SECONDA PARTE
ERIN
8 anni dopo...
Ci si abitua a tutto e mentre lo fai inizi a prendere consapevolezza di ogni cosa. Prendi coscienza della tua vita, dei tuoi bisogni, dell'importanza di un sorriso, di uno sguardo seppur sfuggente. Ci si abitua. L'essere umano si adatta a tutto per sopravvivere.
Ma ci chiediamo continuamente se siamo forti abbastanza da superare, dopo una brutta tempesta, anche un uragano. Ci chiediamo se siamo pronti ad affrontare tutto quello che verrà portando sulle spalle il peso di un passato che farà sempre parte di ciò che siamo diventati. Ci chiediamo se essere forti sia l'unico modo per andare avanti. Ma forse essere forti non è abbastanza. Perché non possiamo prevedere quando la vita ci regalerà una nuova sfida. Possiamo solo andare avanti. Con tutte le nostre ferite. Con qualche osso rotto e mai risaldato, con la tristezza da portarsi addosso come il maglione preferito.
Bisogna andare avanti. Sempre avanti. Mai indietro. Senza rimpianti, senza sogni infranti. Bisogna lasciare tutto alle spalle, perché, ciò che è rimasto indietro, significa che non doveva esistere nel tuo presente. E allora bisogna andare avanti.
Continuo a ripeterlo ogni giorno a quella parte di me che si sente ancora ferita e spaventata. Ormai è diventato un mantra e mi sta bene così. Mi ricarica. Mi fa capire quanto sono fortunata ad essere una sopravvissuta.
Da sotto il capello con la visiera mi fermo guardando Seattle risvegliarsi dalla lunga notte. Il cielo plumbeo, i primi pendolari frettolosi impegnati in lunghi slalom per raggiungere le fermate degli autobus, i taxi fermi al semaforo, le auto che iniziano a riempire le strade sempre piene di turisti. Le persone che spariscono lungo le scale della metropolitana come un enorme buco pronto ad inghiottirle tutte nell'oscurità.
Abbasso il volume della musica riprendendo fiato, fermandomi sul prato verde acceso e un po' umido. Muovo le braccia, allungo le gambe e faccio un breve cenno ai corridoi mattinieri come me senza attirare troppo la loro attenzione. Per fortuna nessuno si ferma a chiacchierare. Odio farlo quando mi sono appena svegliata e ho altri piani per questa mia nuova giornata.
Chiudo gli occhi riempendo i polmoni e aumentando di nuovo il volume della musica riprendo la mia corsa lungo il quartiere superando la schiera di ville sfarzose fino a raggiungere il mio alloggio.
Entro nella mia bellissima casetta, una villa piccola e immersa nel verde degli alberi presenti in tutta la zona, circondata da un muretto di pietra bianco con un po' di edera sopra. Arruffo il pelo di colore grigio scuro di "Ness", un gatto di razza Scottish Fold con le orecchie piegate in avanti, dagli occhi azzurri come biglie. Sempre arrabbiato e diffidente, ma in fondo un gran tenerone. Ormai vive con me praticamente da quando l'ho trovato abbandonato sotto un cartone della pizza, infreddolito e morto di fame; ed è come un cane. Il campanellino appeso al collo tintinna non appena mi sente aprire la porta. Mi raggiunge in fretta e continuo a fargli fare le fusa tenendolo in braccio fino a lasciarlo sul letto dove soffia per dirmi di non abbandonarlo in quel modo e che non è soddisfatto. Ma non ho tempo. Mi farò perdonare più tardi, lui lo sa.
Tolgo le cuffie, il capellino, gli indumenti ed entro nel bagno adiacente, dentro la doccia dove rilasso i muscoli piacevolmente indolenziti.
Uscita dalla doccia e dal tepore ascolto i messaggi lasciati in segreteria mentre lavo i denti, mi trucco e asciugo i capelli prima di raccoglierli in uno chignon ordinato e ben tirato ai lati.
«Erin, sono la nonna, come stai? Qui stiamo preparando la festa di compleanno del figlio di un calciatore. Dovresti vedere che sfarzo! Ti invierò le foto. Quando verrai a trovarci?»
Poi inizia ad elencarmi tutte le mie mancanze. Pertanto cancello il messaggio prima che concluda il suo lungo discorso. Così passo avanti.
«Ciao pulce, ieri non sono riuscito a chiamare ma con l'arrivo del weekend spero di vederti almeno per pranzare insieme. Fammi sapere se non sei impegnata al lavoro. Ah e chiama tua nonna. Sembrava incazzata quando mi ha contattato. Ti voglio bene.»
