente a che vedere con il tempo.

John Palmer si fece irrequieto. —Maledizione, Lincoln, rispondi!
Silenzio. Lady Amanda divenne improvvisamente conscia di cosa quel silenzio significasse, così come suo marito. Juliet pregò che le loro supposizioni non corrispondessero alla verità, ma il cuore le saltò un battito quando le giunse alle orecchie la voce flebile e intimorita di Lincoln dall'esterno.

—Banditi!—

- IN REVISIONE - Loving Juliet.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora