Io e tutti gli altri ragazzi che si sono dichiarati immediatamente disponibili a iniziare l'attività di volontariato siamo riuniti fuori dalla sede dell'associazione. Si tratta di un vecchio palazzotto bianco che dà su una delle principali vie nel centro della città. Si sviluppa su due piani, ma da quanto ho capito noi volontari abbiamo a disposizione solo un paio di sale al suo interno. Le altre sono adibite ad assemblee comunali o di altro genere.
Ellen Clarke, la ragazza che è venuta a parlarci a scuola di questo progetto, ci invita ad entrare con un gesto della mano. Io e gli altri quattro ragazzi- una certa Alyssa del primo anno, due ragazze che finora si sono limitate a parlare fra di loro e, ahimè, Harvey- seguiamo Ellen nell'atrio dell'edificio.
Firmiamo a turno il foglio delle presenze al bancone di legno che funge da reception, poi ci incamminiamo con Ellen giù dalle scale che fiancheggiano uno stretto ascensore.
- Non usatelo mai.- ci avvisa indicandolo.- Ha più o meno la mia età e il rischio che rimaniate bloccati al suo interno è più sicuro del sole che sorge a est.
Mentre scendiamo le scale, cerco di scambiare qualche parola con Alyssa. L'ho appena conosciuta, dunque posso chiederle di tutto: dai professori ai corsi che frequenta, dalle attività extracurricolari che svolge a un generico e banale commento sul tempo. Qualsiasi cosa pur di evitare che Harvey mi rivolga la parola.
Ad un tratto ci ritroviamo in una sala molto ampia, dal soffitto basso. Alle quattro pareti sono accostate varie scrivanie inserite all'interno di piccoli cubicoli, mentre al centro si estende un grosso tavolo di legno coperto da un caotico miscuglio di fogli di carta, cartellette, buste e quotidiani dei giorni passati.
- Questa è la mia postazione.- spiega Ellen riferendosi al disordinato tavolo di legno.- Ora che ci siete voi, io starò qui la maggior parte del tempo per schedare documenti, stendere programmi di sensibilizzazione o volantini da distribuire nelle scuole. Potrete venire qui ogni volta che avrete un problema, o volete fare una pausa, o semplicemente per scambiare due chiacchiere.
Giriamo attorno al tavolo e ci dirigiamo poi verso il primo cubicolo.
- Oggi gli altri volontari sono tutti impegnati, dunque la sala è tutta per voi.- continua Ellen.- A ognuno verrà assegnata una scrivania, sulla quale troverete un telefono, una penna, un bloc-notes e un paio di cuffie. Tutto ciò che dovete fare è aspettare che il vostro telefono suoni, rispondere e ascoltare ciò che la persona dall'altro capo del telefono ha da dirvi. Vi do un paio di dritte a proposito: non prendete sul personale niente di quello che vi verrà riferito, rispettate in ogni caso la privacy dell'interlocutore, dimostratevi interessati e sganciatevi da qualsiasi pregiudizio su nazionalità, sesso ed età. Potrebbe chiamarvi il fattorino diciottenne Alì o una madre in depressione post parto. Pesate con attenzione le parole e date consigli solo se vi sentite in grado di farlo, altrimenti limitatevi all'ascolto, che già di per sé è un grande aiuto per queste persone, ve lo assicuro.
Detto questo, Ellen assegna una scrivania ad ognuno di noi. Una volta entrati nel cubicolo, non si sente quasi nulla di ciò che sta succedendo in quello a fianco. Mi guardo un attimo attorno prima di sedermi, ma in realtà non c'è molto da vedere. Sul piano della scrivania, in un angolo, è appoggiato un piccolo vaso di fiori finti. Riconosco subito il candore dei bucaneve, i fiori che simboleggiano tenacia nascosta e forza interiore; un buon auspicio direi, date le circostanze.
Mi lego i capelli e mi siedo alla scrivania, in attesa che il telefono di fronte a me squilli. Dopo circa mezz'ora passata a fissare una macchia particolarmente interessante sul muro, finalmente il telefono suona, interrompendo il silenzio del cubicolo con un trillo cristallino.
Mi affretto ad appoggiarmi le cuffie sulle orecchie e poi rispondo, cercando di mantenere la voce salda e sicura.
- Buongiorno, è in linea col servizio del Telefono Amico. Come posso aiutarla?
La voce femminile dall'altro capo del telefono è titubante, incerta, quasi spezzata dalle lacrime. In breve la mia interlocutrice mi spiega che è appena stata lasciata dal suo ragazzo, dopo una relazione di sette anni che ha segnato tutta la sua adolescenza.
- Ora non so più cosa farne della mia vita. Non ho più uno scopo, sono diventata un automa che si sveglia a mezzogiorno, mangia e ritorna a letto in attesa dell'ora di cena.- mi spiega scoppiando a piangere.- Ho proiettato su di lui tutta me stessa. Ho sempre messo la sua felicità in primo piano, addirittura prima della mia.
Mi spiega poi che ha perso la voglia di studiare, vorrebbe mollare l'università ma d'altro canto non vorrebbe deludere i suoi genitori.
Si lancia poi in un monologo in cui passa dal descrivere il suo attuale stato d'animo alle sue preoccupazioni per il futuro. Io rimango ad ascoltare attentamente per tutto il tempo, facendomi coinvolgere a tal punto da essere quasi scossa quanto lei alla fine della conversazione.
Provo a rassicurarla per quel che posso, rincuorarla, infonderle fiducia nel futuro e speranza che questa situazione negativa si possa risolvere al più presto.
A questo punto mi ringrazia e interrompe la conversazione a malincuore perché deve andare via. Cerco di incoraggiarla fino alla fine e di indurla ad assumere un atteggiamento più positivo, pur senza reprimere le sue attuali emozioni.
Circa cinque minuti dopo aver abbassato la cornetta, il telefono squilla nuovamente.
- Buongiorno, sta parlando col servizio di Telefono Amico. Come posso aiutarla?
- Ciao. Io ehm...- balbetta una voce maschile evidentemente imbarazzata.- È la prima volta che faccio questo genere di cose. Posso... posso darti del tu?
- Certamente. Allora, di cosa vorresti parlare?
- Io ho bisogno di confidarmi con qualcuno. Al momento non mi fido abbastanza delle persone che conosco per poter rivelare loro il mio problema, perché temo il loro giudizio e come potrei poi apparire ai loro occhi.
- Io non ti giudicherò, né ti costringerò a rivelare alcunché. Sei libero di raccontarmi quel che ti va, come ti va.
- Certo, grazie. Io, ehm...- segue una breve pausa.- Io ho un problema che mette in difficoltà la mia stessa vita. Ti sembrerà banale, stupido, fuori dal mondo, ma io questo problema ce l'ho veramente, e per colpa di ciò vivo malissimo, talmente male che per non impazzire devo essere ubriaco per la metà del tempo e fatto per l'altra metà. Vedi, io non riesco a distinguere i sogni che faccio dalla realtà.
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Venom// Jonah Marais Why Don't We
FanfictionAmore è solo una parola, ma tu porti la definizione.