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Il destino a volte non è solo crudele. Ha la capacità di metterti davanti alla felicità terrorizzandoti con molteplici scenari. Allora ti manca il coraggio di affezionarti. Di amare.
Per amare c'è bisogno di una grossa quantità di coraggio. Una parte del cuore rimarrà sempre chiusa, colma di ricordi dolorosi. E non puoi pensare lontanamente di aprire quella porta e sbarazzarti di ogni paura, di ogni lacrima, di ogni sorriso, di ogni gesto perché se lo fai di te non rimarrà altro che un guscio vuoto da riempire di nuovo con sogni, speranze e illusioni.
Quindi per amare c'è bisogno di una metà di cuore. L'altra è l'incastro imperfetto che trovi in una persona. Magari quella che ti completa. Quella persona che ti farà capire perché il tuo cuore non ha mai funzionato davvero bene.
Mi rigiro nel letto non riuscendo a prendere sonno. Ho così tanti pensieri a vorticarmi dentro la testa da farmi sentire sottosopra. E più guardo Kay serenamente addormentato come un bambino più mi sento confusa.
Non credo di avere mai provato così tante sensazioni verso una persona che prima rappresentava solo la figura di un nemico. Forse l'ho così tanto idealizzato che adesso non riesco a cambiare pensiero su di lui. E questa cosa mi fa sentire incoerente, mi agita, mi toglie il sonno e il respiro.
Vorrei tanto fermare il tempo, prendermi pochi istanti per capire, per decidere.
Sento di stare sbagliando ogni cosa. E so che non posso legarmi ad una persona che non dà certezze, lo so, ma non so se posso lasciarmi andare del tutto rischiando di farmi male.
Lo guardo corrucciata. Una parte di me vorrebbe svegliarlo e riprendere da dove ci siamo fermati mentre l'altra mi trattiene, chiede di fare attenzione, di non essere impulsiva e di mantenere una certa distanza per tenere al sicuro un cuore che di per sé sta già battendo senza controllo.
La mia mano si avvicina al suo viso. Quando dorme sembra proprio un altro. Il suo respiro lento mi riscalda la pelle. Non lo tocco per non vedere quelle iridi animarsi e scagliarmi addosso il freddo di un inverno ormai alle porte in cui mi toccherà lottare per non crollare.
Di tanto in tanto si muove impercettibilmente mugugnando qualcosa poi torna in posizione. Spesso trattiene il fiato, come se stesse sognando e qualcosa gli avesse tolto il respiro.
È davvero bello. Bello e non comune. Non per me.
Mi incupisco per un lungo istante. Non riesco proprio a non fare a botte con quella parte di me che si rifiuta di essere una ragazza con dei sentimenti.
Forse perché per troppo tempo li ho sedati, tenuti all'angolo che alla fine ci ho creduto anche a non averne più per nessuno.
Le esperienze ti aiutano a crescere molte delle quali ti fanno morire dentro.
Sospiro.
Che cosa faccio? Perché proprio con lui?
Facendo bene attenzione a non agitarmi troppo, e soprattutto a non svegliarlo, scosto la coperta sollevandomi a metà busto. Sbadiglio stropicciandomi un occhio e finalmente mi decido ad alzarmi mettendo un piede sul pavimento fresco.
Il contatto con la pelle mi regala una brevissima scarica che si irradia su per il corpo partendo proprio dalle dita dei piedi.
Raggiunta la porta che apro lentamente, quasi fossi una ladra e voltandomi gli lancio ancora uno sguardo sentendomi sul punto di precipitare.
Kay, ignaro di tutto il trambusto che mi tormenta, continua a dormire abbracciato al mio cuscino sulla quale lascerà la sua impronta, il suo odore, quello che in questi giorni mi vortica intorno e continuo a sentire familiare, quasi mio.
Mordo forte il labbro per punirmi e darmi una scrollata scuotendo la testa ancora incredula per quello che mi fa provare anche quando non si muove, non mi guarda, non mi dedica la sua attenzione.
Forse mi basta averlo vicino per perdere il controllo. Con questo pensiero, scendo al piano di sotto dove fermandomi sull'ultimo gradino apro lo zaino che è ancora dove l'ho lasciato, prelevando il cofanetto che ho ben nascosto al suo interno.
Accendo il camino sedendomi sul tappeto, a gambe incrociate. Il cofanetto di legno in grembo. Lo sfioro con le dita percependo l'elettricità che mi fa sentire come una bambina con le dita dentro il barattolo nascosto dei biscotti della nonna.