Alzo gli occhi al cielo spostandomi in soggiorno che si trova adiacente alla cucina ad isola con gli sportelli in stile moderno di un azzurro carta da zucchero su un legno ingrigito.
Prendo una bottiglia d'acqua dal frigo e appoggiandomi al ripiano bevo lentamente osservando lo schermo del telefono mentre cancello il resto delle chiamate in arrivo da parte dei call center e siti di pubblicità. Adesso lasciano anche i messaggi in segreteria? Si sono proprio evoluti.
«Tesoro, io e Harvey non saremo reperibili per il weekend ma per qualsiasi cosa puoi chiamare tuo padre o i nonni. Li ho già avvisati. Sta attenta, ti voglio bene.»
«Erin, dove diavolo sei finita ieri? Ti sei persa...»
Ignoro il resto dei messaggi sbuffando. Do da mangiare e da bere a "Ness" e guardandomi allo specchio posto all'entrata dalle pareti bianche, recupero la borsetta e i tacchi mettendo piede fuori di casa per andare al lavoro.
Esco l'auto dal garage impiegando qualche minuto per aprire e chiudere la saracinesca azionando l'allarme. Faccio marcia indietro immettendomi sulla strada che conduce in uno dei miei locali preferiti, dopo quello della mia amica, mi sembra ovvio.
"Il Caffè di Renato" è un piccolissimo quadrato in cui non è possibile sostare. Il luogo adatto per una che va di fretta o che non ha tempo di aspettare per sedersi a un tavolo.
Le pareti sono color avorio con rifiniture in legno scuro. Il bancone alto tenuto a lucido ma con qualche segno del tempo e dai tanti caffè venduti ogni giorno. La particolarità di questo piccolo angolo di paradiso: è la parete alle mie spalle. Un lungo quadrato su cui appendono tutte le foto delle coppie che entrano nel locale. Ignoro questa vista concentrandomi dietro la fila, rispondendo a qualche messaggio.
Dietro il bancone vi sono tantissime targhette e foto dei premi vinti come migliore caffetteria del paese.
Una vetrina piena zeppa di squisitezze di fianco alla cassa che sembrano tutti gradire.
Saluto la ragazza dietro il bancone. Mindy ha poco più di vent'anni. Alta, slanciata, capelli legati da tantissime treccine e con un caratteraccio. Mastica rumorosamente una gomma ma non appena mi vede accenna un sorriso. Ormai sa quello di cui ho bisogno. Infatti scrive il mio nome sul bicchiere bianco versandomi caffè nero senza zucchero con una spruzzata di cannella e un cubetto di cioccolato bianco.
Poso una banconota sull'alzata e lei mi augura una buona giornata, facendo intendere che la sua sarà spossante e quasi sicuramente litigherà con qualcuno.
In realtà lo sarà anche la mia. Con queste temperature in leggero aumento con l'arrivo dell'estate, seppur il clima da queste parti sia mite, non sarò in grado di reggere a lungo addosso il peso di un costume da principessa.
Il pensiero mi fa irrigidire e arricciare il naso e le dita dei piedi mentre bevo un sorso di caffè rimettendomi alla guida.
Accendo la radio ascoltando le notizie del giorno per tenermi aggiornata e alla fine mi fermo nel parcheggio della struttura privata di mattoni rossi, una scuola che prende il nome di: "Il castello dei bambini". Struttura per gente ricca che non sa a chi affidare i propri figli di età compresa dai tre ai cinque anni. Un complesso aperto tutto l'anno e ben organizzato.
È una sorta di ambiente delle favole pieno di principesse per le bambine e un luogo di guerra per i bambini. Tutti quanti, ogni giorno indossano un abito diverso in base alla tematica scelta. Oggi è la giornata dedicata a "Peter Pan". Ecco perché ho legato i capelli e sto avanzando verso la struttura con i piedi di piombo.
Non odio essere una maestra o educatrice come ormai sono soliti definirci. Non sopporto tutto questo sfarzo e il fatto di dovermi travestire per rendere divertenti le lezioni, il gioco, persino le relazioni sociali. Non ho trovato di meglio nella mia lunga ricerca. Ho fatto tantissime domande di assunzione ma alla fine quando sono arrivata, mi sono subito trovata a mio agio. Non mi dispiace il personale. Sono tutti gentili, attenti e preparati. Da loro ho imparato tanto in soli tre anni.
Saluto una delle colleghe di sostegno vestita da pirata, poco prima di entrare nel bagno delle donne per indossare il vestito che trovo già dentro la borsa di carta che una delle mie colleghe ha lasciato lì con il mio nome.
Tolgo l'etichetta. Ormai ho l'armadio di casa pieno. Sta diventando un'abitudine travestirmi e fingermi un personaggio dei cartoni e delle fiabe. Il più delle volte sono una principessa. Un giorno giuro che mi trasformerò in un valoroso cavaliere.
