Non appena mi siedo alla scrivania, mi rendo subito conto che non ci rimarrò a lungo. Apro il libro di fisica e inizio a leggere un paragrafo mordicchiando l'estremità della matita. Mi muovo sulla sedia, inquieto, mentre ricomincio a leggere perché non mi è rimasto in testa nulla. Al terzo tentativo, ormai il mio sguardo vaga sopra alla scrivania, oltre il vetro della finestra e su, verso il cielo plumbeo e un uccello nero solitario che vola in cerchio sopra al tetto della casa di fronte.
Chiudo il libro con un gesto secco, mi alzo di scatto dalla sedia e afferro le chiavi dell'auto. Avviso Esther che sto uscendo, poi, senza aspettare una risposta, mi richiudo la porta alle spalle e salgo in macchina. Guido fino al negozio di fiori della zia di Claire e, non appena trovo un posto libero, parcheggio l'auto. Mi passo una mano fra i capelli. Quando la ritraggo, mi accorgo che le mie dita stanno tremando leggermente. Prendo il pacchetto di sigarette che tengo sul cruscotto e ne accendo una, fumandola con la nuca appoggiata al poggiatesta per provare a calmare i nervi. Il fatto di non avere il pieno controllo della mia mente non fa che aumentare la mia ansia, che a sua volta mi appanna il cervello e non mi permette di averne il pieno controllo. è un circolo vizioso, un loop infinito. Be', non proprio infinito. C'è un modo per porre fine a tutto questo una volta per tutte.
Non è la prima volta che l'idea del suicidio si insinua fra i miei pensieri come un frutto acerbo in mezzo a un cesto di frutta matura e verdeggiante. L'unica differenza è che inizialmente cercare di opporvi resistenza significava mantenersi lontani a fatica da una tentazione tanto persuadente quanto agghiacciante, un bagliore di follia che intriga e atterrisce allo stesso tempo. Ora, invece, avverto anche qualcos'altro: il presentimento che forse adesso mi sto finalmente costruendo un'àncora a cui aggrapparmi con forza quando tutto l'universo sembra volermi trascinare giù. È un'ancora piccola e fragile, delicata, che va custodita con cura e protetta come un fiore raro, ma è tutto quello che ho al momento.
Solo quando la sigaretta finisce mi decido a scendere dalla macchina. Lancio il mozzicone sul ciglio della strada, in una pozzanghera sporca, per poi entrare nel negozio di fiori.
I cilindretti di vetro sopra alla porta precedono il mio saluto. Mi schiarisco la voce e mi siedo su una delle poltrone poste vicino al bancone, dietro al quale Claire e sua zia stanno lavorando insieme, fianco a fianco.
- Ciao, Jonah.- mi saluta Claire con un sorriso, alzando lo sguardo dal mazzo di fiori su cui sta lavorando.
Anche sua zia mi saluta, ma poi, con la scusa di dover andare a prendere qualche sorta di repellente, scompare nel retrobottega.
Io e Claire rimaniamo a guardarci negli occhi in silenzio. Ci studiamo, pensiamo a cosa dire, ci ripensiamo e cambiamo idea. Sono certo che nella sua testa lei stia facendo gli stessi pensieri.
- Cosa stai facendo?- domando alla fine, incuriosito dai movimenti rapidi delle sue mani.
- Sto togliendo le foglie dagli steli.- mi spiega, continuando il suo lavoro.- È per fare un bouquet da sposa.
Poi prende un fiore rosa chiaro e vicino ad esso posiziona una rosa bianca. Continua ad aggiungere fiori tutt'intorno fino ad ottenere un mazzo ordinato. C'è qualcosa nei suoi movimenti, forse la delicatezza con cui sfiora i petali o la familiarità con cui avvolge un nastro bianco intorno agli steli, come se l'avesse già fatto altre mille volte, che mi affascina e mi tiene gli occhi incatenati alle sue piccole mani bianche.
- Qual è il tuo fiore preferito?- mi domanda Claire ad un certo punto. Mi lancia un'occhiata fugace prima di riabbassare lo sguardo sul piano di lavoro.
- Non lo so.- mi stringo nelle spalle.- Forse dovrei fare uno di quei test di Facebook per sapere che tipo di fiore sono.
L'ombra di un sorriso le rischiara il viso, mentre aggiusta un po' i fiori prima di mettere da parte il bouquet.
- Secondo te quale dovrebbe essere il mio fiore preferito?- le rigiro la domanda.
Claire si pulisce le mani su un panno di cotone, aggrottando le sopracciglia come se si stesse concentrando.
- Non posso conoscere i tuoi gusti, sempre che tu ne abbia in campo botanico. Però posso dirti secondo me qual è il fiore che ti si addice di più.
Rimane in silenzio per un attimo, guardando un punto indistinto del bancone davanti a sé.
- Penso saresti una camelia.- dice infine lentamente, misurando le parole come se mi stesse dando una notizia d'importanza colossale.
- Cazzo, non me l'aspettavo. È una rivelazione per me, avrei potuto rimanerne scioccato.- scherzo.
Claire alza gli occhi al cielo esasperata, ma sta sorridendo.
- È considerata uno dei fiori più belli del mondo. Nella tradizione cinese, i suoi petali sono simbolo di raffinatezza, stabilità e devozione.
- Porca puttana, è una descrizione accurata della mia cazzo di essenza elegante e raffinata.
Lei mi fulmina con lo sguardo, così alzo le mani in segno di resa e la incoraggio a continuare con un gesto del capo.
- Esistono le camelie rosse, bianche e rosa.- aggiunge Claire, voltandosi per prendere un fiore in un vaso lì vicino. Asciuga lo stelo con delicatezza, poi lo recide a circa tre quarti dalla base e poggia la camelia rosa sul bordo del bancone.
Mi alzo e allungo una mano per prenderla, rigirandomela poi fra le mani.
- In generale la camelia rappresenta anche la bellezza perfetta non esibita e il sacrificio. Quella rossa è simbolo di amore e speranza, quella bianca di stima e gratitudine.
- E perché mi hai dato quella rosa?- domando un po' deluso. Avrei preferito quella rossa.
- La camelia rosa simboleggia il desiderio di avere la persona a cui la si regala più vicina.- abbassa la voce fino a ridurla a un sussurro.
- Tipo così?- bisbiglio, guardandola dritto negli occhi mentre metto le mani sul bancone e allungo il busto verso di lei, fino a che i nostri volti non si trovano a una manciata di centimetri di distanza.
- Forse così è ancora meglio.- mi corregge Claire, avvicinandosi un altro po', fino a quando le punte dei nostri nasi si sfiorano e i nostri respiri si mescolano.
Siamo così vicini che noto particolari del suo viso a cui non ho mai fatto caso, come le pagliuzze verdi nei suoi occhi marroni. Con l'indice le sfioro quasi impercettibilmente il neo sulla tempia destra, seguendo poi la spruzzata di piccole lentiggini dagli zigomi alla punta del naso. Scendo poi fino all'arco di Cupido, per poi posizionare l'indice sotto al suo mento, facendole alzare il viso. Un secondo dopo, azzero la distanza tra noi, chiudo gli occhi e faccio scontrare le nostre labbra.
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Venom// Jonah Marais Why Don't We
FanfictionAmore è solo una parola, ma tu porti la definizione.