In fondo, è mio il contenuto al suo interno. Non capisco perché mi sto sentendo come una che sta mettendo le mani su qualcosa di estraneo per scovare un segreto sepolto.
Sollevo il coperchio lentamente. La mia mano esita alla vista delle mie cose. Piccoli oggetti di un passato che sembra molto lontano.
Siamo tutti aggrappati a qualcosa. Siamo tutti aggrappati al passato. Chi più, chi meno, ognuno di noi ha qualcosa di importante da non dimenticare. Da tenere dentro, ben nascosto da occhi indiscreti.
Sfioro la collanina di tulle con un medaglione di plastica al centro. È rotta dal gancio, strappata dalla mano di una bambina: Harper.
Come dimenticare quel momento?
Era carnevale e avevamo erroneamente lo stesso vestito da principessa anche se di colore diverso. Lei apprezzava il rosa io l'azzurro o al massimo il rosso, proprio come in quell'occasione. Lei era così viziata e furiosa quel giorno da non contenersi. Non solo aveva fatto piangere altre bambine rovinando i loro vestiti che aveva calpestato con i piedi fino a strapparne qualcuno, si era anche avvicinata a me con una scusa. Non avevo di certo immaginato che mi avrebbe strappato dal collo il medaglione rosso urlandomi che lei non ne aveva uno e che quindi non dovevo averlo neanche io.
Ricordo che lo gettò all'angolo poi mi prese per mano trascinandomi in pista in un mare di coriandoli. Non ebbi il tempo di recuperarlo per farlo aggiustare e mi costò una sgridata da parte di mamma che, ovviamente non ha creduto alla mia storia.
Poso la collana sistemando una ad una le calamite dei Pokémon sul pavimento. Erano i miei preferiti ma non ricordo come li ho persi. Ci giocavamo in giardino, li tenevo sempre dentro una piccola cartella di plastica.
Nonostante i ricordi che questi oggetti rievocano, continuo a sorridere come una bambina. Mi rende felice sapere di avere ritrovato qualcosa della mia infanzia. Pensavo di avere perso ogni cosa e che mio padre trasferendosi in un'altra casa avesse buttato tutto per non dovere soffrire la mia mancanza.
Ho sempre creduto di avere perso queste cose quando rincorrevo qualcuno o quando mi impigliavo in qualcosa o semplicemente perché mi piaceva regalare qualcosa di mio agli altri.
Tiro fuori gli elastici colorati. Uno ha un cuoricino nero di plastica al centro.
La mia attenzione viene catturata da qualcosa che luccica alla luce del focolare che di tanto in tanto scoppietta.
Indugio prima di sollevare un regalo che ho cercato tanto: il braccialetto con le perle acquamarina con al centro una mezza luna piena di Swarovski.
Tappo la bocca con un sorriso che vorrebbe tanto trasformarsi in lacrime di gioia, tanto mi trema.
Ho sempre avuto un polso piccolo. Provo ad allacciarlo ed è proprio come lo ricordavo. Ai tempi mi stava anche largo ma quando l'ho visto non ho resistito e ho chiesto di poterlo comprare. Eravamo ad una fiera. Mamma e papà stavano ancora insieme. Nessuno lo avrebbe mai detto che dopo qualche mese tutto sarebbe andato a rotoli.
«È sempre stato il mio preferito», tuona una voce profonda, calda in contrasto al carattere alle mie spalle.
Mi volto. Kay si avvicina sedendosi alle mie spalle, lasciandomi appoggiare al suo petto. Sfiora il bracciale al polso guardandolo gelosamente. La mia pelle si scalda quando mi bacia la spalla risalendo lentamente sul collo.
«Anche il mio», mormoro sommessa per non svegliare nessuno. «Ho cercato di convincere per mezz'ora mia madre a comprarmelo. Per lei era l'ennesimo capriccio.»
«Sei scappata», mugugna con rimprovero evitando di farmi qualche domanda su quel periodo.
«Non sono scappata», rispondo sentendo l'agitazione crescere.
Come fa a capirmi al volo?
Spero non fosse sveglio.
Inarca un sopracciglio. «Ah no?»
«Non riuscivo a dormire e non volevo svegliarti», ammetto d'un fiato posando tutto dentro il cofanetto. Guardo un momento il bracciale poi lo slaccio porgendoglielo.
Esita un attimo come se dovesse toccare un oggetto sacro poi lo afferra rigirandolo delicatamente tra le dita e, dopo averci dato un bacio sopra come un portafortuna lo rimette dentro il cofanetto sistemandolo sul bordo del camino.
Torna ad abbracciarmi. Un gesto che mi scalda e mi danna l'anima. «Dimmi la verità», porta dietro l'orecchio una ciocca appoggiando la fronte sulla mia tempia. «Che ti succede? Sei nervosa.»
Prendo fiato lasciandomi stringere dalle sue braccia. Passo le dita sui tatuaggi. «Posso essere sincera senza suscitare strane reazioni? Parola di scout?»
Riflette per pochi istanti. «Hai la mia parola.»
Mi agito visibilmente. «Non riesco a lasciarmi andare. C'è qualcosa che mi frena», dico velocemente, troppo.
Kay mi accarezza la guancia strofinando sotto l'orecchio, un punto in grado di darmi il colpo di grazia. «Spiegami», aspetta più che attento.
Ho stuzzicato la sua attenzione e adesso eccoci a parlare di quello che provo. «Dopo che mio padre ha fatto trovare le valigie fuori dalla porta a mia madre, lei mi ha preso in braccio trascinandomi con sé senza darmi il tempo di salutare, di raccogliere le mie cose», inizio ripercorrendo quei giorni duri come la roccia. «Ho passato gli anni più brutti della mia vita tra psicologo, scuola, nuovi posti, visite in presenza di avvocati e assistenti sociali e tanto altro che non sto qui a raccontarti perché non basterebbe un giorno o una vita intera per farlo», mando giù il grosso nodo che sento allacciarsi alla gola. «Mi sono chiusa. Io in tutti questi anni non ho più permesso a nessuno di ferirmi o farmi sentire come se ci fosse un motivo per essere felice. Mi sono allontanata giorno dopo giorno da tutti, soprattutto da me stessa e ho messo da parte i sentimenti. So che sembra assurdo ma... ho smesso di provare qualcosa per gli altri.»
Kay gratta la fronte. «Mi stai dicendo quello che penso?»
«C'è una parte di me che si trattiene mentre l'altra vuole tanto provare quel qualcosa, che sia una piccola scintilla o un brivido ma... sono bloccata. Io...»
Abbassa le spalle. «Hai solo paura», conclude in tono dolce, roco. «Non sei più abituata a fidarti e ti senti in conflitto.»
Annuisco. «Come fai a saperlo?»
«Perché provo tutto questo anch'io.»
«Come... come è possibile?»
«Da quel giorno non hai chiuso solo tu con tutto e tutti, Erin.»
Spalanco gli occhi incredula. Il cuore prende a battere frettolosamente. «Spiegami», chiedo silenziosamente di rendermi partecipe.
«Per anni ho tenuto tutto e tutti a distanza. Nessuna relazione stabile, nessun rapporto duraturo, niente affetto...»
«Niente amore», concludo per lui che sta già annuendo dopo avere contratto la mascella.
«Come hai fatto a sopravvivere a questo?»
Soppesa il mio sguardo. «Andando avanti. Come te non starò qui a raccontarti la storia della mia vita dopo la tua partenza ma ho aperto gli occhi e ho capito che posso scegliere. Anche tu puoi farlo. Puoi scegliere di chi fidarti, a chi avvicinarti...», mi fa intendere il resto smettendo di parlare.
Il silenzio ci circonda. Dopo pochi attimi Kay prende di nuovo parola. «Io non voglio cambiarti. Voglio solo che inizi a scegliere per te. Prova a capire quello che vuoi e sazia quelle due parti di te che fanno a botte. Trova un equilibrio e smettila di avere paura a lasciarti andare. Nessuno può giudicarti se vuoi qualcuno che in parte odi. Nessuno può comandare davvero il tuo cuore, neanche tu.»
Lo abbraccio. «Dove sei stato?», sussurro sulla sua spalla riempiendomi i polmoni del suo odore.
Ricambia la stretta passando la mano sulla mia schiena. «Sei tu che te ne sei andata», mormora pensieroso. «Quindi sei scesa perché avevi il timore di saltarmi addosso?»
Arrossisco. Vorrei abbandonarmi ad una risata isterica in questo istante ma capisco che potrei apparire una pazza. «Non la metterei proprio così», dico timida. «E tu, che ci fai sveglio?», cambio discorso.
Appoggia il gomito sul ginocchio, con il polso regge la guancia. «Mi sono riscosso perché le mie braccia erano vuote e... tu non c'eri. Ho provato una strana sensazione nel non trovarti. Così, mi sono alzato per venirti a cercare e capire la ragione della tua fuga improvvisa. Ho notato la luce del camino accesa e ho visto che eri assorta così ti ho osservata, be' questo fino a quando non hai preso il bracciale. Spero di non averti disturbata», spiega assonnato.
