44. Dimmi la verità

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Il cuore mi batte all'impazzata e il brusio di sottofondo si fa sempre più intenso. Comincio a strisciare nervosamente le décolleté bordeaux sul pavimento dell'aula magna per calmarmi, tuttavia non ottengo il risultato sperato. I miei colleghi, seduti nelle sedie disposte ad anfiteatro, continuano a parlare senza sosta, nervosi ma felici del fatto che non saranno loro a rompere il ghiaccio.

La prima, ovviamente, sono io.

Sposto il mio sguardo ansioso verso la cattedra semicircolare dove si stanno accomodando i docenti e incrocio gli occhi del mio relatore che mi rivolge un sorriso di incitamento, mentre io, in realtà, credo di stare per perdere i sensi. Manca meno di un minuto alle tre, ma noto che è rimasta una poltrona vuota tra la commissione. Il professore Bonanno non è ancora arrivato, il che è strano vista la sua perenne puntualità.

Di lì a poco, lo vedo aprire la porta con il fiatone e la fronte imperlata di sudore. Mi lancia uno sguardo carico di odio che mi mette i brividi, senza comprenderne il motivo.

Il docente da un colpetto all'anta e si scosta, lasciandomi la possibilità di vedere le figure alle sue spalle: Elia ed Enea si battono il pugno mentre mi guardano con un sorrisino scaltro sui rispettivi volti.

Che diavolo hanno combinato?

Ma soprattutto... perché Enea è qui?

La porta si richiude, impedendomi la visuale su di loro. Il presidente della seduta si alza in piedi e all'unisono tutti i presenti cessano di parlare. Batte il dito sul microfono per vedere se è acceso e introduce la sessione di laurea, anche se io percepisco le parole indistinte a causa del fischiare sordo delle mie orecchie.

Sto entrando nel panico.

Cerco di regolare il respiro e di incitarmi da sola. In fondo sono abituata a stare davanti a un pubblico... peccato che stavolta dovrò parlare.

«La candidata, Carla Amato, si avvicini, prego» enuncia il professore Monaco con un gesto della mano.

Mi alzo sulle mie gambe poco stabili e mi avvicino alla cattedra per consegnare la tesi. Lascio una firma poco leggibile sul registro e mi dirigo verso il computer portatile dove sono stati sistemati in ordine di presentazione il mio power point e quelli dei miei colleghi.

Stendo le pieghe immaginarie del mio pantalone blu e mi volto verso la platea: più di trecento persone mi stanno fissando nell'attesa che io dica qualcosa.

Tra la folla riesco a individuare subito la mia famiglia: mio padre ha la solita faccia impassibile, invece mia madre e mio fratello mi sorridono emozionati. Accanto a lui, stranamente, è seduto Noa che mi guarda con due occhi spalancati come se fossi un miraggio, mentre Melissa gioca nervosa con una ciocca di capelli nella poltrona accanto alla sua.

Nella confusione trovo anche i gemelli e sorvolo sulle prime iridi nocciola che i miei occhi intercettano come richiamati da una forza invisibile. Mi concentro sul volto di Elia e vedo che mi sta mimando qualcosa con le labbra: respira.

È la parola che mi ha continuato a ripetere ieri al telefono ogniqualvolta entravo in crisi perché non riuscivo a ricordarmi una parola specifica ed è anche l'ultima parola che ho sentito quando, alle tre di notte, sono crollata per lo sfinimento.

Mi faccio forza, socchiudo le labbra e, come per magia, inizio a esporre in modo fluente il discorso, mentre spiego attraverso le immagini proiettate sullo schermo alle mie spalle ciò che sto dicendo nel modo più chiaro e semplice possibile.

Questo momento che attendo da non so quanto tempo è finalmente giunto e passa così velocemente che, quando ritorno a sedermi, non riesco a credere che sia successo davvero.

Divisa a metàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora