Le pareti di vetro smerigliato della doccia sono offuscate a causa del vapore, ma non ci faccio caso. Chino la testa e chiudo gli occhi, lasciando che il getto d'acqua calda mi colpisca la testa e le spalle e scivoli giù lungo le braccia, il petto, le gambe. Rimango così per qualche istante, crogiolandomi in questo tepore confortante mentre cerco di liberare la mente. Mi sembra quasi di trovarmi in un non luogo, in uno spazio transitorio sospeso fra la realtà e una dimensione incorporea. Quando riapro gli occhi, l'incantesimo inevitabilmente si spezza. Esco dalla doccia, mi avvolgo nell'accappatoio e strofino i capelli con un asciugamano. Afferro i vestiti puliti appoggiati sul bordo del lavandino- una t-shirt grigia e un paio di jeans neri- e li indosso dopo essermi spruzzato un po' di colonia. Finisco di asciugare i capelli, mi do un'ultima occhiata allo specchio e poi esco dal bagno. Vado poi in camera per finire di prepararmi: mi lego le scarpe, indosso una giacca nera diversa da quella che uso ogni giorno per andare a scuola e infilo in una tasca il cellulare, mentre nell'altra un pacchetto di sigarette. Afferro infine le chiavi della macchina e scendo le scale per avvisare mio papà che sto uscendo. Lo trovo in soggiorno, seduto a gambe incrociate sul tappeto persiano, tutto intento ad osservare con attenzione alcuni spartiti ai suoi piedi. Devo schiarirmi la voce un paio di volte prima che noti la mia presenza nella stanza.
- Papà, vado da Loren. Dopo rimango a dormire là con gli altri, come al solito.
- Sai che non mi piace che tu resta fuori tutta la notte.
- Per favore, è l'ultima festa che organizza prima delle vacanze di Natale.
Mio padre sospira e scuote piano la testa.
- Jonah, io credo che tu debba iniziare a smetterla con queste cose. Non hai più quindici anni, dovresti iniziare a pensare al college e a trovarti un lavoro, anziché passare metà settimana o in discoteca o ad una festa a casa di qualcuno.
Il suo tono è pacato, ma preoccupato allo stesso tempo. Non trovo nemmeno il coraggio di rispondergli, perché so che ha ragione. Apro la bocca per sforzarmi di dire qualcosa, ma finisco col borbottare un "ci vediamo domani" prima di richiudermi la porta di casa alle spalle. Una volta salito in macchina, nel momento in cui inizio a fare manovra per uscire dal cortile, ho una sorta di inspiegabile crollo emotivo. Sento le lacrime accumularsi fino a offuscarmi lo sguardo mentre appoggio la fronte sul volante. C'era una nota di delusione e rassegnazione nella voce di mio padre che mi ha colpito come uno schiaffo. Non è la prima volta che nomina il college o che mi fa discorsi del genere; anzi, altre volte è stato molto più duro con me, quindi non saprei dire con precisione perché stavolta ha sortito un effetto diverso. Un messaggio da parte di Daniel che mi chiede dove cazzo sono visto che sono già le undici e mezza, mi riporta bruscamente alla realtà. Mi asciugo gli occhi con il dorso della mano e riprendo a guidare, immettendomi in strada e premendo sull'acceleratore fino a raggiungere il limite di velocità consentito. In poco più di dieci minuti mi ritrovo davanti alla villa dei Gray, la residenza più sfarzosa della città. Oltrepasso il mastodontico cancello di ferro battuto per andare a parcheggiare dietro alla villa. Persino da qui si sente il rumore- seppur attutito- della musica da discoteca che proviene dall'interno. Scendo dalla macchina e mi accendo una sigaretta prima di entrare. Nel frattempo la porta d'ingresso si apre e Loren sgattaiola fuori per venirmi incontro.
- Stavamo aspettando solo te.- mi saluta con un abbraccio.- Visto che Jack e Gabriela non potevano venire perché sono andati fuori a cena per festeggiare il loro anniversario, ho invitato qualcun altro.
- Del tipo?- domando, avvicinando la sigaretta alle labbra per un'ultima boccata prima di spegnerla nel posacenere accanto alla porta.
- Non ti preoccupare, è tutta gente che conosci, come Madelaine, Harvey, Lizzy e...
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Venom// Jonah Marais Why Don't We
FanfictionAmore è solo una parola, ma tu porti la definizione.