«Adesso fai attenzione a queste cose?», lo guardo scettica. «Di solito non ti preoccupi di apparire pressante o un maniaco.»
«Direi di no. Però non vorrei avere interrotto qualcosa, un momento tuo. Non so se mi sono spiegato», ribatte tranquillo. Non accenna più ad avvicinarsi e questo mi fa sentire strana dentro, insicura. «Adesso che siamo faccia a faccia, né approfitto per parlarti di una cosa», con l'indice mi sfiora il naso poi la mano dalla guancia si sposta tra i miei capelli avvicinandomi lentamente.
«Spara», sussurro giocando con le sue labbra quando inizia a stuzzicarmi.
Rimane serio. «Mi stavi facendo ingelosire con Shannon?»
Non mi trattengo e scoppio a ridergli in faccia. «Vuoi davvero parlare di questo?»
Rimane con lo sguardo serio. Provo a ricompormi muovendomi sul posto. «Fai sul serio», la mia non è una domanda e lui in risposta sta annuendo.
Lo vedo pensieroso, a tratti distante. «C'è qualcosa che devi dirmi?», indaga.
Corrugo la fronte. «Tipo... che cosa?»
Passa la mano tra i capelli neri come le piume di un corvo scompigliandoli. «Tipo... sei ti sei comportata in quel modo con lui perché volermi farmi un dispetto oppure nella peggiore delle ipotesi perché Shannon ti piace e ne sei attratta. Lo capirei... basta dirlo.»
Inarco un sopracciglio guardandolo più che scettica. «Davvero?»
Fa una smorfia come se provasse disgusto al solo pensiero. «No, non capirei affatto», ammette martoriandosi i capelli.
Fermo il suo gesto. «Shannon è una persona singolare ai miei occhi, questo non posso negarlo. Però... non mi attrae in quel senso. Lui lo sa, gliel'ho detto.»
Si trattiene ma è evidente la sorpresa nel suo sguardo. «Avete parlato?», balbetta.
Trattengo un'altra risatina e accorgendosene mi rimprovera con sguardo gelido. «Mi stai tenendo di proposito sulle spine?»
Reclino la testa. «Giusto un pochino per godermi la tua espressione. Non dirmi che sei geloso...»
Posa la mano sul fianco premendola per avvicinarmi. «Parecchio, non lo nego. Posso diventare un tantino ossessivo e pericoloso per chi ti ronza attorno. Quindi... fossi in te non rischierei così tanto. Soprattutto ora.»
Il suo sussurro mi regala un brivido dietro l'altro. Ma non sento freddo. Provo una forte attrazione nei suoi confronti. «Ora...», batto le palpebre freneticamente per capire.
Strofina la punta del naso sul mio. «Ora che sei la mia ragazza. Ti ho già detto che non condivido con nessuno?», ringhia percependo anche lui l'elettricità che ci circonda.
Mi oppongo allontanandolo prima di poter avere una reazione spropositata. «Io aggiungerei il "finta" a ragazza», dico provando ad alzarmi.
Mi lascia andare senza smettere di sorridere in quel modo che mi fa formicolare le dita e il basso ventre. «Ah si? Prima non lo dicevi quando ti facevo godere», mi sussurra abbracciandomi da dietro, guidandomi verso la cucina.
Mi giro pronta a dire la mia. Non mi permette di aprire la bocca perché mi bacia fino a sollevarmi sul ripiano, tra gli sgabelli. Staccandosi per riprendere fiato e forse anche un po' di controllo, mi regala un ultimo bacio sulla guancia.
«Lo dice solo quella parte di te che non accetta quello che ti faccio provare io», mi sussurra. «Testarda maledetta!», aggiunge. «Adesso tieni a bada quella stronza e rimani qui. Ti preparo qualcosa di dolce da mangiare», sorride facendomi l'occhiolino.
Vorrei tanto sventolarmi con la mano ma preferisco guardarmi più che accaldata intorno dondolando le gambe nude.
Kay, a proprio agio con i suoi boxer neri a risaltare sul suo incarnato pallido insieme alle ramificazioni sulla schiena e ai tatuaggi, apre il frigo prendendo una confezione di lamponi e due vasetti di yogurt al cioccolato. Una banana dal portafrutta e la confezione di cereali con frutta secca dal ripiano.
