Jonah

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Tamburello le dita sul volante della macchina. Stamattina non sono andato a scuola. Non c'è un motivo particolare, avevo solo voglia di dormire qualche ora in più, così ho mandato un messaggio a Claire per avvisarla di non preoccuparsi se non mi avrebbe visto a scuola oggi. Ora la sto aspettando nel parcheggio del supermercato da ormai dieci minuti. La campanella dovrebbe suonare fra poco, così abbasso lo specchio di fronte a me per controllare di avere un aspetto decente. Claire mi sembra una ragazza molto composta e semplice, non vorrei farle una cattiva impressione fin da subito. Mi passo una mano fra i capelli per ravvivarli, metto in bocca una gomma alla menta e mi infilo i Ray-Ban neri che mi ha regalato mia sorella per il compleanno. Li tolgo subito dopo, temendo di sembrare uno spaccone.

Che idiota. La vado a prendere davanti a scuola a bordo di una Range Rover nera da centomila dollari e mi preoccupo che un paio di occhiali mi facciano sembrare uno spaccone. Senza pensarci due volte, mi affretto a girare la chiave per avviare il motore, per poi fare retromarcia e uscire dal parcheggio. Ho imparato che la mente è uno strumento molto pericoloso: non bisogna mai offrirle troppo spazio, altrimenti si innesta un circolo vizioso di pensieri che ci fanno perdere contatto con la realtà, facendoci piombare in una dimensione di auto compianto. Per questo quando mi rendo conto che sto iniziando a pensare troppo, mi focalizzo su un'azione e, per quanto semplice, mi impegno a concentrarmi solo su di essa. Per esempio, adesso sto cercando di occupare la mente con la sensazione del materiale sintetico del volante sotto alle mie mani, gli occhi puntati sulla strada oltre il parabrezza e l'aria dell'impianto di riscaldamento rivolta verso le mie gambe.

Rallento solo quando mi trovo davanti al cancello della scuola. A quanto pare la campanella deve essere appena suonata, perché degli studenti stanno già correndo per attraversare la strada, dove un autobus che ricorda più un omnibus di fine Ottocento sta per partire, avvolto da una poco rassicurante nube nera proveniente dal tubo di scarico.

Cerco Claire con lo sguardo, fino a quando non la vedo uscire da scuola con due amici. Non credo di averli mai visti, ma non ne sono sorpreso, visto che non faccio mai caso alla gente nei corridoi. Anzi, a dire la verità non so nemmeno chi frequenta i miei corsi.

Claire saluta i suoi due amici con un abbraccio veloce, poi esce dal cortile e si guarda un attimo intorno per localizzare la mia auto. Le faccio un cenno con la mano per catturare la sua attenzione. Non appena mi nota, attraversa la strada e fa il giro della macchina per sedersi sul lato del passeggero.

- Ciao.- mi saluta spalancando la portiera e appoggiando lo zaino ai piedi del sedile.- Come stai?

- Tutto bene, direi. Tu?

- Anch'io. Pensavo ti fosse successo qualcosa, visto che non sei venuto a scuola.- ammette, richiudendo la portiera e sistemandosi sul sedile.

Scuoto la testa, mentre controllo lo specchietto retrovisore per essere sicuro di poter ripartire.

- Non ti preoccup...

- Posso accendere la radio?- mi interrompe.

- Certo.- le rispondo un po' perplesso. Non so perché, ma pensavo sarebbe stata in silenzio per tutto il tragitto e che sarei finito col portare avanti un'imbarazzante conversazione a senso unico.

Claire allunga una mano per cambiare stazione fino a quando non trova una canzone che le piace, poi con la coda dell'occhio noto che ha cominciato a muovere impercettibilmente le labbra.

- Che canzone è?- le domando incuriosito. Non l'ho mai sentita prima d'ora.

- Si chiama Better to lie. Parla di come a volte per il cantante sia meglio mentire anziché rivelare tutto ciò che ha in testa, anche se a volte alcune persone intorno a lui lo odiano per questo perché pensano che stia nascondendo qualcosa.- mi spiega brevemente.

Venom// Jonah Marais Why Don't WeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora