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Non sai mai dove ti spingerà il cuore. Sai solo quanto forte batte e senti la paura farsi strada dentro di te ad ogni secondo scandito da un tempo attutito dai respiri che spezzano il silenzio, da un bacio che fa tremare la terra e le vene dall'intensità che ha.
Mi stacco quel tanto che basta da Kay per riprendere fiato e il pieno controllo di me: del mio corpo, della mia mente in subbuglio.
Mi sento sottosopra. Come se fossi appena scesa troppo in fretta da una giostra.
Le gambe tremano ma corro il rischio continuando a guardare fisso negli occhi il ragazzo che mi sta travolgendo e stupendo con i suoi modi, con le sue parole, con i suoi gesti in grado di spingermi a commettere delle strane follie.
In fondo io lo odio. Lui lo sa. Lo percepisce e sfrutta questa cosa per stuzzicarmi, per farmi capire che a volte le cose cambiano, soprattutto le persone si trasformano in una versione migliore e altre in quella peggiore. Tutto però dipende da ogni tua azione, da ogni decisione che prenderai quando ti libererai finalmente dal pregiudizio, dal ricordo.
Mi avvicina ancora pieno di desiderio e lo trattengo posando le dita sulle sue labbra che ho baciato con una passione tale da sconvolgermi. Sono morbide al tatto e sanno tanto di parole non dette, frasi lasciare a metà, sorrisi nascosti dietro uno sguardo freddo.
Toglie la mia mano posandola delicatamente sulla sua spalla, in una delle porzioni libere del suo corpo non intaccato dai tatuaggi e dal segno lasciato da un fulmine.
«Non avere paura», ripete.
È impossibile non crollare davanti al suo sguardo così sincero e pieno di voglia, di passione, di vita.
Il modo in cui mi protegge, mi stuzzica, mi invoglia: mi destabilizza. Nessuno era ancora riuscito a piegarmi così tanto al suo volere. Sembravo persino immune alla bellezza, ai gesti delicati e alle dimostrazioni. Adesso sto mettendo tutto in discussione. E sono solo passate due settimane.
Mi sento davvero scombussolata.
«Non ho paura», rispondo con la gola secca.
Il pollice mi accarezza la guancia. «Ah no?»
Deglutisco a fatica sentendo dentro il peso della bugia che sto raccontando a me stessa per non cadere come una foglia dopo essere stata percossa dal vento freddo dell'inverno generato dal suo sguardo.
«No», mi esce un suono rotto, spezzato dall'affanno che sale quando abbassa il viso tirando a sé il mio.
Ci incontriamo a metà strada tra la mia paura e la sua sicurezza generando una forza straordinaria che si scarica sottoforma di tensione che impregna l'aria.
«Allora puoi baciarmi», sorride.
Non è una domanda. La sua è più una affermazione sussurrata a fior di labbra in grado di provocarmi addosso un brivido che si deposita sulla bocca dello stomaco facendosi sentire come un pugno. Ho una guerra di falene dentro che battono le ali all'unisono.
«Magari non voglio baciarti.»
Solleva impercettibilmente il sopracciglio per farmi capire che è scettico su questo. «Davvero?»
Caccio dentro il nodo che mi si forma annuendo senza riuscire ad aprire bocca.
Sorride e per dimostrarmi del contrario mi avvicina e mi bacia spingendomi verso uno dei pilastri dove mi solleva lievemente continuando a stuzzicarmi, a farmi ansimare mandando in tilt il mio cuore e in corto circuito il mio cervello.
Mi stacco spingendolo, riuscendo ad allontanarmi da lui. Sfioro le labbra appena morse dai suoi denti e lo guardo senza fiato. Lui fa lo stesso sgranando lievemente gli occhi, apparentemente incredulo.
«Sarà meglio mettersi a dormire», dico come un robot.
Batte le palpebre guardandosi intorno frastornato poi annuisce passando una mano sul collo dopo averlo piegato da una parte all'altra.
Mi infilo sotto il lenzuolo aggiustando il piumone mentre lui si stende di fianco senza toccarmi o avvicinarsi.
Mi sdraio sul fianco sinistro guardando il suo profilo alla luce della luna che filtra dalla finestra sulle nostre teste.
La mia mano avanza senza preoccupazione tremando leggermente prima di sfiorare la sua fronte, il naso e le labbra.
Santo cielo, non lo so più nemmeno io quello che mi passa per la testa. Voglio lasciarlo stare. Voglio mettere da parte la delusione, dimenticare il passato e andare avanti. Voglio dimenticarmi di lui, della sua esistenza. Ma non ci riesco. Ora come ora non ci riesco. Perché anche se lo detesto perché ha rovinato ogni mio ricordo di infanzia, non posso smettere di respirare il suo odore fino a dimenticarmi del rancore provato.
Si volta per capire la ragione della mia reazione, del mio gesto ma non ho una spiegazione plausibile. So solo che voglio avvicinarmi a lui perché continua ad attirarmi come una calamita, ed io mi sento il ferro.
«Mi odi di meno adesso?»