Recupera due scodelle colorate riempiendole di yogurt prima di creare una linea a forma di mezza luna con i cereali aggiungendo solo in una parte i lamponi e la banana tagliata. Tira due cucchiai dal cassetto porgendomi il suo spuntino più che soddisfatto prima di sedersi sullo sgabello per farmi compagnia.
«Adesso toglierai quel "finta"?»
Sorrido leccandomi le labbra, abbassandomi. «Sai che non siamo compatibili?»
Solleva un paio di volte le spalle. «E chi lo dice?», alzandosi toglie tutto di torno e quando torna scioglie le mie gambe incrociate sistemandosi nel mezzo.
«Anche se non lo ammetti, sei molto più di quella stronza che vuoi fare vedere», le sue mani risalgono dalle mie cosce ai fianchi, sul seno, sul collo fino a racchiudermi il viso. I suoi palmi sono caldi e forti. Io cerco di sfuggire al suo tocco prima che sia troppo tardi senza riuscire nell'impresa. Mi bacia piano, con una lentezza che è in grado di trapassarmi le ossa. Un bacio al gusto cioccolato e passione.
«Noi possiamo essere chi vogliamo oltre a incompatibili nemici», sussurra.
Gli circondo il collo con le braccia smettendo per un attimo di avere paura. «E per quanto riguarda Shannon, non voglio che diventi mio rivale», sibila minaccioso.
Sorrido mentre mi solleva. «Peccato, mi piace come si comporta con me...»
Strillo aggrappandomi a lui quando cerca di caricarmi in spalla. Alla fine mi ritrovo come una scimmia, premuta sulla sua schiena. Mi tengo stretta mentre mi porta divertito al piano di sopra.
Chiude la porta con il piede lanciandomi sul letto. Più che concentrato spegne la luce raggiungendomi e stendendosi su un fianco, mi tira fin sopra il mento le coperte.
Rido picchiando la sua mano. «So aggiustarmi la coperta anche da sola.»
«L'ho fatto così non mi distrai», dice mettendosi comodo. La mano sotto il cuscino, l'altra sul mio viso per avvicinarmi a sé.
Non parliamo ma ci scambiamo uno sguardo che dice tutto quello che non riusciamo ad esternare.
Mordo il labbro e le sue narici hanno un lieve guizzo. Insicura mi sporgo e non si muove. Solo quando sono vicinissima mettendosi supino mi fa sistemare su di lui. Strofino la punta del naso sul suo. «In questo momento una parte di me urla di fermarmi...», sussurro con la gola secca.
Toglie le ciocche sfuggite sul mio viso. «E l'altra?»
Chiudo gli occhi appoggiando le labbra sulle sue rilassandomi su di lui. «L'altra... ti vuole», mimo.
La sua mano si insinua dentro gli slip dopo avermi strizzato le natiche facendomi ansimare. «E chi delle due stai ascoltando?»
Sento le dita sfiorarmi e in risposta i miei fianchi si muovono. Dalla sua bocca sfugge un verso basso e stringendo le mani sulla sua nuca premo forte le labbra sulle sue per prolungare il bacio.
Con la punta della lingua cerca la mia provocandomi il piacere più estremo. Lo accolgo con un sorriso, incapace di trattenerlo. Schiudo le labbra ricambiando e trattenendo un po' del suo calore sulla pelle, dentro le ossa.
Kay infila del dita tra i miei capelli e per istinto muovo il bacino in un lento movimento in grado di provocargli un fremito, un verso attutito dal bacio che sembra cambiare. Da lento diventa frenetico e deciso.
Cerca ancora un contatto trascinandoci in un pericoloso gioco che va a riempire la stanza di affanno, sorrisi, schiocchi di baci rubati e fremiti.
Mi allontano lentamente. «Quella che è rimasta per troppo tempo legata», sussurro.
«Non che mi dispiaccia ma adesso sarà meglio dormire o mi verrà voglia di fare cose che tu non vuoi o che non immagini lontanamente, correndo così il rischio di beccarmi davvero una denuncia», mostra i denti.
Mi sistemo velocemente sul fianco destro lasciando che mi abbracci da dietro.
Sfioro il suo tatuaggio che parte dal polso al gomito. Non riesco a vederlo nella semioscurità della notte ma so che c'è.
«Mi dispiace per come ti ho trattato oggi», spezzo il silenzio.
Annusa i miei capelli trasmettendomi una fortissima ed intensa scarica lungo la schiena in grado di farmi mugolare.
«Sei stata spietatamente sincera», replica lasciandomi un bacio sotto l'orecchio.
Sorrido. «E ti è piaciuto.»