Con questo breve desiderio di cambiamento, termino il caffè gettando il bicchiere dentro il cestino e mettendo in bocca una mentina, con un sorriso plastico, raggiungo la mia classe attendendo l'arrivo dei bambini.
Tutto inizia alle nove ed io mi faccio trovare in classe già dalle otto e mezzo.
Sistemo subito i cuscini in cerchio per farli sedere e ascoltare il racconto di oggi, poi stampo il materiale da colorare mettendo un foglio ad ogni postazione completa di colori e album. La mia aula è divisa a zone ed è ampia, spaziosa, colorata e piena.
«Appena ti vedranno, le bambine non smetteranno un secondo di credere nelle fate», esclama Grant dopo avere bussato alla porta.
Avanza con il suo vestito da Capitano Uncino facendomi un breve inchino plateale e comico, visto che non riesce a tenere sulla testa la parrucca e il cappello. Per non parlare dell'uncino con cui rischia di farsi male, nonostante sia di gomma. Sputacchia quando qualche pelo gli finisce in bocca. Stringo le labbra per non ridergli in faccia.
«Inizio a pensare che tu e la tua socia in affari, Maddie, avete tramato alle mie spalle proprio perché sapevate che le bambine sarebbero impazzite nel vedere le mie orecchie a punta e la mia somiglianza con Campanellino. Sappiate che prima o poi arriverà il momento di Biancaneve e non sarò tanto clemente visto che farete i nani», esclamo con il finto broncio alzando il mento.
Intanto arrivano i primi bambini in fila ordinata, vestiti da pirati, Peter Pan e Wendy; accompagnati da una persona pagata proprio per fare loro da portiere e da guardia. Indossa infatti una divisa e incute un certo timore ma con i bambini è davvero gentile e attento. In realtà il signor Leighton lo è con tutti quanti.
«Buongiorno maestra Erin», salutano alcuni bambini. Altri si fermano sulla soglia spalancando gli occhi, abbozzando sorrisi. «Sei davvero bella», dice la più piccola con l'indice in bocca e la bava che gli cola sul mento.
In breve la mia classe di bambini di quattro anni si riempie e caccio Grant dando inizio ai giochi con un: «Chi è pronto per una storia?»
Dopo ben cinque ore inizio a sentire caldo sotto il costume e l'aria intorno si sta facendo caotica perché è arrivato il momento di riunire le classi per l'ora di socializzazione e condivisione. Un modo carino per dire: un'ora di aria libera purché nessuno si faccia male.
Mi appoggio alla scrivania accettando di buon grado una tazza di te' freddo facendo attenzione ai bambini. Li tengo sotto controllo per evitare litigi e di rischiare il posto per uno spiacevole incidente.
«Allora... come hai passato la serata? Hai progetti per il weekend?»
Guardo Grant e i suoi occhi sono su Maddie. Sorrido sotto i baffi. «Solito. Tu e la nostra collega avete passato bene queste serate?»
Arrossisce dandomi una spallata. «Come hai fatto a capirlo?»
Lo guardo come per dirgli: "mi prendi per stupita o sei serio?"
Grant è un uomo semplice. Capelli castani, occhi nascosti da una montatura squadrata, barba rossiccia. Il classico bravo ragazzo, un po' timido ma sempre disponibile e gentile con tutti.
Massaggia il mento in imbarazzo attendendo una mia spiegazione.
«Gli sguardi, i doppi sensi... davvero vuoi farmi continuare? Perché non mi spieghi come sei riuscito a farla cedere.»
Maddie è l'opposto di Grant. Capelli biondi, occhi nocciola e sguardo letale. Ha sempre una risposta pronta per tutto ed è molto attenta ai dettagli. In fatto di uomini, si vocifera, che abbia fatto strage di cuori negli ultimi anni, senza mai trovare l'uomo giusto. Grant sarà l'eccezione?
«Ho le mie doti nascoste», dice fingendosi offeso, afferrando con la lingua la cannuccia prima di bere un sorso di coca-cola zero con ghiaccio.
Rido prendendo un biscotto con lo zucchero di canna sopra. «Immagino. E stasera vi vedrete con questi indumenti addosso prima di strapparveli o...»
Si nasconde dietro il bicchiere. «E tu? Finalmente conoscerai qualcuno o continuerai a viziare il tuo gatto rancoroso? Se chiudo gli occhi sento ancora i suoi artigli sul culo.»
«Linguaggio!», lo rimprovera Maddie guardandolo minacciosa.
Rido forte al ricordo di Ness che ha aggredito Grant quando un giorno è entrato in casa perché dovevo consegnarli dei disegni stampati per lui. «Il mio gatto è una buona compagnia e anche una fedele guardia del corpo.»
Sbuffa. «Immagino...»
Sto per replicare quando il mio telefono squilla. Saluto i primi genitori che hanno già iniziato a prendere i loro figli. Credono che questo risolverà un giorno la carenza di affetto del frutto del loro amore o del dovere.
«Pronto?»
«Scusami tanto se ti disturbo, so che quando sei al lavoro non devo farlo ma... non sapevo chi altro chiamare.»
Corrugo la fronte. «Sammy, sei ancora ubriaca o cosa? Sai che non posso darti retta quando sono qui dentro.»
In sottofondo sento delle urla, una sirena, dei comandi e lei che singhiozza tirando su con il naso nel tentativo di calmarsi.
Mi blocco. «Che succede?»
«È appena esplosa la nostra vecchia 'Marge'», dice tirando ancora una volta su con il naso.
Drizzo la schiena spalancando gli occhi. «Che cosa? Dici sul serio?», alzo il tono mordendo il labbro.
«Si, la nostra 'Marge' si è appena spenta dopo avere fatto un enorme boato. Adesso è un ammasso di fumo e oggetti anneriti. Non si può recuperare niente di niente.»
Batto le palpebre incredula. "Marge" è il nome che abbiamo attribuito io e Samantha, Sammy, al laboratorio con la piccola cucina usata per preparare i dolci da vendere sul furgoncino ambulante fermo all'angolo della strada.
Il dispiacere è evidente sul mio volto. Mi muovo per istinto verso le mie cose. «Come diavolo è successo? Qualcuno si è fatto male?»
Singhiozza forte. «No, per fortuna nessuno era qui vicino quando è successo. A me hanno chiamato i pompieri e dei vicini che hanno sentito il boato», sospira. «Puoi raggiungermi? Non mi va di chiamare a casa. Non capirebbero e mi prenderebbero in giro sentendomi piangere in questo modo per uno sgabuzzino.»
Annuisco come se potesse vedermi. «Dovresti avvisare lo stesso a casa. La notizia si spopolerà in fretta. Vedo già gli articoli su quella vecchia catapecchia esplosa. Il titolo: "Oggi volano ciambelle ripiene nel cielo di Seattle"», trattengo una risata.
«Erin!»
«Va bene, scusa. Arrivo subito.»
Tappo la cornetta. «Devo allontanarmi. Emergenza», dico piano a Grant.
Lui annuisce. «Vai pure. Qui ci penso io. Mancano solo dieci minuti e non c'è più nessuno.»
«Grazie. Restituirò il favore!», esclamo correndo verso il bagno a cambiarmi. Finalmente toglierò questo dannato costume che pizzica in maniera terribile sulla mia pelle.
«Sammy, arrivo subito!», dico alla mia amica rimasta in ascolto.
«Sbrigati o ti perdi il divertimento», riaggancia senza darmi alcuna spiegazione.
Divertimento?
Non appena tolgo il costume mi sento libera. Indosso la maglietta bianca larga e sottile e i jeans attillati neri. Allaccio le scarpe da ginnastica con la suola alta e comoda togliendo finalmente i dannati tacchi e corro in fretta a salvare la mia amica.
Io e Sammy non abbiamo niente in comune. Ma forse è proprio questo che ci lega sin dal primo istante in cui ci siamo incontrate. E insieme non combiniamo niente di buono.
Ci siamo conosciute all'università poi lei ha abbandonato contro il volere dei genitori per dedicarsi alla pasticceria prendendo un diploma a parte, diverso da quello che aveva e dei corsi di formazione aggiuntivi per tenersi al passo con le tecniche all'avanguardia. In breve ha messo su il suo laboratorio e poi si è ampliata con un locale più grande verso il centro pieno di negozi esclusivi di Seattle.
È brava nel suo lavoro e tutti quelli che assaggiano le sue dolcezze non smettono di passare dal suo locale per ammirare la bellezza della vetrina sempre piena e colorata e per avere un assaggio, non solo dei suoi dolci, ma anche della sua allegria, nonché senso dell'umorismo.
Ai suoi genitori non è andato a genio ma ormai da anni hanno iniziato ad accettare le sue scelte "stravaganti". Si sono ricreduti soprattutto quando ha portato a casa i primi premi partecipando a dei concorsi, ottenendo quasi sempre il primo posto, come quando è entrata nella classifica dei migliori giovani pasticceri di Seattle.
La scuola non si trova poi cosi distante dalla vecchia "Marge". Solo a qualche isolato. Il traffico non è fitto come in centro e riesco ad arrivare prima del previsto.
Lascio l'auto all'ombra e corro subito in direzione del vicolo in cui trovo il caos.
Pompieri, fumo, idranti, gente che guarda da lontano sul marciapiede, curiosi che scattano foto e chiedono dichiarazioni come se fossero dei giornalisti. E poi seduta davanti alla struttura, sulla panchina: Samantha.
Occhi profondi castani, labbra rimpolpate oggi rosso vino, capelli rosso fragola legati a cipolla da due bacchette e mole robusta.
Non appena mi vede mi fa cenno alzando nella mia direzione la bottiglia di vino. Sgrano gli occhi e guardandomi intorno mi avvicino a lei superando la strada. «Adesso bevi mentre sei in servizio?», brontolo indicando la sua divisa aperta sul davanti e il grembiule slacciato e sulla panchina.
Beve un lungo sorso e le tolgo la bottiglia dalle mani. «Sammy!»
«La nostra creatura è morta. È scoppiata come un petardo in pieno giorno», imita l'esplosione con le mani. «Che cosa dovrei fare? Non posso essere di certo felice.»
Le massaggio la schiena evitando di ridere. Glielo dicevo che prima o poi avrebbe fatto il botto. «Hai il tuo locale e puoi sempre importare da lì le tue squisitezze sul furgoncino», le faccio presente. «I tuoi clienti abituali non perderanno i cornetti o le ciambelle solo perché è esplosa "Marge". In questo modo potrai concentrarti solo su un locale.»
Allunga le labbra. «Ma non sarà più lo stesso. Lì dentro custodivo troppi ricordi.»
Lo so. Anch'io. «Che cosa è successo?»
«A quanto pare si è rotto un tubo del gas e qualcuno ha lanciato per errore una cicca di sigaretta facendo partire come una miccia tutto quanto. Stanno evacuando il quartiere come puoi ben vedere.»
Tengo gli occhi spalancati con una mano sul petto. «Mio Dio, davvero?»
Sammy annuisce con sguardo spento. Riprende la bottiglia finendo il suo vino. «Già... che cosa si fa in queste occasioni? Dobbiamo fare un funerale o qualcos'altro?»
Mentalmente organizza l'agenda, elabora anche un piano. Poi si alza annuendo con se stessa. «Preparerò qualcosa per tutti in onore della mia piccola...»
Le blocco le mani. Sammy ha la tendenza a farsi prendere dal panico. L'abbraccio perché so che è questo quello di cui ha bisogno è di rilassa. «Scusa, sto dando di matto per un rottame coperto dall'assicurazione. È stato il mio primo amore e so già che non lo dimenticherò più.»
Mi irrigidisco.
Più il tempo passa più mi rendo conto che le cicatrici te le porti addosso come un tatuaggio. E non importa quanto strofinerai la tua pelle, quello che tieni dentro non andrà mai via. Ho perso il conto di tutti i segni che hanno crepato il mio cuore. Ma sento ancora tutto lì, intrappolato e non posso smettere di ricordare che c'è ancora qualcosa in grado di farmi stare male.
All'inizio è stata davvero dura poi però è tornato il sole, ho curato ogni ferita che, a poco a poco ha smesso di sanguinare, non ha fatto più male. Ma ciò non significa che io non senta ancora la loro presenza sotto pelle, dentro il cuore. Non significa che io non abbia paura. Le cicatrici ci sono ancora. Sono ricordi sbiaditi di un passato lontano e doloroso. L'eco di ciò che ho vissuto, il fantasma di quanto ho provato, l'eterna presenza di quello che ho perso.
Sammy si accorge della mia reazione e lascia la presa guardando nei miei occhi improvvisamente sfuggenti. Le ho accennato di un brutto periodo ma non le ho mai raccontato niente del mio passato nel dettaglio. Niente di profondo. È inutile scavare per tirare di nuovo fuori ciò che hai seppellito per tanto tempo.
Sammy è un'eterna romantica e non smetterebbe un solo istante di tempestarmi di domande o di escogitare piani che si sgretolerebbero sul nascere.
«Chi di voi è Samantha Young?»
Sammy liscia il tessuto della divisa guardando alle mie spalle. Sulle sue guance si deposita un piccolo alone di rossore e mi volto per capire cosa le sta impedendo di rispondere, con la sua solita allegria e sfacciataggine, alla voce graffiante e pacata.
Davanti a me: uno dei vigili del fuoco impegnati a spegnere il rogo all'interno di "Marge". Alto, muscoloso, possente, capelli corti, quasi rasati, accenno di barba ma curata e occhi letali e taglienti come il vetro.
Mi si secca la gola ma indico la mia amica mentre lui continua a fissarmi come se mi stesse studiando o come se ci fossimo già incontrati da qualche parte. Forse in un'altra vita o forse ci siamo incrociati un paio di volte in qualche locale, per strada, mi dico drizzando la schiena. Anche lui si ricompone in fretta mentre io, distolgo lo sguardo per non creare scene imbarazzanti e da ragazzina mettendomi da parte, osservando la vecchia "Marge" incenerita con un certo distacco. Ma nonostante lo sforzo, anch'io sentirò la mancanza di quel posto familiare. Li custodivo i miei nuovi ricordi, quelli costruiti con una gran fatica.
«Sono Bradley Connor, dovrebbe seguirmi un momento per firmare dei documenti? Le serviranno per...»
La mia amica si ricompone. Non è di certo una che sbava davanti al primo ragazzo che incontra. Io sono distratta e non sento tutto il discorso. Sarà sicuramente inerente all'assicurazione.
«Avrò bisogno anche della mia amica, vede, sono molto scossa», usa un tono dolce e convincente toccandosi il petto prima di allacciarsi il grembiule che recupera dalla panchina.
Se non la conoscessi, cadrei anch'io nella trappola. Inarco un sopracciglio e mentre il tizio annuisce facendo cenno di seguirlo, la guardo con rimprovero e anche per capire che diavolo le sta passando per la testa. Lei solleva entrambe le sopracciglia. Io i miei occhi al cielo. «Non farlo», le mollo una gomitata. «Non interferire», ringhio a bassa voce.
«Ma hai visto come ti guardava? Inoltre è il tuo tipo. Come fai a non accorgerti di lui?», sussurra a denti stretti.
Le mollo un'altra gomitata. «Sta zitta!»
Mi guarda subito con un sorriso che non promette nulla di buono. «Signor Connor, lei è single?»
«Come scusi?»
Lui si volta corrugando la fronte. I rumori per fortuna hanno attutito le parole di Sammy, anche se la vedo pronta a porre di nuovo la domanda.
Sono rossa dall'imbarazzo e per non farlo notare prendo il telefono facendo finta di leggere un messaggio inesistente ma di vitale importanza. Poi la guardo. «Scusa, devo fare una chiamata», dico e, prima che possa combinare qualcosa di incredibilmente imbarazzante, senza darle modo di rispondere, mi allontano mimandole: "fottuta stronza!".
Ne approfitto per avvicinarmi alla struttura dalla quale esce un filo di fumo e la puzza di plastica bruciata pizzica le narici. Si sente ancora la puzza di gas e di strumenti carbonizzati. Quel deficiente che ha lanciato quel mozzicone di sigaretta ha proprio fatto un buon lavoro. Per fortuna non c'erano auto parcheggiate qui davanti o persone in transito, penso notando i danni.
Con la coda dell'occhio, noto Sammy parlare con il pompiere. Non credo di avere capito il suo nome. Vedo solo come ride la mia amica facendo persino le fusa mentre firma dei documenti che le permetteranno di avere il risarcimento dei danni.
Intorno a me alcuni ragazzi continuano a spegnere i piccoli roghi ancora accesi. Devono fare attenzione a tutto.
Scatto delle foto sporgendomi verso l'interno, faccio attenzione ai vetri sparsi al suolo per non tagliarmi. C'è qualcosa che non va qui dentro. «Perché si sente ancora puzza di gas? E che cosa è questo suono? È come una pentola che bolle», chiedo ad alta voce.
Il ragazzo comparso alle mie spalle non è altro che il tizio di prima. Averlo a poca distanza mi provoca una strana sensazione.
Come diavolo ha fatto ad essersi liberato della mia amica?
Corruga la fronte. «Già. Stai qua», ordina in modo rude infilandosi il casco, entrando tra le macerie.
Sammy si avvicina cauta. «Che sta succedendo?»
Non ho neanche il tempo di rispondere.
I pompieri presenti, mettono in salvo tutti mentre io non riesco a muovere un piede per allontanarmi dalla strada raggiungendo il marciapiede dalla parte opposta. Una zona sicura.
«Allontanatevi da qui immediatamente!»
Dall'interno del locale si sprigionano delle fiamme alte e lui esce tenendo in mano una dannata bombola sul punto di esplodere.
Non appena mi vede spalanca gli occhi ma i miei sono rivolti verso lo stupido di fianco a me, a circa un metro di distanza, un paparazzo, che senza accorgersene ha appena acceso una sigaretta. Un ragazzo ispanico dei pompieri presenti, gliela strappa dalle mani sbraitandogli addosso. I due lottano un momento. La sigaretta vola via dalle sue mani e va a finire verso la zona in cui si sente forte il gas.
Vedo molte cose a rallentatore. Il mio cuore però accelera nell'esatto istante in cui il tizio a pochi metri da me ha l'istinto di lanciare quello che tiene in mano e con uno scatto raggiungermi e schiacciarsi su di me.
Non ho il tempo, lo spazio e la capacità di evitare l'impatto. Atterro di spalle al suolo mentre vengo coperta interamente dal suo corpo caldo e stretta in una morsa sicura prima di percepire un boato in grado di fare tremare i palazzi intorno, suonare gli allarmi e abbaiare i cani. Una fiamma rossa presto si trasforma in fumo nero e tossico. Tutti iniziano a tossire e a scappare urlando.
Mi manca il fiato mentre l'uomo che mi sta proteggendo si alza lentamente guardandomi fisso negli occhi. Rimaniamo così, per quello che a me sembra un lasso di tempo eterno. Come due statue scolpite l'una di fronte all'altra in un museo sempre affollato. Così vicini eppure distanti.
Stacco le mani dal suo petto. Il tempo smette di rallentare e intorno a noi, dopo un breve silenzio, scoppia un applauso, volano nell'aria dei fischi e poi anche delle esclamazioni. Voci che si confondono alle mie orecchie.
Per istinto, mi tocco la nuca e con una smorfia mi rimetto in piedi togliendomi di dosso un po' di fuliggine, qualche coccio di vetro e anche la sensazione di essere quasi morta ed essermi trovata faccia a faccia con un angelo custode.
L'uomo in divisa continua a guardarmi con attenzione ma le mie orecchie non sentono minimamente quello che mi sta chiedendo. Solo quando una mano si posa sul mio braccio riprendo fiato tornando alla realtà. Boccheggio e batto le palpebre velocemente.
Sammy mi si para davanti più che allarmata. «La vecchia Marge ci stava facendo fuori tutti», dice d'impulso. «Chi lo avrebbe mai detto che serbava così tanto rancore nei nostri confronti.»
Rido istericamente. «Non voglio più sentire parlare di questo posto. Non dopo che stavo per rimetterci le penne», esclamo in parte irritata e ancora un po' intontita.
Annuisce voltandosi. Guardo anch'io l'uomo che mi ha appena fatto da scudo con il suo corpo. «Grazie», mi affretto a dire. Non dimentico le buone maniere e sono davvero riconoscente. Quale pazzo farebbe una cosa così assurda per salvare una come me?
Ha rischiato la sua vita per salvarmi e adesso che cosa dovrei fare?
Mi fa un cenno con la testa. «Dovere!»
Tutto qua? "Dovere?"
Non nascondo il mio scontento mentre lo vedo allontanarsi. Ma più lo osservo più vedo la sua intenzione. Cammina a passo deciso, come un falco, verso il cretino che ha causato tutto questo e afferrandolo per il bavero della giacca lo spinge contro la parete sbraitandogli addosso prima di mollargli un pugno in faccia.
Attorno non vola più una mosca. I suoi colleghi hanno appena distolto lo sguardo.
«Potevano morire delle persone a causa della sua stupidità!», gli urla. «Metta questo sul suo dannato articolo.»
Il pompiere ispanico gli si avvicina ma lui allontanandosi di scatto dal giornalista, si fa largo tra la piccola folla che si è appena creata nel quartiere, con una freddezza che mette i brividi. Il ragazzo che si è avvicinato a lui guarda l'uomo e con un sospiro, scuotendo la testa, lo porta verso il camion dei pompieri per disinfettargli il labbro.
«Adesso si che saremo sui giornali», balbetta Sammy incredula e con occhi fissi.
Annuisco continuando ad osservare anch'io la scena. È stato strano.
Gli occhi della mia amica si abbassano sulla mia spalla quando mi volto per ripercorrere con la mente gli ultimi cinque minuti. Vedo che gli si sgranano.
«Oh cazzo!», tappa la bocca.
«Cosa? Hai dimenticato oggetti di valore lì dentro?»
«Sei ferita! Erin, sei ferita!», urla attirando l'attenzione dei presenti.
Guardo la spalla, la maglietta bianca si è strappata ed è macchiata di sangue. Fisso tutto con distaccato interesse. «Non è niente. Sarà stato quando sono caduta.»
«Come non è niente? Sei ferita!», sbraita agitata. «C'erano pezzi di vetro e potevi...»
Sento dolore alla spalla quando premo le dita sullo strappo insanguinato per vedere se ci sono schegge, ma la rassicuro. «È solo un graffio, Sammy.»
Sentiamo dei passi veloci. Mi volto e lui è più vicino. Alle narici mi arriva l'odore della sua colonia. Un misto di Paco Rabanne, sudore e fumo. Un aroma invitante, curioso per i miei sensi già tutti in allerta a causa della sua vicinanza non richiesta.
Sono stata ferita e non voglio che nessuno si avvicini a me. A volte, quelli che si difendono creando una barriera a fargli da scudo sono quelli che hanno dovuto proteggere a lungo il proprio cuore dal dolore.
Senza chiedere il permesso controlla da vicino lo strappo. «Deve andare in ospedale.»
Arriccio il naso. «No, non è niente. È solo un graffio. Andrò a casa a cambiarmi e a disinfettarla.»
«Mi dispiace, non posso lasciarla andare così a casa. Insisto che lei si faccia visitare.»
«So come disinfettare una ferita. È solo un graffio.»
«Posso?»
Sammy mi spinge verso di lui. «Si, sono preoccupata per lei. Ha una soglia del dolore molto alta e la capacità di attirare guai come nessuno. Per favore mi dica che non è niente di grave.»
La guardo male. Lei mi ignora trascinandomi verso il furgone rosso dei pompieri dove l'uomo, facendomi sedere sul marciapiede mi chiede di abbassare sotto la spalla la maglietta per controllare. Per fortuna non devo toglierla grazie ai bottoni sul davanti.
«È un brutto taglio ma non ci vogliono punti e posso disinfettare la ferita con quello che abbiamo nella cassetta. Dovrà comunque andare in ospedale. Credo che lei abbia battuto anche la testa e...»
«Proceda!», taglio corto. So cosa devo fare. Non ho ancora avvertito la nausea quindi non ho nessun trauma cranico.
Sammy mi stringe la mano, come se fossi una bambina spaventata. In realtà lo è lei. Mi lascio toccare dall'uomo. Inarco un po' la schiena quando sento le sue dita sulla pelle che nell'immediato si rizza. Vorrei tanto ritirarmi ma serro i denti.
«Sente dolore?»
«Dammi del tu e no, non sento dolore.»
Per mettermi alla prova preme il tampone sulla ferita per disinfettarla ma non reagisco e allora continua con uno strano cipiglio. Si aspettava una stupida frignona?
Quando termina il suo lavoro mettendomi sulla spalla un grosso cerotto piatto, sistemo in fretta la maglietta. Toglie i guanti gettandoli dentro un cestino vicino tornando da noi. «Devi fare controllare la botta che hai preso alla testa», dice indicandola. «Potrebbe essere grave.»
Annuisco. «Ok, non credo di avere un trauma altrimenti non riuscirei a tenere gli occhi aperti e vomiterei anche l'anima ma grazie del consiglio», mi alzo in fretta per allontanarmi da tutto questo.
Non so perché mi sento irritata. Forse mi sto comportando come il mio gatto perché non so più come si fa, come ci si comporta di fronte ad una persona che cerca di offrirmi il suo aiuto e che si preoccupa per me. Credo di essere diventata indifferente alle dimostrazioni.
«Grazie per il vostro lavoro, Connor. Mi piacerebbe invitarvi tutti nella mia pasticceria per offrirvi qualcosa di dolce, per ringraziarvi tutti dell'ottimo lavoro svolto», dice Sammy con un ampio sorriso. Vedo che si è un po' irrigidita a causa della mia reazione, ma in breve rilassa le spalle. «Si trova a cinque isolati da quella strada, sulla destra, accanto un negozio di fiori. Si chiama "Peccati di Gola". Vi aspettiamo!»
«Grazie dell'invito», dice con distacco allontanandosi da noi dopo avermi scoccato un'occhiata feroce. Ma prima di salire sul furgone, noto che si volta ancora a guardarmi. Ha un dannato sguardo in grado di intrappolare in una morsa letale.
Sammy mi tira più che agitata interrompendo la strana connessione. «Andiamo!», mi dice eccitata al pensiero di servire dei pompieri dopo averli invitati uno ad uno.
Guardo la mia amica. «Devo andare a casa a cambiarmi. Non posso venire al locale così. E a quanto pare dovrò passare da mio padre per la testa perché potrei avere un trauma cranico.»
Lei soppesa il mio sguardo. «Ti do dieci minuti dopo di che vengo a prenderti con la forza e te lo procuro io il trauma cranico.»
I suoi occhi luccicano.
Ha qualcosa in mente, me lo sento.
Non so come si concluderà questa strana giornata ma so che quando c'è Samantha di mezzo, quasi sempre succede qualcosa di imbarazzante. Quindi dovrò fare molta attenzione.🖤
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Come crepe sull'asfalto
Romance(2 libri in 1) Eterna sognatrice, leale, coraggiosa, un po' viziata e a tratti ribelle a causa della scarsa mancanza d'affetto e attenzioni, Erin Wilson non si lascia comandare tanto facilmente. Questo, fino a quando durante una cena scopre, come t...