Sorrido. Ha la capacità di sdrammatizzare alleggerendo anche quei momenti in cui si rischia di compiere grossi errori.
«Forse.»
Sporgendosi mi sussurra all'orecchio: «Tanto lo so che non mi odi davvero.»
Le mie guance si imporporano. Per fortuna non può vedere il rossore depositarsi sulla pelle dandogli dimostrazione del fatto che ha un notevole impatto su di me, sulla mia psiche, sul mio corpo ormai scosso da diversi minuti da un vento freddo, piacevole.
Reggendosi sul braccio, continua.
«Fallo. Non trattenerti.»
Indugio.
«Non lo dirò a nessuno. Facciamo un patto: tutto quello che succederà adesso non uscirà da qui dentro.»
Mi sorride ma ancora una volta non riesco a muovermi. Sono attanagliata da molteplici paranoie e pensieri che potrebbero prendere forma concretizzandosi in qualcosa di distruttivo e non solo per la mia persona.
La sua mano scivola sul mio fianco come per darmi una dimostrazione.
«Provaci. Non essere così pudica.»
Corrugo la fronte. «Non è il pensiero di toccarti o baciarti a preoccuparmi», ammetto ad alta voce.
Sorride. «Allora cosa?»
«Il pensiero che tu possa distruggermi ancora.»
Diventa cupo e torna supino a fissare il soffitto, un braccio sul ventre e l'altra mano sul petto nudo scolpito.
Inspiro ed espiro lentamente, molto lentamente. Lo guardo e mi guardo dentro. Continuo così, come una pazza insicura fino a mandare il mio autocontrollo al diavolo.
Sollevo il ginocchio e lui si volta a guardarmi quando gli sfiora le gambe. Posa la mano calda per trattenerlo, dandomi la spinta, la sicurezza che molto spesso non riesco ad avere in questo genere di cose. Mi bloccano. Non so mai se sono in grado di riuscire ad ammaliare qualcuno o a fargli capire che esisto.
La mia mano sale sul suo petto fino a posarsi tra l'orecchio e la guancia. Lo avvicino.
La fronte premuta sulla sua, i respiri spezzati.
«Lo senti anche tu?»
«Non puoi scappare», sussurra con voce arrochita sorridendo in modo dolce, giocando con le mie labbra. «Magari prima o poi lo capirai che non devi fuggire da me. Perché anche se mi affronti, io lo vedo chiaramente che dentro di te stai solo cercando di tenermi lontano dal tuo cuore, non dalla tua anima.»
Stringo la presa e lui freme pur trattenendosi.
Allora lo stuzzico. Mi sporgo e prova subito a baciarmi ma tiro indietro la testa sorridendo.
«Che stronza», mormora.
«A te piace», rispondo sulle sue labbra facendolo impazzire.
Stringe la mia coscia spostandosi su di me. Mi bacia in modo rude, più di prima, senza darmi la possibilità di fermarlo.
Ho iniziato io un gioco pericoloso tra di noi. Non voglio respingerlo perché mi sta facendo sentire priva di equilibrio, ubriaca e incredibile ma vero: a mio agio.
Mi morde il collo e gemo abbastanza forte da riportarlo alle mie labbra.
Questa volta a staccarsi è proprio lui. Mi guarda febbricitante, gli occhi lucidi, le labbra gonfie. «Dobbiamo dormire», soffia accaldato staccandosi come un cerotto pur continuando ad indugiare.
«Sai che tra qualche ora ritorneremo nemici?»
«Per scelta», risponde cercando un compromesso, un modo per staccarsi definitivamente da me. «Non perché lo siamo, solo perché scegliamo di esserlo. Perché è più facile.»
«Non vuoi smettere», la mia non è una domanda.
Nega. Non lo nasconde ed è proprio questo a farmi perdere la testa.
«Perché dovremmo?»
Fingo di pensarci sopra. «Perché non siamo compatibili. Non lo siamo mai stati. Siamo come il giorno e la notte, il caldo e il freddo, la terra e il mare, le nuvole e la pioggia...»
Sta già scrollando la testa come se non volesse neanche ascoltare una simile idiozia. «Ti sbagli di grosso a pensarlo. Siamo l'incastro più riuscito dell'intero universo.»
Sorrido. Non riesco a trattenerlo.
Piega la testa di lato abbassando il viso. «Che c'è? A cosa pensi?»
«Dov'è Kay Mikaelson adesso?»
Ci pensa pure sopra per fare scena poi senza preavviso mi morde il collo facendomi strillare e agitare allontanandolo.
Lo guardo male. Non si lascia scalfire o intimidire, piuttosto contrattacca.
«Ha la testa da un'altra parte in questo momento», mormora.
«Dove?»
«Sotto le coperte con la sua ragazza.»
Fermo il suo petto quando prova ad abbassarsi. «Kay...»
«Mi stai solo aiutando», sussurra deciso.
Sospiro. «Come fai a non capire?»
Scuote la testa. «Erin, sei tu quella a non capire anzi, a non volere capire. Smettila di pensare. Smettila di fotterti il cervello con inutili paranoie del cazzo e per un momento... uno soltanto: ascoltati e fa quello che vuoi, quello che senti davvero. Provaci.»