Non lo nega. «Mi ha fatto eccitare», ammette. «Adesso però smettila o succederà di nuovo e ti terrò sveglia finché non avrai appagato il mio appetito», schiocca un ultimo bacio e mi lascia dormire senza più muoversi o provocarmi.
Mi addormento velocemente, avvolta dal suo calore, dal suo odore, dalla serenità dentro questa stanza e dal silenzio che aleggia sia dentro che fuori regalandomi uno dei pochi momenti davvero sereni vissuti fino ad ora.
Quando mi riscuoto, l'ampio sorriso che devo avere stampato in faccia come una scema, mi si smorza sulle labbra.
Kay non è più al mio fianco. Lo cerco dentro la stanza. I miei occhi ancora socchiusi vagano ovunque posandosi prima sulla soglia della finestra dalla quale proviene la luce grigia del giorno.
Scosto la coperta con un gesto secco e senza riflettere scendo giù dal letto aprendo la porta del bagno dove spero di trovarlo. La luce è spenta e non c'è alcuna condensa o aria calda ad accogliermi.
Allora non mi rimane che andare a controllare al piano di sotto. Apro la porta della mia camera e alle orecchie mi arriva la sua voce. Parla animatamente con qualcuno.
Indosso un paio di pantaloncini e provo subito a scendere per raggiungerlo.
«Non abbiamo molto tempo. La notizia si sta già divulgando».
Papà? Quando è tornato?
Stringo la presa sul corrimano. Se papà è tornato significa che...
Evito di pensare che ci abbia visto dormire insieme, abbracciati. Scivolo sul gradino incapace di raggiungerli.
Codarda!
«Se hai preso parte a questa cosa devi dirmelo. Temo che non riuscirò a fermare le reazioni di tutti però posso garantirti che non prenderò provvedimenti se l'hai fatto per proteggere Erin. So che l'hanno presa di mira.»
È così preoccupato che non me la sento di vedere nei suoi occhi lo sgomento come quel giorno al mio risveglio dal breve giro di coma.
«Purtroppo ho a che fare con questa storia sin dall'inizio. Se vuole posso anche raccontarle quello che è successo ma dubito sia disposto ad ascoltare», risponde repentinamente Kay.
Sento dei passi, sportelli che si chiudono, le bottiglie dentro il frigo che tintinnano.
«Invece voglio proprio sapere che cosa è successo ieri», risponde alzando il tono papà. «Pretendo la verità!»
«Io e Erin siamo usciti ieri...», valuta la sua reazione.
Papà non sembra contento ma neanche tanto sorpreso. «Fino a qui, ci ero arrivato.»
«Mason ci stava seguendo e aveva delle foto. Non solo mie, anche di Erin. Non volevo che le vedesse qualcuno o che circolassero e tutti iniziassero ad insinuare qualcosa che non c'è stato...»
In sottofondo sento il sospiro amaro di papà. Il suono provocato da una tazza che cozza sulla superficie, il cucchiaio che mescola un liquido. «Inutile mentire! Non credo che tra te e mia figlia non ci sia stato niente in questi giorni. Ti ho anche trovato a dormire nel suo letto. Non oso immaginare come avrebbe reagito un padre all'antica. Sono adulto abbastanza e so come funziona, Kay. Lo capisco quando due ragazzi si attraggono come calamite e per loro diventa difficile stare a debita distanza.»
«Ma...»
«Questo è proprio il vostro caso. Vi siete separati che eravate piccoli e adesso che vi siete ritrovati, un po' più grandi, state recuperando il tempo perduto. Ma Erin è mia figlia, è la mia bambina e io non voglio vederla soffrire a causa del primo ragazzo che crede di poterla prendere in giro usandola per i suoi bisogni. È bella e intelligente, so che cosa succede.»
Kay schiarisce la voce. Mi piacerebbe vedere la sua faccia in questo momento. «Signor Wilson, mi creda: non ho nessuna intenzione di farla soffrire. Erin per me è importante. Per quanto siano sostanziali le differenze tra me e lei, non riusciamo a non stare insieme». Segue un brevissimo silenzio. «Ieri l'ho invitata ad uscire con me. Pensavamo di essere in un posto tranquillo e soli. Volevo parlarle di alcune cose. Invece ci siamo ritrovati in mezzo ad un regolamento di conti perché Mason ha invaso il territorio degli Scorpions per continuare a seguirci, a scattarci delle foto. E non sono l'unico a credere che lui abbia altro in mente oltre che una forte ossessione per noi. Ma le assicuro che Erin è rimasta per tutto il tempo al sicuro. Non ha un graffio.»
