Capitolo 19 (ULTIMO)

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Passarono mesi e vivere con mio padre era diventato ormai insopportabile.
Aveva incominciato a trattarmi come se fossi spazzatura. Ero la sua unica figlia, aveva già pianificato tutta la mia vita, dall'inizio alla fine, ma non si aspettava che in quel mio futuro programmato ci sarebbe stato un bambino prima dei tempi da lui prestabiliti. Volava che abortissi, ma io non volevo, doveva essere una mia scelta, non sua.

Una sera mi arrabbiai talmente tanto che uscii di casa, chiamai Lorenzo e mi feci venire a prendere, da lì incominciai a perdere i contatti con mio padre.

Avevo smesso di andare a scuola, la gente aveva incominciato a notare, a bisbigliare, ad inventarsi le loro ridicole versioni. "È stata stuprata dal padre ecco perché non vive più lì" era la più assurda, quasi mi veniva da ridere a sentirla. La gente non fa altro che parlare e parlare, senza sapere. Hanno sempre bisogno di distrarsi dalle loro vite noiose.
" È dell'ex di Nadia, è per questo che si è suicidata", un'altra cavolata.
Stare lì dentro mi soffocava, troppa gente incoerente, senza coraggio, che si nasconde dietro a dei bisbigli fastidiosi.

Mi era sempre capitato di sottovalutare troppo le persone, soprattutto Lorenzo, che mi aveva sorpresa, era sempre disponibile e preoccupato per ogni mia singola esigenza, i suoi invece erano anche loro scettici inizialmente ma, contrariamente a mio padre, mi sostenevano e anche troppo.
Stare da loro mi aveva reso più serena e meno dubbiosa sul fatto di tenere o no il bambino.

Quando scoprii che era una bambina saltai dalla gioia, non vedevo l'ora di tenerla in braccio, crescerla, insegnarle tante cose, farle vedere il mondo in una prospettiva molto diversa da come la vidi io. Non vedevo l'ora di farle vivere in un mondo più bello e colorato del mio, avrei fatto di tutto per non fare in modo che ripetesse i miei stessi errori, non vedevo l'ora di renderla felice, di crescere una brava persona, quello che i miei non sono riusciti a fare con me.

Vivevo costantemente con i dolori e con l'ansia di vedere quella piccola creatura, la mia piccola.

Lara mi veniva a visitare quando capitava e mi raccontava di mio padre che non chiudeva più occhio e non parlava più con nessuno, perché gli "mancavo " diceva, un po' mi dispiaceva ma non ci potevo far niente, ormai era andata così e non si poteva più tornare indietro; mi raccontava anche dei drammi a scuola e cavolate varie, ci facevamo molte risate e passare del tempo con lei mi piaceva, era la mia sorellina, alla fine non eravamo tanto diverse l'uno dall'altra, due spiriti ribelli che cercano di avere controllo su tutto e su tutti, ecco cos'eravamo.

Nove mesi di sofferenza erano finalmente ripagati da questa meraviglia.
Il giorno del parto si presentarono tutti, Lara, sua madre e i genitori di Lorenzo, l'unico che mancava era mio padre, non ci diedi caso inizialmente ma poi incominciai a sentire quel vuoto. Cercai di non darci molto peso, pensai "chissene frega, non ho bisogno di lui".

Il parto fu doloroso, una delle cose più faticose, spaventose ma meravigliose della mia vita. Dopo il parto svenni per quasi un'ora mi dissero, il mio corpo non riuscì a sopportare tutto questo sforzo, ma al mio risveglio ero molto addolorata, avevo la pressione molto alta e i medici non volevano che mi alzassi dal letto.

« Dov'è? » la prima cosa che chiesi. La volevo, e subito, era mia, la volevo tenere in braccio e non lasciarla più.
« Nell'incubatrice » mi disse la madre di Lara.
« Voglio andare a vederla »
« No signora, é ancora debole ha bisogno di riposo adesso » mi disse l'infermiera.

Passai tutta la giornata in pensiero, l'unica cosa che ricordavo era il suo pianto, suonava come una melodia armoniosa nelle mie orecchie, poi più niente, sembrava quasi un sogno, forse me lo ero immaginata, ma no, era reale, era più che reale. Lei esiste ma non ero ancora riuscita a vederla.

Dopo un po' venne Lorenzo da me. Aveva gli occhi lucidi, il viso arrossato, non riuscivo a capire se quello era un espressione di felicità o di tristezza.
« L'hai vista? » gli chiesi sorridendogli.
« Sì, è bellissima » mi accarezzò la mano.
« Perché non posso vederla ? »
« Dopo chiedo se puoi andare a trovarla »
« Perché non possono portarmela qui? »
« Ha un problema al cuore, ma i dottori hanno detto che starà bene »
Io feci un espressione un po' malinconica, non volevo che stesse male, si meritava tutta la felicità è la salute di questo mondo.

Qualche minuto dopo arrivò l'infermiera a controllarmi e ne approfittai subito per chiedergli se ero in grado di alzarmi per andare a vedere la bambina. Lei annuì e io saltai dalla gioia.

Mi alzai dal letto e lentamente mi incamminai insieme a Lorenzo verso la stanza dove si trovava l'incubatrice di mia figlia.
La famiglia di Lorenzo era lì ad ammirare quella meraviglia nelle sue prime ore di vita.

Era piccolissima, un angelo. Volevo prenderla in braccio, toccarla, accarezzare quel piccolo viso color caramello. Ma dovevo ammirarla da fuori.

Lorenzo era per metà sud africano da parte della madre, e quando vidi la bambina la prima cosa a cui pensai fu che lei fosse identica a lui: aveva i capelli scuri e ricci, la pelle leggermente abbronzata, labbra carnose e il naso che era un miscuglio tra il mio e quello di Lorenzo.
Era semplicemente meravigliosa. Non avrei potuto desiderare di meglio che lei, Ella , così decidemmo di chiamarla, Ella Victoria De Rosa.
Victoria, perché la madre di Lorenzo si chiamava Victoire, un nome francese, ci è sempre stata vicino e darle il suo nome era il minimo che potessi fare. Ella era invece il nome di battesimo di mia madre che morì quando avevo solo nove anni, é per questo che non esitai nemmeno un secondo per chiamare mia figlia così.

Passò una settimana e finalmente potei prenderla in braccio, era leggerissima e mi guardava con quei grandi occhioni blu, simili ai miei ma identici a quelli di mia madre.

Passarono mesi e io e Lorenzo prendemmo la nostra prima casa, un grande appartamento, spazioso e lussuoso, tre camere e tre bagni, un sogno.

Ella cresceva e diventava ancora più bella, intelligente, era una grande sognatrice a aveva spesso la testa tra le nuvole. Mi fermavo spesso ad ammirarla, era così al suo agio in ogni ambiente, con ogni tipo di persona, sempre dolce con tutti.

Fra un po' dovrà iniziare la scuola, relazionarsi con nuove persone, fare nuove amicizie e chissà, forse incontrerà una persona come Lorenzo o qualcuno come me che la prenderà in giro per i suoi bellissimi difetti.

Io non mi giustifico per la persona orribile che sono stata, per la mia immaturità, gelosia e rabbia verso tutto e tutti, ma che mi piaceva scaricare solo su una sola persona, quella che ai miei occhi sembrava più fragile, più innocente. Lei era la mia preda perfetta, lei non avrebbe mai reagito alla miei prese in giro, alle mie battutine fuori luogo e offensive. Nadia stava zitta, non so perché, io non mi sarei mai sottomessa a qualcuno, forse aveva paura di far soffrire me, e lasciava che io facessi soffrire lei.

Ora lei non c'è più e questo peso me lo porterò per sempre sulle spalle, l'unica cosa che posso e spero di riuscire a fare è quello di non far compiere a Ella i miei stessi stupidi errori, ma non voglio neanche che venga presa di mira da quel genere di persone.
Voglio che sia una persona rispettabile.

L'altro giorno ero andata a vedere la tomba di Nadia, era circondato di rose ormai appassite, e sopra c'era una una foto di lei da piccola, quando non si era ancora ammalata, i suoi cari volevano ricordarsi di quel viso paffuto e sorridente, non di quello scavato e malinconico.

Non si può più tornare indietro, ma andare avanti, godersi ogni giorno, ogni singolo istante  è prezioso e non ritorna più, dobbiamo cercare di renderlo speciale e unico, è una delle cose più difficili da fare ma soddisfacenti.

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