Il suo rimprovero mi fa sentire strana dentro. Smuove tutti quei sassi accumulati negli anni a riempire la voragine che ho dentro.
«Non lo dico solo adesso che stiamo qui a letto insieme. Lo dico perché domani ti alzerai ancora con la voglia di farmi la guerra e allora spero penserai a queste mie inutili parole prive di senso dette a causa della frustrazione.»
Lo avvicino. «Domani tornerò in me», lo avviso prima di baciarlo.
Sorride muovendo dapprima lentamente le labbra poi con più foga ed infine ci ritroviamo ad ansimare e a stringerci come due amanti che non si vedono da anni e che hanno poco tempo prima che arrivi l'alba.
Mi sento in mezzo ad un grosso pericolo ma non ho paura, ho solo il timore di sbagliare qualcosa perdendo il mio obiettivo. Perché non sempre la tua felicità deve dipendere da qualcosa o da qualcuno. Ci sono volte in cui devi trovarla dentro te stesso. Scavare a fondo e lasciarla uscire liberamente.
Si solleva fermandosi a metà busto, trascinandomi con sé. Siamo bocca contro bocca. La pelle accaldata, il respiro spezzato, le mani ovunque.
«Lo prendo per un si con riserva.»
Porta le mie braccia sul suo collo e le stringo leggermente.
I suoi palmi caldi in netto contrasto con i suoi occhi freddi, mi massaggiano le cosce.
Mi schiaccio sul suo petto divaricandole lievemente e lui mi spinge sul lenzuolo muovendo i fianchi di proposito.
Tiro indietro la testa e ne approfitta per baciarmi il collo.
Sfrutta proprio ogni mia distrazione facendomi sentire davvero coinvolta.
«Sai», inizia guardandomi da sotto le ciglia. «Non ho mai provato niente del genere.»
«Lo dici perché ci sono io qui con te», tengo stretto il suo mento.
Mi toglie la mano negando. «No, no. Puoi avere tante ragazze, è vero. Puoi trovarne una diversa ogni giorno nel letto ma... solo una ti farà sentire come se non avessi più equilibrio. Solo una ti farà sentire in bilico, privo di peso e spaventato a morte. Come cazzo fai a non capire?»
Alzo lo sguardo incrociando il suo. Il mio cuore... è una sensazione intensa, come se lo avesse appena afferrato a mani nude e stritolato. Pulsa velocemente, così tanto da allarmarmi.
E odio il fatto che mi guarda in questo modo. Perché quando lo fa, mi vede. Non vede la corazza, vede me. Mi fa sentire reale e non invisibile. Ma in questo modo riesce anche a vedere il dolore e tutti quei brutti ricordi che mi accompagnano con costanza e che continuano a farmi sanguinare il cuore. Vede tutto, anche quello che fa di me una persona confusa, con un enorme vuoto dentro, fottutamente sola.
«Perché proprio io?»
Ha sempre sviato questo discorso rispondendo in modo evasivo, cambiando argomento o utilizzando frasi in grado di confondermi.
So che c'è qualcosa sotto. Lo sento e continuerò a fare la stessa domanda se sarà necessario in modo tale da ottenere finalmente la risposta che cerco.
«Perché aspettarti non è stato un errore.»
Apro e richiudo la bocca ma me la tappa con la sua. La lingua si muove insieme alla mia in un bacio che termina con uno schiocco.
Mi stacco. «Buona notte Caius.»
Stendendomi chiudo gli occhi affondando la mano sotto il cuscino, boccheggiando.
I minuti passano. Il letto si muove. Mi abbraccia da dietro nonostante la mia piccola lotta di potere per allontanarlo.
Mi morde una spalla poi la bacia sorridendo quando smetto di dimenarmi.
«Notte, sirenetta.»
Mi addormento in fretta sentendomi forse per la prima volta, seppur nel posto sbagliato: a mio agio, al sicuro.
Qualcosa però mi disturba facendomi svegliare. I miei occhi si abituano alla semioscurità vagando dentro la casa dopo essermi accorta di non essere più in compagnia sotto le coperte e avere provato una brutta sensazione di abbandono dentro.
Mi sollevo sbadigliando, stiracchiandomi leggermente e lo vedo, se ne sta seduto ingobbito davanti il camino acceso e crepitante. La luce emanata dalle fiamme a riempire il suo volto stranamente incupito, distante, assente.
Dall'esterno proviene il suono del temporale e quando si sentono dei tuoni o la stanza si riempie della luce dei lampi, Kay sussulta rimanendo perso da qualche parte. In un posto apparentemente lontano.
Non è impaurito. Ha solo questa strana reazione che lo spinge a chiudere il pugno in una morsa stretta e poi come se contasse fino a dieci apre il palmo e anche gli occhi tornando brevemente al presente.
Scosto la coperta mettendo i piedi sul pavimento invecchiato, coperto da un piccolo tappeto, avvicinandomi cautamente a lui che non appena si accorge di me si volta.
Mi fermo a metà strada. Sono insicura adesso che lo vedo e noto nei suoi occhi come si forma il peso di un ricordo di cui non vuole parlare ma che esce allo scoperto a causa del temporale.
Mi trasmette addosso una forte sensazione. Mi trascina insieme a lui facendomi sentire il suo dolore che condivide inconsciamente con me, con il suo nemico.
Dandomi una lieve scossa, più che turbata e leggermente intontita dal sonno, cammino a piccoli passi per raggiungerlo e quando sono davanti a lui, mi siedo sul tappeto con i piedi sotto il sedere. Poso la mia mano sulla sua adesso aperta senza dire niente.
Non trovo le parole giuste, il modo di confortarlo. Forse non esiste quello giusto per alleviare il tutto. Ma sembra apprezzare il gesto, soprattutto quando appoggio la testa sulle sue ginocchia con naturalezza, senza tenermi a distanza.
Riflette un momento, in parte sorpreso dalla mia reazione così spontanea nei suoi confronti dopo momenti di forza misti a debolezza.
Mi accarezza infine la testa inspirando ed espirando lentamente rispetto a prima, quando sembrava sul punto di andare nel panico.
Dopo una manciata di minuti mi tira su di sé. «Fa freddo non puoi stare seduta per terra. Rimettiti a letto.»
Non mi preoccupa questa sua risposta così decisa e delicata. Da uno come lui non ti aspetti di certo determinate reazioni. Eppure riesce ad essere spontaneo, direi quasi dolce, accorto.
Provocata da forte sensazione mi rannicchio su di lui appoggiando la testa sul suo petto nudo. Un gesto apparentemente normale anche se non è da me.
La sua pelle emana un calore piacevole insieme al suo profumo che avvolge i miei sensi mettendo a rischio la mia naturale razionalità.
In questo posto mi sto sentendo messa a nudo, a mio agio, in un certo senso anche capita e non me la sento di comportarmi male con chi sta cercando di aiutarmi, di sedare quel lato di me che esce a volte in maniera esplosiva e senza controllo.
Passa il palmo lungo la mia schiena lentamente. Un gesto così normale da farmi sentire meno insicura rispetto a prima.
«Me ne starò qui fino a quando non ti deciderai a tornare a letto.»
Per fortuna non nota il modo in cui si infuocano le mie guance dopo avere pronunciato simili parole.
Nonostante il mio carattere apparentemente forte, continuo a custodire una parte delicata di me. Quella che non mostro mai a nessuno per paura che la si possa intaccare o ferire.
Kay increspa le labbra per non sorridere con una certa soddisfazione davanti a me ma alla fine sfodera lo stesso i suoi denti incapace di trattenersi oltre.
«È una minaccia?»
Nego. «La pura e semplice verità.»
Mi stringo a lui sentendo freddo.
Nonostante il camino sia acceso, a causa del temporale fuori, la casetta non riesce a riscaldarsi interamente.
Ma forse non è solo un freddo causato dal tempo quello che sento. Forse è a causa della sua vicinanza, perché mi fa davvero strano averlo attaccato alla mia pelle e non a distanza a sbraitargli addosso.
Accorgendosi della mia pelle d'oca, sollevandosi, tenendomi in braccio come se fossi una piuma, ci spostiamo verso il letto.
Appoggia un ginocchio sul materasso, il letto cigola mentre scivolo su questo sdraiandomi e lui fa lo stesso.
Adesso siamo faccia a faccia. Occhi negli occhi. Non ci sono parole. Ci siamo solo io e lui avvolti nel silenzio, circondati dal frastuono del temporale che si abbatte sulla terra facendo da colonna sonora ai nostri respiri, ai nostri pensieri e forse anche ai nostri più grandi timori che potrebbero prendere consistenza in un attimo.
Gli accarezzo il viso. «Va meglio?», oso chiedere ritraendo subito la mano, stupita da me stessa.
Che diavolo mi sta succedendo?
«Andrebbe decisamente meglio se ti sbrigassi a baciarmi ma si, va meglio.»
Sorrido avvicinandomi a lui ma anziché baciarlo appoggio la testa sul suo petto.
«Hai paura?»
Preme il mento sulla mia testa. «No. Provo solo una spinta che mi destabilizza. È come un istinto che si risveglia dentro di me quando là fuori si riempie di fulmini. Ma si dice che non cadono mai nello stesso punto.»
Lo guardo un momento di troppo perdendomi nell'immenso spazio delle sue iridi.
«Dici?»
Guarda il tetto. «Dico che non credo di essere pronto a parlarne quindi scusami se tengo per me questa storia. Non posso confidarmi con te. Se lo faccio, se ti dico quello che ho visto e vissuto, se ti racconto che a volte sono talmente nel panico che avrei voglia di strapparmi a mani nude dal petto i polmoni perché non riesco a respirare, tu mi guarderai con compassione e non è ciò che cerco.»
Ognuno di noi ha un segreto, quello che fa male ma nonostante tutto custodisce con amore. Probabilmente è lo stesso segreto che non rivelerà mai a nessuno perché potrebbe ferirlo maggiormente, perché potrebbe rendere tutto reale.
«Perché?»
«Perché cadrei a pezzi davanti a te. Quindi non chiedermi di raccontarti come è successo.»
Sono abituata a cercare luce dove si trova solo buio. Questo però non lo dico.
«Adesso dimmi perché ti sei svegliata.»
«Per dirti che tra qualche ora voglio trovare la colazione. Puoi portarmela a letto se ci tieni», ordino divertita cambiando argomento.
Non mi è mai piaciuto essere invadente. Non posso però negare che lui abbia appena stuzzicato la mia curiosità. Ma non posso correre il rischio di dovere rispondere a qualche sua domanda sulla mia vita.
«Che cosa ti va di mangiare?», sta al gioco.
«Pancake, toast... fai tu.»
«Potremmo anche rimanere a letto...», risponde malizioso.
«Dormi», sussurro nascondendo il sorriso dovuto alla sua battuta.
Sospira. «Erin, Erin... mi manderai in tilt il sistema nervoso e il cuore.»
Sono le ultime parole che sento prima di addormentarmi profondamente, come se non avessi mai dormito in vita mia.
Il rumore della pioggia, quello dei tuoni non lo sento più. Ogni cosa si allontana lasciandomi immersa nel silenzio e nel buio fitto.
Mi risveglio piacevolmente riposata e abbastanza serena da non pensare a quello che mi attende a casa.
Mio padre sarà furioso con me ma mai quanto lo sono io con lui per avermi tenuta a distanza dai miei nonni in questo periodo di assestamento.
Non mi ha neanche permesso di affrontare mia madre di persona continuando a tenermi qui, a trattenermi pur esprimendogli il mio rifiuto verso questo posto. Ovviamente non accetta il mio rifiuto. Probabilmente non lo farà mai. Perché non capisce che cosa significa viaggiare di continuo senza mai avere una casa. Non sa cosa significa doversi adattare ad un nuovo posto, ad un nuovo ambiente, a nuove persone. Non sa come ci si sente a non sentirsi mai a proprio agio, sempre la nuova arrivata. Non capisce che mi mancano i miei nonni, il mio unico amico. Non capisce che non sento mio niente di tutto questo che mi circonda.
Nella vita impari tanto, soprattutto dagli errori. Impari a gestire i problemi con più razionalità, a superare gli ostacoli senza arginarli, a rialzarti quando cadi, a non piangere più quando ti fai male, a consolare il tuo animo quando è ferito. Ma, non impari mai a sopportare le delusioni. Non sono tutte uguali e non hanno la stessa forza distruttiva.
Mio padre non mi ha solo mentito mi ha profondamente delusa e non solo adesso, ma succede ormai da anni. E ad una delusione continua non c'è placebo che possa sedare il tuo animo ferito.
Sono di nuovo sola nel letto e vagando con lo sguardo per casa mi accorgo che sul tavolo basso vi sono due piatti pieni di pancake. Al centro un vaso con un rametto di pino preso da chissà dove a profumare l'ambiente e due bicchieri di caffè ancora caldo.
Sorrido. Kay si è ricordato della mia richiesta detta per gioco. Ha preso seriamente le mie parole e, a quanto pare non ha dimenticato il mio gesto.
Mi sollevo scostando la coperta. Sciolgo i capelli districando i nodi con le dita e, accorgendomi che sono tanti e rischio di farmi solo male, torno a legarli in uno chignon alto non molto stretto.
«Ti avevo detto che ti avrei raggiunto io.»
La voce di Kay mi attira facendomi guardare fuori dalla finestra e lo vedo appoggiato al portico. Davanti a lui: Shannon e due ragazzi. I suoi amici deduco.
«È più sicuro qui», replica Shannon lasciando uscire fuori il fumo della sigaretta che tiene tra le dita stringendosi nelle spalle per il freddo. Guarda gli alberi, la radura e annuisce come per rispondere a delle domande che solo lui sente dentro.
I due appoggiati alle moto sembrano invece sul punto di scappare proprio per questo motivo. Dalle loro bocche infatti, escono nuvole di condensa.
Le temperature durante la notte devono essersi abbassate in questo posto così uggioso e umido. Mi stupisce il fatto di non avere ancora visto la neve.
Da piccola mi ricordo che arrivava quasi sempre in questo periodo e che spesso rimaneva per settimane fino a Natale.
«Perché? Che cosa è successo?»
Shannon getta la cicca dentro una pozzanghera. Nasconde i pugni dentro le tasche salendo i gradini, provando ad entrare.
Kay lo ferma posandogli una mano sul braccio. «Non credo sia il momento giusto», dice apparentemente nervoso. «Ti avevo detto che avevo da fare.»
Shannon soppesa il suo sguardo e dopo qualche secondo ghigna sotto i baffi facendo un passo indietro con le mani bene in vista.
I due si capiscono al volo. Devono essere amici da tempo.
Prima o poi dovrà raccontarmi qualcosa sulla sua vita dopo la mia partenza, su come sono nati questi scontri tra i gruppi e su come sia sopravvissuto ad un fulmine.
«Non sei solo. E bravo al mio ragazzaccio. Se è chi dico io... sei proprio uscito di senno.»