«Ma ha assistito a quello che gli Scorpions hanno fatto», risponde brevemente mio padre. «È nuova in questo ambiente.»
«Si, ma le assicuro che sta bene.»
Il silenzio aleggia per qualche istante in casa diventando ben presto tensione.
Li immagino a scoccarsi sguardi astiosi.
«E dimmi: che cosa dovrei fare esattamente? Adesso dovrei permetterti di infilarti sotto le lenzuola di mia figlia senza dire niente quando e come vuoi? Non sono d'accordo e non mi ha fatto piacere vederti stringerla in quel modo. Avevo il sospetto, ma vederlo è stato abbastanza forte per me. Insomma, mia figlia è tornata solo da qualche settimana e sta già...»
«È colpa mia. Erin non riusciva a dormire e mi sono steso accanto a lei. Abbiamo solo parlato e quando si è addormentata purtroppo sono crollato dalla stanchezza. Non sono riuscito a raggiungere il divano.»
Mordo il labbro tirando una pellicina standomene seduta sul gradino della scala. Le gambe al petto.
Kay ha sempre la scusa e la risposta pronta.
Che adorabile bugiardo!
Arrossisco immediatamente. Che diavolo sto pensando?
Scuoto la testa ripetutamente picchiandola sulle ginocchia. Mi sto lasciando trascinare e non posso abbassare le difese.
Quello che ha detto a mio padre però, mi ha trasmesso davvero tanto e, sapere che mio padre ha visto come mi abbracciava, mi fa sentire in ansia.
«Farò finta di credere a quello che mi hai appena detto. Ora dimmi: che genere di foto tiene in possesso senza il vostro permesso, Mason?»
Ci sono dei rumori poi Kay si affretta a rispondere a mio padre.
Lo tratta come una persona e non come un estraneo o un suo superiore.
«Queste», dice mostrandogliele.
Non le ho ancora viste ma presumo siano utili per iniziare una nuova guerra.
«Non ti chiederò come hai fatto ad ottenerle ma saranno utili per non fare la figura del solito fesso ignaro dei dettagli. Puoi inoltrarmele? Questo è il mio numero...»
«Posso fare di meglio. Oggi Shannon presiederà al consiglio e porterà a sorpresa i telefoni dei bastardi. Nessuno accuserà di nuovo gli Scorpions di avere iniziato a stuzzicare i King. Mason era nel loro territorio. Ci sono regole severe e i King lo sanno più che bene cosa si fa a chi trasgredisce. So che alla riunione ci saranno gli anziani, loro spiegheranno meglio di me questa parte», sembra improvvisamente nervoso.
Papà segue il suo ragionamento. «Ottimo!»
Scendo le scale facendo la mia comparsa.
Non appena supero il soggiorno i due si voltano a guardarmi. Sono seduti sugli sgabelli, come due uomini d'affari.
«Erin...», papà sembra sorpreso di vedermi, quasi colto in flagrante. «Sei qui...»
«Buongiorno anche a te», saluto con un tono di voce sarcastico. «Non dovevi essere in ospedale?»
Beve un sorso di caffè mentre Kay sembra impegnato in una conversazione telefonica. Le sue dita sottili e affusolate si muovono sullo schermo.
«Sono passato per un controllo. Inoltre sto lavorando in qualità di sindaco. Mi hanno chiamato nel cuore della notte dicendomi che hanno legato ad un palo come dei salami Mason Turner e altri due. Ovviamente hanno accusato gli Scorpions. Così sono tornato per la riunione straordinaria. Proverò a sedare gli animi», tamburella con le dita sul ripiano seguendomi con lo sguardo mentre mi riempio una tazza di caffè.
Si aspetta che vada da Kay, magari ad abbracciarlo come farebbe una ragazzina. Mi comporto da adulta con gli ormoni tenuti a bada soffiando sul liquido caldo.
«È obbligatoria la presenza di tutti? Non devo partecipare per forza, spero. Vorrei tanto godermi la domenica in santa pace prima di rientrare a scuola ed essere guardata da tutti come il demonio», esclamo a denti stretti stringendo la presa sulla tazza.
Kay mi sorride di nascosto. Ci guardiamo di sfuggita nascondendo una certa complicità che torna a farmi sentire strana. Sento di nuovo un certo sfarfallio dentro lo stomaco.
Papà se si accorge dei nostri segnali non lo fa notare. L'aria però si carica di tensione.
«Nessuno oserà guardarti come il demonio. Ad ogni modo no, non devi venire per forza con me.»
«Perfetto, ho altri progetti...»
«Starai con Kay. Ti terra d'occhio mantenendo la parola.»
Ci lanciano uno sguardo. «In che senso? Non dobbiamo per forza...», mi sto già agitando. Passare un'altra giornata con lui significa essere messi alla prova dal David di Michelangelo, da una divinità o peggio: dal diavolo.
«Avete ancora qualcosa da chiarire e a quanto pare la casa sarà per qualche altra ora a vostra completa disposizione.»
Mentre io boccheggio avvampando visibilmente, Kay corruga la fronte.
«Ad esempio?»
Papà sorride sotto i baffi. «I dispetti che vi facevate a vicenda da bambini e che adesso si stanno trasformando in qualcosa di diverso?», scuote la testa abbandonandosi ad una brevissima risata.
Lo guardo stupita. Chi diavolo ho davanti? Fa sul serio?
«Papà...»
«Erin, smettila di fare la dura. Ti sciogli anche tu», prende la ventiquattrore. «Penso di tornare in ospedale ma passerò prima di cena per vedere come vanno le cose qui. Mi raccomando, tieni le mani a posto.» Detto ciò, scoccando uno sguardo complice a Kay, si dilegua.
Abbasso le spalle sospirando.
Grattandomi la testa poso la tazza vuota dentro il lavandino. «Che incontro strano», mormoro lavando tutto quello che abbiamo sporcato.
«Sa tutto», dice alle mie spalle. «La vicina...», aggiunge lasciando in sospeso il discorso.
Sono consapevole di essere rossa dalle dita dei piedi fino all'attaccatura dei capelli. «Che cosa gli ha detto quella civetta?»
Ride avvicinandosi per darmi una mano. «Secondo te?», mi guarda da sotto le ciglia in un modo così sensuale da farmi sentire in alto mare.
Apro e richiudo la bocca cercando di non lasciare scivolare il bicchiere che ho in mano. «Non so, che ci ha visto in pose compromettenti guardando dalla finestra della cucina dove ci trovavamo ad ora tarda?»
«Di più», replica divertito stuzzicando la mia curiosità.
«Che ci ha visto abbracciati o che ti ha visto sollevarmi...», riprovo.
«Di più», ripete.
Sento sempre più le guance sul punto di iniziare a fumare per il calore che si propaga su tutto il corpo. Kay mi guarda ancora in quel modo intenso ma sta anche sorridendo in modo così dolce da farmi tremare le ginocchia come una stupida ragazzina. «Ha anche sentito qualcosa perché a quanto pare è uscita per portare a spasso il cane.»
Tocco le guance. «Di notte? Ma è da denuncia!», sbotto.
Annuisce ritenendosi d'accordo. «Esatto. Ho pensato la stessa cosa. Comunque ho parlato con tuo padre e su questo ho già risolto. Gli ho detto che in realtà abbiamo visto la vicina aggirarsi per il quartiere disorientata e le abbiamo urlato dalla finestra se aveva bisogno di aiuto.»
Rido lanciandogli lo strofinaccio in faccia che al contrario prende al volo con i riflessi di un falco. «Smettila di scherzare!»
«Ok, gli ho detto che trovo inquietante che la vicina si permetta di avvicinarsi alla finestra per ascoltare o guardare con la scusa del cane. Tuo padre se ne occuperà.»
Posa lo strofinaccio avvicinandosi cauto, direi quasi insicuro se non lo conoscessi. Prova ad abbracciarmi aspettandosi una mia brusca reazione ma sono io a toglierlo dall'impaccio gettandogli le braccia al collo. «Per caso gli ha detto che stavamo...»
Annuisce. Non lo nega per indorare la pillola. «Tuo padre all'inizio non l'ha presa poi così bene. Quando è entrato come una furia in camera, dopo che lei lo ha fermato non appena è arrivato, non immagini il sollievo che ho avuto perché dormivamo mezzi vestiti e abbracciati anziché in pose compromettenti. Insomma, era anche tutto in ordine. Penso di averlo visto riprendere fiato quando gli ho detto che quella psicopatica continuava a fissarci e siamo stati costretti a salire al piano di sopra per parlare. Il resto lo sai perché hai origliato tutto.»
«Come...»
Ghigna. «Ti conosco, sei un demonio!»
Rido e mi guarda ammaliato.
«Visto che ho affrontato tuo padre ottenendo la sua approvazione mi devi un premio. Posso scegliere io: doccia insieme, adesso!»
Mi solleva facendomi strillare portandomi al piano di sopra.

🖤

Come crepe sull'asfaltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora