23. Sessione di studio

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Il rumore martellante della sveglia penetra nelle mie orecchie. Un suono che mi fa accapponare la pelle, però è l'unica cosa che riesce a svegliarmi dal mio sonno profondo.

Non vorrei lasciare il tepore delle coperte, ma la mia coscienza mi impedisce di rimanere al caldo. Mi alzo dal letto e mi avvicino alla finestra per vedere se almeno oggi il cielo è sereno; sono due giorni che piove a dirotto e non è usuale qui neanche in pieno inverno. Grosse gocce d'acqua cadono sul terreno e sono così fitte che non riesco a vedere neanche le case dei vicini.

Sento vibrare il mio telefonino e lo cerco sulla scrivania dove mi ricordo di averlo appoggiato ieri sera prima di addormentarmi. È un messaggio di Elia.

Ehi, secchiona, come procede?

Guardo l'ora nella sveglia: sono appena le sette. Non credevo fosse un tipo mattiniero.

Mi sono appena svegliata. Adesso vado a fare colazione e poi inizio a studiare. Tu come mai sei sveglio?

Anche io ho la sessione invernale da affrontare .

Sto per digitare una risposta, ma mi accorgo che ancora sta scrivendo.

Hai bisogno d'aiuto per ripetere?

Mi mordo il labbro inferiore e fisso lo schermo per non so quanti minuti. Cosa dovrei rispondergli? Non vorrei sentirmi in colpa per la situazione che si è creata con Enea, eppure è così.

Pensare a lui mi ricorda che non si fa vivo da quattro giorni. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso visto che sono stata io la prima a frapporre dei paletti tra noi, ma è inutile negare che, nonostante le raccomandazioni di mio fratello, la parte più irrazionale di me vorrebbe rivederlo. Brama per essere liberata di nuovo dopo anni di reclusione.

Scuoto la testa e archivio questi pensieri in un angolo della mia mente; hanno già occupato gran parte del mio tempo in questi giorni.

Se non fosse un grosso disturbo per te, mi aiuteresti molto.

Scrivo alla fine senza rifletterci troppo. Mi va di vederlo e ho davvero bisogno di qualcuno che mi sproni a studiare.

Sarò da te verso le undici.

Appoggio il telefono sulla superficie di legno e trascino il mio corpo per tutta la casa fino ad arrivare in cucina. L'aroma del caffè invade le mie narici e muovo il naso infastidito.

«Buongiorno, mamma.» Scosto lo sgabello dell'isola e mi siedo in modo sgraziato.

«Buongiorno, stellina. Hai dormito bene?» domanda mentre pela una patata. È di buono umore, negli ultimi giorni non è stata molto rilassata.

«Abbastanza. Cosa stai cucinando?» gli chiedo mentre sbircio il ripiano. Ha sempre una padella sui fornelli quando è a casa.

Si gira verso di me e mi rivolge uno dei suoi ampi sorrisi. «Pollo al forno con patate.»

È uno dei miei piatti preferiti e il mio stomaco inizia a brontolare, reclamando dei cibo. Peccato non abbia ereditato le sue doti culinarie; quando ero a Roma dovevo chiamarla quasi tutte le sere se volevo mangiare qualcosa di decente e, nonostante le sue indicazioni minuziose, non riuscivo mai a replicare le sue ricette.

La osservo con attenzione e prendo un profondo respiro, stringendo tra le mani il bordo della sedia. «Alle undici Elia viene qui, mi aiuta a ripetere.»

Mia madre si gira a rallentatore come in una di quelle scene inquietanti dei film horror, con un sorriso spettrale che le solca il volto.

«Mamma, così mi fai paura.»

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