«No, non sono solo e non ti dirò chi c'è dentro casa», Kay non sembra poi così contento della visita inattesa ma si rilassa quando nota che Shannon si allontana dalla porta rispettando la sua volontà.
«Spiegami che cosa è successo», va dritto al dunque.
«Dopo che ve ne siete andati dal bar è scoppiato un litigio tra quel ragazzo ubriaco: Dawson e Mason. Sono uscite fuori delle... cose importanti.»
Mi alzo avvicinandomi alla porta, continuando ad origliare indisturbata.
Sento che il momento tranquillo a breve si trasformerà in qualcosa di negativo, proprio come ogni altro momento nella mia vita.
«Quali cose sono uscite fuori?»
«Devi portare Erin lontano da qui per qualche ora. Subito. Non so quello che hanno in mente ma non è il momento di farla incontrare con Harper. Potrebbe esserci qualcosa sotto. Ci serve un piano e del tempo per elaborarlo. Quindi datti da fare con lei, anche se non credo ce ne sia bisogno e al resto pensiamo noi.»
I due si spintonano affettuosamente sorridendosi.
Ancora una volta stanno comunicando silenziosamente.
«Che cosa ha detto Dawson?»
Kay torna serio. Percepisco il cambiamento dal suo tono di voce.
«Che i King stanno solo fingendo di avere preso bene la questione della punizione e vogliono incontrare Erin per mandare un messaggio a suo padre. Questo sai che cosa significa, no? Conosci il modo di agire dei King e io non posso fare qualcosa senza prima avere un buon motivo, altrimenti cadremo di nuovo nella trappola. Ma ho promesso che se le sarebbe successo qualcosa avrei cercato per primo lui e poi anche la sua ragazza. Sai che mantengo le promesse.»
«Mason non è un tipo che si lascia convincere da queste minacce, a quanto pare», interviene uno dei suoi amici. «Non possiamo abbassare la guardia e devi convincere Erin a non cedere alle provocazioni.»
«No, non possiamo assolutamente.»
Percepisco il cambiamento del tono di voce di Shannon e il sospiro di Kay che si perde nel freddo di questa grigia giornata.
«Si», replica Kay. «Vedrò che cosa posso fare. Suo padre non sarà a casa in queste ore quindi posso portarla da qualche parte. Ho già in mente un posto.»
Apro la porta senza pensarci.
I quattro mi guardano dalla testa ai piedi. Non me ne curo, pur essendo consapevole di avere addosso solo una maglietta e di essere esposta non solo al freddo ma anche ai loro sguardi carichi di malizia.
So a cosa stanno pensando e attualmente è l'ultimo dei miei problemi. Devo affrontare altro.
«C'è un piccolo problema», esclamo interrompendoli.
Notandoli ancora del tutto imbambolati aggiungo: «Non guardatemi come se non aveste mai visto due gambe scoperte o una ragazza e smettetela di sbavare. I miei occhi sono qui», li indico.
Si ricompongono e Kay molla un colpo al petto a Shannon che chiude la bocca mentre i due alle loro spalle fanno finta di niente.
«Bene. Adesso che ho la vostra attenzione vi comunico che non andrò da nessuna parte. Che venga pure quella strega, non ho paura di lei. So difendermi e dubito che lei voglia spezzarsi un'unghia.»
I due ragazzi ridacchiano.
«È tosta, mi piace. Perché non è entrata ancora a far parte degli Scorpions? Ci sarebbe proprio da divertirsi con lei ad iniziare qualche rissa.»
Riconosco il ragazzo che al bar mi ha fatto cenno di avvicinarmi a loro e gli rivolgo brevemente la mia attenzione.
«Perché non voglio fare parte di nessun gruppo visto che me ne andrò presto da questo buco. E spero che ciò avvenga il prima possibile», replico acidamente. «O quando mia madre si deciderà a farmi rientrare a casa», proseguo agitandomi al pensiero di rimanere bloccata qui.
Shannon rimane in ascolto mentre Kay sembra irrigidirsi. Il suo viso improvvisamente di marmo mi fa capire di avere usato i termini sbagliati per esprimere il mio pensiero nonché il mio volere su questa vicenda.
«Perché non vuoi?»
«Perché non mi va?»
«Vedila come una gita. Non hai detto che non sopporti questo paese? Potresti uscire e svagarti...»
Adesso gioca questa carta?
Incrocio le braccia. «Non sono una bambina che puoi trascinare a zonzo solo per tenerla lontana da casa. Hai dimenticato che sono scappata da mio padre e che sarà furioso? Per non parlare del fatto che mi aveva espressamente proibito di stare con te. Ricorda anche lui quello che mi hai fatto e forse sa qualcosa che ancora non ho avuto modo di scoprire.»
Kay sta già negando. Non sopporta questo mio atteggiamento e, principalmente quando gli ricordo quello che ha fatto quando eravamo piccoli. Deve bruciargli sulla coscienza peggio di un tizzone ardente sulla carne il senso di colpa che cela con il suo carattere.
«Tuo padre non è in casa. Abbiamo controllato ed è corso in ospedale. Ha ricevuto una chiamata di emergenza.»
«Avete seguito mio padre?», sbotto alzando la voce fissando Shannon con rimprovero.
«Non esattamente. Abbiamo fedeli alleati ovunque.»
Rido istericamente. «Alleati? Ma dove siamo?», sospiro e tornando in casa mi rivesto più che furiosa e pronta ad andarmene.
«Quindi che facciamo?»
«Qui ci penso io. Vado a fermarla prima che si faccia male. Voi controllate e non perdete di vista quei due.»
«Ok, tienici aggiornati. Noi nel frattempo teniamo anche d'occhio suo padre oltre quegli stronzi.»
Sento le moto animarsi e poi sfrecciare via mentre la porta si chiude alle mie spalle con uno scatto.
Un boato che mi fa sussultare. Mi volto. «Non hai davvero chiuso a chiave la porta, vero?»
Kay mette le mani dietro la schiena negando. Non sorride. Non ha l'espressione serena di uno che vuole scherzare.
Lo guardo male e avanza verso di me. «Erin, te lo dirò chiaramente: sei in pericolo e non posso permetterti di commettere cazzate inutili. Sei avventata e devi riflettere prima di agire.»
Lo supero più che irritata dal suo atteggiamento così diverso. «Apri questa maledetta porta e fammi andare via», ordino innervosita. «Aprila o la sfondo a calci.»
Sta già negando. Prova a prendermi la mano ma mi scanso da lui. «Kay, apri questa maledetta porta», urlo.
«Calmati!», serra la mascella trattenendo il tono che vorrebbe uscire alto.
È come se avesse gettato benzina sul fuoco. Pertanto apro la finestra uscendo proprio da questa e una volta fuori, pestando i piedi sul viale umido, pieno di pozzanghere e fango, mi avvio verso casa più che sicura facendo però attenzione a dove metto i piedi.
Ad un tratto vengo sollevata e caricata come un sacco privo di peso sulla sua spalla. Urlo forte. Mi dimeno rischiando di far cadere entrambi sulla patina maleodorante di erba umida e terreno melmoso.
«Sta ferma e ti spiegherò perché non puoi tornare a casa in questo momento.»
Rifletto un momento poi mi fermo e mi rimette in piedi tenendomi stretta a sé. Così stretta da ritrovare le sue labbra a pochi centimetri dalle mie.
«Ieri sera dopo che sei uscita dal locale e io ti ho seguita perché eri su di giri, è scoppiata una rissa tra Mason e Dawson. Se ricordi hai trattato male Mason che ha richiamato quel ragazzo che ci ha provato con te ovvero: Dawson, che avrei tanto voluto prendere a calci.»
Prende fiato. «Ha rivelato davanti a tutti che ti avrebbero teso una trappola per mandare un messaggio a tuo padre. Con queste cose non si scherza, Erin.»
Lo spingo con tutta la forza che ho e mi lascia andare pur tenendomi d'occhio.
«E che cosa dovrei fare? Scappare? Avere paura di loro e non uscire di casa? Seguirti e farmi prendere in giro da te che mi tieni alla larga dalla verità?»
«Stiamo solo cercando una soluzione e nel frattempo, per non correre rischi, ti porterò da qualche parte.»
«Ma saranno gli Scorpions a correre il rischio. Non tu, non io...»
Gonfia il petto. «Erin, corriamo anche noi un grosso rischio allontanandoci da casa. Potrebbero seguirci ma lo faremo lo stesso perché non possiamo essere così stupidi da servirgli quello che vogliono senza prima avere lottato o avergli reso le cose difficili.»
Rifletto sulle sue parole. «Se non è oggi sarà domani», gli faccio notare.
«Vero, ma allora saremo pronti. Avremo un piano.»
Scuoto la testa superandolo. «Non sono d'accordo. E ti ricordo che sono io la vittima non tu o i tuoi amici. È me che vogliono per arrivare a mio padre.»
Mi trattiene stringendo la mano sul mio braccio. «Hai un debito con me, ricordi?»
Alzo gli occhi al cielo. «Ogni singolo giorno da quella notte, ormai. Non puoi usarlo di continuo come scusa.»
Solleva l'angolo del labbro. «Allora devi uscire con me per qualche ora.»
Sospiro. «Non voglio.»
Stringe il labbro. «Mi stai rifiutando dopo quello che abbiamo fatto questa notte?»
Batto le palpebre per capire. «Come scusa?»
Sorride perfido.
Riconosco questo sguardo. Non promette niente di buono.
«Shannon ti ha visto qui con me, sei uscita mezza nuda. Chissà che cosa avrà pensato e chissà che cosa racconterò io...», non sta scherzando.
Lo guardo male scrollandomi via dalla sua presa. «Mi stai minacciando?»
«Si», risponde di proposito.
Lo spingo. «Non lo faresti mai», sibilo digrignando i denti.
«Ed è qui che ti sbagli. Domani sapranno tutti che la figlia del sindaco se la spassa con Kay Mikaelson a letto», sorride di proposito provocandomi una forte reazione che incendia il mio petto più del fuoco.
Stringo il pugno. «Faresti davvero una cosa del genere? Rovineresti tutto?»
«Verrai con me?»
«No», replico senza riflettere un momento di troppo, decisa a non abbassarmi al suo livello, affatto intimidita dalla minaccia.
Questo lo coglie di sorpresa ma mostra subito il telefono. «Che ne dici allora se inizio a farlo sapere un po' in giro? Sono sicuro che ad Ephram piacerà avere la consapevolezza che non sarai mai sua.»
Mordo la guancia. «E questo che cosa c'entra adesso?»
Sorride perfidamente nascondendo la gelosia. «Si farà male a causa tua.»
Ed eccolo tornare in sé, mi dico osservandolo sbalordita. Ecco il ragazzo pieno di rabbia.
«A causa mia? Non ci credi neanche tu», decido di non cedere così facilmente pur sapendo di non avere alternativa.
Ho capito che qualcosa non va nel comportamento mostrato da Harper e in quel gesto di Mason appositamente costruito a tavolino. Per non parlare di Dana... le sue scuse.
«E se avessero orchestrato di proposito quello che è successo ieri sera al bar per vedere se sono dalla vostra parte? Dana deve essersi avvicinata per dirmi qualcosa fuori, magari voleva avvertirmi davvero questa volta...»
Kay riflette un momento poi digita qualcosa sulla tastiera del telefono. «Bene, adesso che ne dici di non pensarci e di venire con me in un bel posto?»
«Spiegami quello che hai fatto.»
«Ho avvisato Shannon. Avevamo anche noi questo dubbio e come ti ho detto... non dobbiamo lasciare niente al caso. Dobbiamo essere pronti ma non possiamo smettere di divertirci.»
Mi fermo quando prova a trascinarmi in casa. «Dove mi porti?»
«Prima facciamo colazione poi... ti piace Twilight?»
Corrugo la fronte. «Che cosa stai farneticando?»
Sbuffa. «Ok, devo essere diretto con te. Ti porterò vicino Forks in una spiaggia.»
Spalanco la bocca. «Davvero?»
«Si, ma non ci sono licantropi o vampiri da quelle parti quindi non illuderti.»
Mi guarda speranzoso.
Abbasso le spalle. «Non mi chiederai di sposarti o altro lì e non lo farai per ammazzarmi, vero?»
Ride negando. «Noi due? Nah, troppi colpi di scena per un paesino come questo. Toglilo dalla testa.»
Mi indispettisce questo suo atteggiamento ma allo stesso tempo mi fa sentire a mio agio perché so che posso essere sincera con lui nonostante sia mio nemico d'infanzia.
«E poi...», mi avvicina. «Ho avuto tante occasioni per ucciderti.»
«Non hai avuto le armi giuste», gli faccio notare.
Sorride spingendomi contro un albero dove mi bracca. «Ti sbagli.»
«Che fai?»
«Sei su una trappola. Se tolgo il piede si chiuderà di scatto se non lo faccio... be'... nessuno dei due si farà male. Allora, adesso come la mettiamo?»
Abbasso lo sguardo rendendomi conto che non sta scherzando.
Sotto le suole sento una placca metallica circolare abbastanza sottile e i denti che rischiano di chiudersi sulle nostre caviglie incastrandole.
Non mi agito, non mi muovo, respiro solo a fatica. «Perché lo stai facendo?»
Alza le spalle. «Così inizierai a fidarti di me.»
Mordo il labbro. «Non credo sia questo il modo giusto...»
Posa la mano sul mio collo. «Io dico di sì. Con te ci vogliono le maniere forti e mi diverte», sussurra sulle mie labbra.
Prova a baciarmi poi si tira indietro ed io lo trattengo spaventata dalla prospettiva di essere intrappolata in una morsa avvelenata.
Ridacchia. «Solleva il piede», ordina divertito.
«Ti farai male», replico rimanendo ferma.
Mi accarezza la guancia. «Adesso ti preoccupi per me, che carina.»
Lo spingo via intuendo di essere appena caduta nella sua stupida trappola. «Non farlo più», ringhio minacciosa.
Ride. «È stato divertente vederti nel panico, ma ricordati che esistono le vere trappole qui intorno e non sono finte come questa.»
«No, non è stato divertente. Non capisco perché mettermi alla prova.»
Alza le spalle. «Volevo vedere se potevo fidarmi di te e non hai deluso le mie aspettative. Non sei l'unica a non fidarsi della gente.»
Sono sempre più arrabbiata con lui.
«Mi hai usata per tutto il tempo. Sei proprio...», non riesco a concludere, tanto sono arrabbiata. «Ci andrai da solo in spiaggia.»
Mi ferma abbracciandomi da dietro. «Non tenermi il muso», dandomi un bacio sulla guancia mi trascina contro la mia volontà verso casa.
Dopo avere fatto colazione in silenzio, partiamo verso questa spiaggia da romanzo fermandoci prima a fare qualche acquisto in un negozio fuori città.
Non so esattamente come aspettarmi da questo viaggio insieme a lui ma so che avrò modo di tornare a respirare a pieni polmoni e di sentirmi per qualche ora libera.

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora